L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne

Enrico Pugliese

 

Tradizionale paese di emigrazione, l’Italia è divenuta nei decenni scorsi paese di immigrazione. Più precisamente sarebbe corretto dire che l’Italia è divenuta anche paese di immigrazione: infatti non solo ci sono all’estero ancora significative comunità di italiani che si identificano come emigrati, ma tuttora esistono dei flussi migratori tra l’Italia e altri paesi, soprattutto europei.

Da questo punto di vista l’Italia si colloca in una condizione molto particolare: così come all'interno dell'Europa si può individuare una differenziazione tra paesi del Nord e paesi mediterranei, in Italia si registra un profondo dualismo territoriale tra regioni del Nord e regioni del Mezzogiorno. Anche i movimenti migratori (la portata e la direzione dei flussi, ma anche la loro composizione e qualità) riflettono questo dualismo. Si pensi alle grandi ondate migratorie dall'Italia che hanno visto una partecipazione di molte regioni italiane, in particolare di quelle del Mezzogiorno o alla nuova immigrazione che - presente in tutto il paese - si concentra, soprattutto per la sua componente più stabile, nelle regioni del Nord.

Quale paese di emigrazione l’Italia è stata interessata da movimenti migratori trainati dallo sviluppo industriale. Le migrazioni intraeuropee, che hanno avuto luogo nei trent’anni compresi tra la fine del secondo conflitto mondiale e la metà degli anni Settanta, si sono caratterizzate per un forte spostamento di lavoratori verso l’industria e verso le cosiddette aree forti d'Europa. La principale direzione dei flussi è stata quella da Sud a Nord: dai paesi dell'Europa mediterranea verso la Francia e l’Inghilterra e poi, sempre più, verso la Svizzera e l'allora Germania Federale.

Ma l'Italia, oltre che da queste migrazioni, è stata interessata anche da un significativo movimento interno, anch’esso orientato prevalentemente dal Sud al Nord, dalle zone povere a quelle ricche, dall’agricoltura all’industria. Dal Mezzogiorno e dalle regioni del Triveneto sono partiti tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta milioni di persone verso le aree più ricche e industrializzate del paese. Nello stesso periodo l'occupazione agricola si è ridotta da quasi nove a poco più due milioni di unità: gli ex contadini meridionali in primo luogo sono stati i protagonisti delle migrazioni interne e verso l'estero. Tanto nell'uno che nell'altro caso i movimenti dei lavoratori sono stati comunque accompagnati dal loro spostamento verso collocazioni lavorative tendenzialmente stabili: l'esempio più classico è quello dell'ingresso nella grande fabbrica moderna, secondo il modello di sviluppo prevalente all'epoca.

L'analisi dell'esperienza degli italiani come emigranti in altre regioni o all'estero è di grande importanza per comprendere anche la situazione che vivono in Italia gli immigrati provenienti dai paesi del Terzo Mondo. Non si tratta di esperienze migratorie assolutamente uguali giacché troppe cose sono cambiate infatti nell'economia, nel lavoro e nella società. Ma esistono delle analogie a volte anche molto significative, sia per quanto riguarda la realtà degli immigrati sia per quanto riguarda le reazioni della società di accoglienza. E per questo il confronto è di grande utilità. La ricchezza dell'esperienza italiana permette dunque diversi ordini di confronti: non solo quello tra emigrazioni e immigrazioni, ma anche quella tra emigrazioni interne ed emigrazioni all'estero.

In Italia alcune regioni in passato hanno conosciuto solo l'esodo e l'emigrazione, solo le partenze e l'abbandono dei paesi e delle campagne verso le destinazioni nazionali e straniere. E solo ora sono meta di flussi di immigrazione (pur continuando, sia pure in misura molto ridotta) a perdere popolazione. Altre invece hanno già avuto in passato l'esperienza di immigrazione interna negli anni dello sviluppo industriale, ma negli ultimi 20 anni alla immigrazione meridionale si è andata aggiungendo e sostituendo l'immigrazione dai paesi del Terzo Mondo. La vicenda dell'Italia tra migrazioni interne e migrazioni internazionali è dunque una vicenda molto complessa, che riassume e riflette alcune delle grandi peculiarità e alcune delle grandi trasformazioni del paese.

Dopo la grande esperienza migratoria dei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento (la Grande Emigrazione) e la pausa rappresentata dagli anni del fascismo e della guerra, l'emigrazione dall'Italia riprende a metà degli anni Quaranta, con un difficile processo di ricerca di nuovi sbocchi migratori sia in direzione dei paesi transoceanici che in direzione dei paesi europei. Definitivamente chiusa sin dagli anni Venti la tradizionale destinazione statunitense, per effetto del sistema delle quote in base alla nazionalità di origine, gli emigranti italiani si indirizzano verso i paesi del Sud America e l'Australia e verso destinazioni europee quali il Belgio. Questa è una delle fasi meno fortunate dell'emigrazione italiana. Non è un caso che queste destinazioni vengono sostanzialmente abbandonate quando si aprono nuovi sbocchi migratori all'interno dell'Europa. La tragedia di Marcinelle, con la morte di centinaia di italiani in una miniera di carbone nel 1956, segna, anche simbolicamente, la fine dell'emigrazione italiana in Belgio. Una parte della popolazione immigrata in quella nazione si stabilizzerà, ma da allora non ci sarà più emigrazione di italiani verso zone minerarie. Ciò anche perché, a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, la Germania e la Svizzera rappresentano le principali destinazioni. Si tratterà di un flusso migratorio di portata quasi paragonabile alla Grande Emigrazione, dalla quale si differenzia, tra l'altro, per il suo carattere prevalentemente temporaneo, con un susseguirsi continuo di partenze e rientri. Il flusso raggiungerà la sua massima espansione a metà degli anni Sessanta per poi declinare progressivamente e stabilizzarsi nel corso degli anni Settanta a livelli molto modesti (alcune decine di migliaia sostanzialmente compensate dai rientri).

Per tutto un lungo periodo, anzi fino all'inizio del suo declino, l'emigrazione italiana ha luogo in assenza di una politica migratoria, di una politica di assistenza agli emigranti e di programmazione delle condizioni di partenza e dell'eventuale rientro. In effetti le condizioni e lo stesso andamento dell'emigrazione italiana verso gli altri paesi europei sono essenzialmente determinate dalle politiche di accoglienza dei paesi europei di immigrazione. Per questi motivi l'esperienza migratoria fu dura per i protagonisti e non sempre coronata da un successo corrispondente alle aspettative. Tuttavia il significato positivo dell'emigrazione si comprende meglio se visto in riferimento agli effetti generali sulla situazione sociale delle regioni di provenienza e del Mezzogiorno in particolare. Quando il flusso migratorio era vicino al suo apice, Manlio Rossi-Doria scriveva: "Personalmente debbo dichiarare che non avrei mai creduto di poter vivere tanto a lungo da vedere la fine della miseria contadina. Oggi la miseria contadina - la miseria di gente che non aveva scarpe, che viveva nelle capanne o in una sola stanza, che non aveva da mangiare a sufficienza… non esiste più nelle zone interne e questo sostanziale progresso è dovuto all'emigrazione".

Ma i radicali cambiamenti legati all'emigrazione - l'abbandono della terra e delle aree rurali da parte di milioni di contadini e artigiani le trasformazioni nella collocazione professionale di quote significative della popolazione italiana, e lo stesso cambiamento nella struttura di classe - sono l'effetto congiunto dell'emigrazione all'estero, ma anche delle migrazioni interne. A partire dagli anni Cinquanta (e con una accelerazione negli anni Sessanta) un grande processo di urbanizzazione, con un ritmo estremamente serrato, interessa tutto il paese ed esso è legato al modello di sviluppo imboccato con la concentrazione territoriale dell'industria prima all'interno del cosiddetto Triangolo Industriale e con la grande e selettiva attrazione di forze di lavoro da parte dell'industria. I protagonisti di questa esperienza solo in parte corrispondono a quelli delle migrazioni intraeuropee: c'è al suo interno infatti una grande componente giovanile, con il livello di scolarizzazione più elevato di quello degli emigranti all'estero, nonché una significativa componente piccolo borghese.

Gli esiti di queste migrazioni interne - tendenzialmente più stabili di quelle all'estero - in rapporto alle reazioni della società di arrivo sono stati molto complessi: dalle difficoltà e chiusure iniziali, a volte anche di stampo razzista, in alcuni ambienti (il "non si affitta a meridionali"), alle luci e ombre dei processi di integrazione, alle forme di solidarietà e alle strutture aggregative (in particolare i sindacati operai) che hanno ridotto in quegli anni le distanze tra meridionali e settentrionali.

Nel corso degli anni Settanta il ruolo dell'Italia nel mercato internazionale del lavoro e i movimenti di popolazione riguardanti il paese fanno registrare cambiamenti di enorme portata. Innanzitutto si registra l'ormai definitivo ridimensionamento dell'emigrazione italiana all'estero, che è dovuto sia alla modificazione dell'effetto di richiamo che alla modificazione dell'effetto di spinta.

Per quel che riguarda il primo aspetto va tenuto conto del fatto che - come mostrarono Castles e Kosack nel 1973 - la componente immigrata della forza lavoro è quella sulla quale si riflettono più pesantemente le variazioni congiunturali della situazione economica e dell'industria in particolare. E in effetti la dimostrazione si ebbe nel 1967 con la riduzione dell'emigrazione italiana in occasione della recessione in Germania. Negli anni Settanta, poi, a dare il definitivo stop ai flussi di immigrazione è anche la politica migratoria tedesca, che con l'Anwerbenstop del 1973 inaugura a livello europeo la politica europea di chiusura all'immigrazione, destinata a proseguire e a estendersi a tutti gli altri paesi nei decenni successivi.

Ma nella letteratura di quegli anni si pone l'accento soprattutto sulla riduzione dell'effetto di spinta, cioè sui fattori locali che in passato avevano dato un forte impulso all'emigrazione da parte degli italiani. Nel corso di questo decennio il tema di attualità sarà l'emigrazione di ritorno: tematica che avrà uno spazio di tutto rilievo nel corso della I Conferenza Nazionale dell'Emigrazione, avvenuta tardivamente a metà degli anni Settanta in epoca di declino dei flussi, ma che ha rappresentato un significativo momento istituzionale di analisi e discussione sulla situazione della emigrazione italiana all'estero.

Il dibattito relativo alla 'fine dell'emigrazione' fu ulteriormente stimolato dal fatto che, sia pure con una sfasatura temporale, anche i trasferimenti dal Mezzogiorno verso le regioni del Nord si riducono drasticamente e a partire dalla seconda metà degli anni Settanta la mobilità territoriale in Italia acquisterà un carattere molto più complesso che non quello da Nord a Sud.

Vari sono i motivi sociali ed economici alla base della riduzione delle migrazioni interne. Dal punto di vista delle zone di partenza va ricordato il miglioramento delle condizioni di vita legato soprattutto alle politiche di welfare, più specificamente alle politiche del sostegno al reddito tramite pensioni e sussidi. Dal punto di vista della domanda di lavoro va sottolineata la crisi del modello di sviluppo trainato dall'industria (anzi dalla grande industria) che in Italia si esprimerà con la perdita di un milione di posti di lavoro nell'industria nel corso degli anni Ottanta.

In questo nuovo contesto economico di de-industrializzazione e terziarizzazione dell'economia dei paesi sviluppati va visto anche l'avvento della immigrazione italiana. Essa ha luogo all'interno di un quadro completamente diverso da quello in cui si era svolta la vicenda dell'emigrazione: nel contesto attuale l’occupazione industriale si riduce (o aumenta solo nella piccola impresa) mentre in generale aumentano la domanda di lavoro e l’occupazione nel settore dei servizi, non ultimi i servizi alle persone. Questa modificazione non riduce, anzi al contrario attiva, la richiesta di forze di lavoro dall'estero: non a caso esse trovano molto di frequente collocazione all'interno di questo settore.

Inoltre, rispetto all'epoca delle grandi migrazioni industriali intraeuropee del dopoguerra, è aumentato sia il numero dei paesi di provenienza degli emigranti (con un ruolo determinante dei paesi del Terzo Mondo), sia il numero dei paesi destinatari, come appunto l'Italia e gli altri paesi dell'Europa del Sud. Tra l'altro l'immigrazione in questi paesi presenta delle caratteristiche comuni talché per molti versi si può parlare di un "modello mediterraneo dell'immigrazione".

La composizione dell'immigrazione italiana è molto complessa per la presenza di molteplici gruppi nazionali e per un'evoluzione che ha visto un susseguirsi di nazionalità 'leader' e l'emergere continuo di nuove componenti. Le nazionalità che compongono oggi l'immigrazione presentano diversa composizione in base al genere, con un'elevata e preponderante componente femminile all'interno di alcune di esse, e con una diversa collocazione lavorativa. Si registra anche una specie di specializzazione etnico-lavorativa con la concentrazione di alcune nazionalità nell'area dei servizi alla persona (in particolare i servizi domestici).

La collocazione degli immigrati nel mercato del lavoro mostra anche una particolare articolazione territoriale con una particolare concentrazione degli irregolari nelle regioni del Mezzogiorno. In queste regioni si registra anche l'apparente paradosso della coesistenza tra immigrazione e disoccupazione. Ma si tratta di un paradosso appunto soltanto apparente: i processi di segmentazione del mercato del lavoro mostrano come la domanda di lavoro locale, soprattutto nel Mezzogiorno, si esprime in ambiti lavorativi poco qualificati, e comunque mal retribuiti, caratterizzati da un elevato grado di precarietà, mentre l'offerta di lavoro è costituita da giovani spesso con elevato titolo di scolarizzazione.

Nel Mezzogiorno, oltre al lavoro domestico, le occasioni lavorative tendono a concentrarsi nell'edilizia e in agricoltura, spesso in condizioni di informalità, di 'lavoro nero'. Non così però nelle regioni del Nord, dove oltre a questo tipo di attività, si registra anche una significativa domanda di lavoro da parte delle imprese industriali. E negli ultimi anni in queste regioni è andata aumentando l'occupazione industriale degli immigrati, segno, per altro, di un processo di stabilizzazione del fenomeno.

Dal punto di vista demografico è sempre più noto il deficit di popolazione che caratterizza l'Italia e il peso dei processi d'invecchiamento. La riduzione del numero delle nascite è ormai accompagnata da un incremento progressivo delle nascite di bambini figli di stranieri o di coppie miste. Anche il numero delle unioni coniugali sta diventando significativo e si somma ai ricongiungimenti familiari. Si può dire che la popolazione immigrata con i suoi comportamenti demografici agisce in modo tale da controbilanciare le tendenze demografiche prevalenti.

L'attenzione dell'opinione pubblica italiana è da anni ormai polarizzata sulla questione dell'immigrazione, mentre la questione dell'emigrazione è totalmente sullo sfondo. Ma l'emigrazione italiana è tuttora una realtà significativa per la presenza delle collettività italiane. Non a caso in Italia a due anni di distanza si sono una Conferenza nazionale dell'immigrazione (nel 1990) e una II Conferenza nazionale dell'emigrazione, avente quest'ultima come oggetto "Gli italiani nel mondo". Ma è opportuno specificare bene a cosa ci si riferisce quando si parla di italiani all'estero.

Ma questo stesso termine può alludere a realtà diverse: da una parte ci sono i cittadini italiani residenti all'estero (le persone fornite di cittadinanza italiana), dall'altra ci sono le persone di ascendenza italiana o coloro i quali si possono ritenere appartenenti a una sorta di diaspora italiana in rapporto alla loro origine e all'identificazione con le proprie radici. I primi, secondo il Ministero degli Affari Esteri, sono oltre quattro milioni. Ma ci sono dei ragionevoli dubbi sull'attendibilità del dato e si può presumere che una cifra più modesta sia più accurata. Per quel che riguarda le persone di origine italiana il loro numero, di poco inferiore ai 60 milioni, è frutto di una stima.

È interessante paragonare la portata dell'emigrazione italiana con la portata dell'immigrazione nel nostro paese. Secondo le stime del Ministero degli Affari Esteri e le rilevazioni del Ministero dell'Interno nel 1995 (ultimo anno per il quale è stato possibile reperire dati comparabili) il numero degli italiani all'estero, tra "cittadini" (4.923.000) e "oriundi" (58.509.000), supera ancora larghissimamente il numero degli stranieri soggiornanti in Italia (991.000). Ovviamente, come si è già accennato, le cifre vanno prese con la massima cautela, tuttavia esse possono dare una idea dell'ordine di grandezza dei due fenomeni. Infine - e questa è la cosa più importante - tra i titolari di permesso di soggiorno rilasciato dalle questure ('soggiornanti') mancano in minori che in generale non sono titolari di permessi di soggiorno. Ma, anche se si aggiungono al dato del 1995 altre 300 o 400.000 unità, il quadro non si modifica assolutamente.

L'Italia ha dunque più emigrati che immigrati, ma ciò non vuol dire che essa abbia più emigranti che immigranti: per quanto i dati disponibili siano tutt'altro che paragonabili, a buona ragione si può ritenere che coloro i quali entrano ogni anno in Italia superano di gran lunga coloro i quali ne escono come emigranti. Per altro tutto si complica con il fatto che ogni anno lasciano il paese anche alcune decine di migliaia di stranieri già soggiornanti.

L'Italia è investita da un intenso processo di internazionalizzazione del mercato del lavoro e di aumento degli stessi movimenti di popolazione non dovuti solo a motivi economici. Al flusso migratorio verso il nostro paese partecipano sia persone provenienti da paesi a forte pressione migratoria sia persone provenienti da paesi a scarsa pressione migratoria, cioè da paesi ricchi. Va da sé che si tratta di componenti diverse, e tuttavia esse sono espressione di uno stesso processo di incremento degli scambi economici e culturali a livello internazionale.

Partendo dalle considerazioni analitiche finora svolte si possono trarre delle conclusioni riguardanti le prospettive dell'emigrazione e soprattutto della immigrazione italiana.

Cominciamo da quest'ultima. Dal punto di vista delle esigenze del mercato del lavoro in alcune regioni italiane l'esigenza di forze di lavoro immigrate diventa sempre più chiara ed esplicita. Le imprese industriali, soprattutto le piccole imprese delle aree a industrializzazione diffusa, fanno sempre più ricorso alla manodopera straniera e gli esponenti delle associazioni industriali non fanno mistero del loro interesse per una possibilità di utilizzo sempre più esteso di forza lavoro immigrata.

La collocazione economica e sociale dipenderà in maniera significativa dalle politiche migratorie: cioè dalle politiche di ingresso ma soprattutto dalle politiche di accoglienza, dalle politiche sociali nei confronti degli immigrati. Per quanto riguarda il primo aspetto gli scenari prevedibili per il futuro non presenteranno grandi cambiamenti rispetto alla situazione attuale. Le frontiere italiane - così come quelle degli altri paesi dell'Unione Europea e dei paesi ricchi in generale - sono chiuse, tranne che per una quota molto modesta della popolazione che esercita la sua pressione migratoria sull'Italia. L'attuale legislazione prevede tanto la possibilità di ingresso per ricongiungimenti familiari quanto l'arrivo per motivi di lavoro all'interno di quote predefinite. È possibile che queste quote si estendano, ma non sono certo prevedibili vasti ingressi di massa. Per contro, nulla lascia presagire che scompaiano o si riducano significativamente gli ingressi di immigrati irregolari o clandestini. D'altra parte questo non è solo un problema italiano bensì una questione riguardante tutti i paesi sviluppati. La presenza, più o meno estesa, di immigrati irregolari nei paesi sviluppati è il prodotto dello squilibrio tra una forte pressione migratoria che si esercita su di essi e le politiche di chiusura da essi adottate.

Per quel che riguarda le condizioni dell'immigrazione, si registra per ora un faticoso processo di stabilizzazione degli immigrati sul piano lavorativo quale espressione del più generale processo di maturazione del fenomeno e di inserimento degli immigrati nella società italiana. Ma la disponibilità delle istituzioni è stata modesta e l'orientamento della popolazione, in generale piuttosto benevolo, è stato pesantemente influenzato, anche negativamente dai mezzi di comunicazione di massa. Pertanto nell'ambito dell'integrazione e della politica di accoglienza le prospettive sono aperte. È probabile e auspicabile che una presa di coscienza diffusa dei vantaggi anche economici dell'immigrazione - ed esistono dei segni in questo senso - riesca a favorire una visione più sdrammatizzata del fenomeno dell'immigrazione e una più ampia accettazione degli immigrati rispetto a oggi.

Gli immigrati stranieri in Italia stanno vivendo ora l'esperienza vissuta - o che stanno vivendo - all'estero gli italiani. Pensiamo ai problemi scolastici e - più in generale - ai problemi della seconda generazione: tematiche rispetto alle quali in passato le politiche italiane di assistenza all'emigrazione sono state piuttosto carenti. Le collettività di cittadini italiani all'estero sono ancora molto significative. Per alcuni degli emigranti che le compongono si tratta di una situazione temporanea. Per altri, antichi emigranti, non è esclusa, per quanto improbabile, una prospettiva di ritorno. Ma anche per questi la scelta della conservazione della cittadinanza italiana implica senz'altro una aspettativa nei confronti dell'Italia relativa alle politiche sociali, cioè alle politiche di previdenza, a quelle scolastiche e culturali, a quelle di assistenza: appunto ai diritti sociali di cittadinanza.

Un'ultima considerazione concerne le migrazioni interne. Abbiamo visto come a partire dalla seconda metà degli anni Settanta le migrazioni interne dal Sud verso il Nord del paese si siano ridotte a livelli molto modesti e che le partenze abbiano sempre di poco superato i ritorni. Ma l'Italia vive la contraddizione rappresentata dal concentrasi della domanda di lavoro, anche industriale, in alcune aree del Nord, e dell'offerta di lavoro nel Mezzogiorno, dove la disoccupazione è stabilmente assestata da anni a livelli superiori al 20% e perciò doppi rispetto alla media europea. Il rapporto della Svimez del 1998 sull'economia del Mezzogiorno ha sottolineato con forza la ripresa dell'emigrazione dal Mezzogiorno, quale risulterebbe dai dati delle cancellazioni anagrafiche degli ultimi anni. Come spesso accade la grande stampa ha dato immediata eco, spesso esagerandola, a questa nuova tendenza. È difficile dire se essa continuerà per il futuro. Ma è certo che - nelle mutate condizioni economiche e sociali già evidenziate - essa avviene ora in condizioni per alcuni versi meno fortunate, almeno in termini relativi, di prima. Perciò, così come per l'immigrazione straniera, anche per questa immigrazione interna appare indispensabile la messa in atto di politiche sociali e abitative migliori e più efficaci.

I temi affrontati in questo studio hanno riguardato tanto gli emigranti italiani che gli immigrati in Italia: soggetti con problemi e caratteristiche simili, ma anche soggetti che vivono - o hanno vissuto - in contesti completamente diversi. La questione dell'Italia come paese di immigrazione e di emigrazione è emersa di recente in occasione del dibattito sul voto degli italiani all'estero dell'autunno del 1999. Questo dibattito ha posto in chiara evidenza l'intreccio tra queste due problematiche. Nulla sarebbe più pericoloso di una contrapposizione tra le esigenze e i diritti dei cittadini italiani residenti all'estero e dei cittadini stranieri residenti in Italia. Al contrario una ampia e solidale prospettiva permette di affrontare le questioni poste dagli uni e dagli altri.