L’USO POLITICO DELL'INFORMAZIONE SULL'IMMIGRAZIONE

a cura di Maurizio Corte - Verona,  Verona, 9 novembre 2006
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Un filone di ricerca interessante, per chi studia i mass media e la loro rappresentazione del fenomeno immigratorio, è quella dell’uso politico dell’immigrazione attraverso i giornali, la radio e la televisione. I giornali quotidiani, soprattutto, si prestano alla spettacolarizzazione là dove vi dovrebbe essere comprensione, analisi, rappresentazione e interpretazione di un fenomeno così complesso e di lungo periodo.
Impreparazione professionale dei giornalisti, routines dei giornali, linguaggio estraniante e discriminatorio, agenda dei temi piegata all’emergenza e alla sovra-rappresentazione dell’illegalità: oltre a questi aspetti del rapporto fra giornalismo italiano e immigrazione (si veda Corte, “Comunicazione e giornalismo interculturale. Pedagogia e ruolo dei mass media in una società pluralistica”, Cedam, 2006), merita di essere studiato l’uso politico dell’informazione sui migranti.
Il sistema dei media ha sempre sostenuto e avallato i “valori dominanti” (McQuail, “Sociologia dei media”, Il Mulino), tant’è che vi sono state e vi sono tuttora battaglie furibonde, più o meno sotterranee, per controllarlo e influenzarlo. Assistiamo, tuttavia, nel caso dell’immigrazione, ad un’abdicazione del ruolo critico e interpretativo dei giornali; alla rinuncia all’equidistanza, per avvalorare in alcuni casi le posizioni a favore dello “scontro di civiltà” e dalla “guerra di religione” e per piegare a tornaconti elettorali l’informazione sui migranti.
Sarebbe interessante analizzare – soprattutto sui giornali di provincia – i processi di drammatizzazione e di spettacolarizzazione dell’immigrazione e la loro relazione con le scadenze elettorali; verificare le relazioni fra la pubblicazione di notizie che allarmano i lettori e la creazione di un clima di opinione a favore di questa o quella parte politica, di chi detiene la guida di un’amministrazione comunale o di chi sta all’opposizione.
I giornali drammatizzano e spettacolarizzano le notizie: vi è un “surriscaldamento”, nel riferire fatti ed eventi, che ha una sua spiegazione nella volontà di una testata giornalistica di distinguersi da un’altra. Anziché approfondire fatti, situazioni, fenomeni, ci si distingue dal giornale concorrente enfatizzandoli e corredandoli di foto, grafici e altri artifizi iconografici: i giornali si allargano in orizzontale, nel fare informazione, anziché allungarsi in profondità, con lo scavo, il lavoro sul campo, la comprensione e la riflessione. Tutto questo accade per normali fatti di cronaca, come si può pensare che non accada anche per l’immigrazione, argomento molto notiziabile per le occasioni di spettacolarizzare i fatti che essa produce?
Affermato questo, resta comunque il sospetto dell’uso politico dell’informazione sui migranti: creare allarme, sospetto, insicurezza, paura, favorisce comunque posizioni e soluzioni legate al “potere”, a chi assicura (o, meglio, dice di assicurare) legalità, sicurezza, ordine, disciplina, “pulizia” sulle strade. Si affievola la voce del dialogo, della comprensione pacata, dell’interpretazione, lasciando spazio a derive drammatizzanti, quando non forcaiole. E’ una piccola “strategia della tensione” – che elide ogni minimo tentativo di “strategia dell’attenzione” – quella che alcuni giornali di provincia mettono in campo ad un certo numero di mesi dalle elezioni amministrative. Certo, l’ignoranza di alcuni giornalisti, la malafede di altri, i piccoli interessi di bottega (quante copie in più fa vedere una notizia gridata?), le legittime posizioni politico-sociali di chi fa informazione svolgono una loro parte nel produrre un certo comportamento dei media. Vi è tuttavia il tarlo del dubbio, da verificare con studi adeguati di analisi dei media e di comparazione con le intenzioni e le espressioni di voto, che ci porta a formulare l’ipotesi di un deliberato utilizzo dell’informazione sull’immigrazione per fini politici; di una sua contestualizzazione sotto l’etichetta del “degrado”, dell’allarme sicurezza, della “vivibilità dei quartieri” per spostare il consenso degli elettori. Insomma, crediamo che si tenti e si lavori a piegare le routines mediali agli interessi di forze politiche ed economiche che hanno interesse a suonare i tasti della spettacolarizzazione e della drammatizzazione.
In questo processo, i giornalisti possono essere inconsapevoli complici (quando non ignari strumenti) di una distorsione dell’informazione sulla realtà migratoria. Di qui, l’importanza di una presa di coscienza dei giornalisti e di tutti gli operatori dell’informazione, di una loro formazione e di un loro aggiornamento continui, di una specializzazione verso un giornalismo che sappia raccontare una società complessa e pluralistica. Di qui, anche, l’importanza di una crescita professionale e di una garanzia contrattuale dei giornalisti free-lance e dei giovani collaboratori i quali sono mandati allo sbaraglio ed “usati”, talvolta, proprio sul fronte del sociale. Free-lance e giovani giornalisti che sono mandati avanti da “ufficiali-giornalisti”, i quali siedono al desk e, in buona o malafede, praticano un giornalismo-a-tesi (dove i fatti sono piegati alle opinioni e alle ipotesi, e non il contrario). Free-lance e giovani giornalisti diventano gli strumenti per un “killeraggio” politico, umano, sociale di cui non hanno coscienza.
Piccoli direttori di giornali di provincia osservano e dirigono queste operazioni-killer che colpiscono la buona informazione, il buon giornalismo, la possibilità di una seria rappresentazione e di una “analisi seria e buona” (che non è un’analisi “buonista”) della nostra società multiculturale.
Uno degli strumenti per spezzare quest’inquinamento dell’informazione, quest’inquinamento della convivenza civile fra vecchi cittadini e nuovi cittadini, è la formazione dei giornalisti e la difesa della loro autonomia professionale. Una difesa che passa anche attraverso il mantenimento dell’Ordine dei Giornalisti, non quale “fortino corporativo”, ma come baluardo di fronte alla deriva dell’omologazione, del piegamento dei giornalisti pensanti ad un’informazione drammatizzante, spettacolarizzante: di fronte ad un’informazione che si fa serva di forze economiche, finanziarie e politiche le quali hanno tanti interessi, ma non quello di favorire una società “interculturale”, sostanziata di dialogo, di rispetto delle posizioni, di legalità autentica, di confronto fra le identità multicolori.

Verona, 9 novembre 2006

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