Il governo dei processi migratori nel quadro europeo: obiettivi, strumenti e problemi

Centro Studi di Politica Internazionale

 

Il graduale e faticoso sviluppo di un approccio comune europeo rappresenta una delle principali novità degli ultimi decenni nel settore delle politiche migratorie.

L’intensificazione della cooperazione europea in questo campo è, in parte, il riflesso di una tendenza globale alla crescita di importanza del livello sovranazionale di governo dei movimenti migratori.

Ma, nel caso europeo, tale tendenza si manifesta con un’intensità e una profondità che non hanno eguali in altri continenti. La logica specifica (e unica) del processo di integrazione europea, infatti, sta determinando il passaggio da forme di cooperazione sempre più sistematica tra stati in materia migratoria a una vera e propria politica comune, elaborata - e in parte gestita - dalle istituzioni comuni.

La progressiva "europeizzazione" modifica profondamente il quadro degli attori e dei metodi di elaborazione delle politiche migratorie. Ma tale trasformazione strutturale si intreccia con un’evoluzione altrettanto profonda sul piano dei presupposti culturali e degli obiettivi strategici delle stesse politiche.

Nel corso degli anni Novanta, infatti, un approccio unilaterale, settoriale e prevalentemente difensivo alla gestione dei fenomeni migratori ha ceduto progressivamente il passo a una visione più articolata, che combina obiettivi di controllo a finalità di prevenzione dei flussi, che mira a un coinvolgimento sempre maggiore dei paesi di origine e di transito e che inizia a prendere in considerazione le connessioni tra movimenti migratori e processi di integrazione.

Avvalendosi degli strumenti dell’analisi politica e dello studio delle relazioni internazionali, si è cercato di ricostruire tale complessa evoluzione, tentando di mettere in evidenza le tendenze attuali e le variabili cruciali da cui sembrano dipendere gli esiti futuri.

Quando all’inizio degli anni Settanta i movimenti migratori iniziano a rivelarsi una caratteristica strutturale e permanente del sistema economico europeo, si elaborano politiche migratorie nuove e più articolate per la disciplina di un policy field che appare sempre più complesso.

Si registrano in questi anni due tendenze fondamentali negli orientamenti dei governi europei: (a) la progressiva convergenza su politiche difensive-restrittive degli ingressi e orientate al controllo dell’immigrazione, definita come problema di ordine pubblico e come "minaccia alla sicurezza"; (b) la crescente esigenza di cooperazione internazionale nell’ambito della gestione dei processi migratori.

Sono state analizzate le ragioni dell’affermarsi di questa doppia tendenza, attraverso un triplice e sintetico approccio che permette di individuare le ragioni più profonde delle scelte politiche dei paesi d’immigrazione:

  • ricostruendo le origini delle politiche migratorie degli anni Settanta a partire dal turning-point del 1973-74, che dà l’avvio alle prime politiche di stop, e valutando gli effetti (in particolare gli effetti perversi) di queste politiche sul fenomeno migratorio;
  • descrivendo e analizzando le trasformazioni nella composizione e nella natura dei flussi a partire dagli anni Ottanta;
  • contestualizzando il fenomeno migratorio nel periodo storico che si sta attraversando in ambito internazionale nell’ultimo trentennio.

Conseguenza diretta delle tendenze fondamentali analizzate, è l’intensificarsi della cooperazione europea in materia di immigrazione e di asilo, che nella sua prima formulazione appare inevitabilmente caratterizzata da un’impostazione orientata al controllo. Si sono poi analizzate le conseguenze e i limiti di questa impostazione, sia dal punto di vista dei meccanismi e degli strumenti di cooperazione adottati, sia da quello dell’efficacia della cooperazione in relazione alla gestione dei processi migratori.

Per quanto riguarda gli strumenti di cooperazione si ricostruiscono innanzitutto le vicende del ricorso al metodo intergovernativo, privilegiato in sede europea e destinato a influenzare per un lungo periodo i contenuti e le issues oggetto di cooperazione; si approfondiscono inoltre le origini e le caratteristiche della cooperazione europea, come risultato di una "interdipendenza negativa" che spinge gli stati membri a una gestione più coordinata del fenomeno migratorio - seppure in assenza di una volontà positiva di elaborare una politica migratoria veramente comune. Si presentano, infine, le caratteristiche salienti dei due risultati fondamentali raggiunti: il "sistema Schengen", concordato soltanto tra alcuni stati membri, e il terzo pilastro (dedicato alla cooperazione in materia di giustizia e affari interni) del trattato dell’Unione Europea firmato a Maastricht nel 1992. Entrambi sono frutto di un’impostazione che si mantiene decisamente intergovernativa.

Vedremo come, proprio in ragione dei limiti del metodo intergovernativo, il terzo pilastro non vanti una concreta efficacia e il modello Schengen non possa evitare di trovarsi, nella seconda metà degli anni Novanta in una situazione di crisi.

Il metodo intergovernativo appare d’altra parte politicamente sempre meno giustificabile oltre che dal punto di vista dell’efficacia, anche da quello della trasparenza e della democraticità dei processi decisionali. Le decisioni prese incidono infatti direttamente sulla vita economica e sociale in Europa, sulle relazioni internazionali, sui diritti e sulle opportunità dei cittadini dei paesi membri e dei cittadini dei paesi terzi. È quindi necessario analizzare più approfonditamente le implicazioni delle modalità e dei contenuti della cooperazione europea in materia di affari interni sul rapporto fondamentale che regge le democrazie occidentali: la relazione tra stati e individui o, se si preferisce, tra autorità pubblica e libertà private.

Il primo passo per una analisi di questo tipo è la descrizione delle principali caratteristiche del sistema di controllo europeo, costruito attraverso la cooperazione tra gli stati membri in un contesto internazionale caratterizzato dal fenomeno della globalizzazione, dall’emergere di dinamiche sociali transnazionali e dal moltiplicarsi di nuove sfide alla concezione tradizionale dello stato nazione.

Partendo dalla riflessione sul rapporto tra libertà e sicurezza che si delinea all’interno di uno spazio transnazionale si esamina dunque il modello emergente di controllo che appare caratterizzato da processi di deterritorializzazione, informatizzazione ed esternalizzazione. Di questi processi si offre una descrizione analitica. Il modello europeo di controllo viene infine valutato dal punto di vista del principio democratico (che dovrebbe fondare il sistema politico dei paesi europei). La constatazione di un deficit democratico appare inevitabile. Nel dibattito in corso, d’altra parte, all’attuale mancata salvaguardia del controllo democratico sui processi decisionali si affianca il rischio di non riuscire a garantire un pieno controllo democratico delle decisioni che verrebbero prese in ambito comunitario, nel caso di una completa comunitarizzazione della materia migratoria. La questione della riforma delle istituzioni comunitarie si presenta così con grande urgenza.

Il superamento dell’approccio intergovernativo, che tende ad affermarsi a partire dalla prima metà degli anni Novanta, si fonda su una progressiva presa di coscienza da parte degli stati membri dei limiti di questo metodo, accompagnata dalla piena consapevolezza della necessità di un approccio comune in materia di immigrazione e asilo. Si tratta di un processo decisamente complesso a causa della grande varietà e diversità di interessi che guidano i singoli stati. Il trattato di Amsterdam rappresenta quindi una soluzione di compromesso, pur segnando una tappa fondamentale nella possibilità di comunitarizzazione della materia e preparando il terreno per la potenziale svolta segnata dal vertice di Tampere (ottobre 1999), nel senso di una gestione comunitaria e europea dell’immigrazione e dell’asilo. Se gli esiti concreti non sono del tutto prevedibili, in questo quarto capitolo si ricostruiscono i presupposti, le difficoltà e le prospettive di un processo ormai avviato.

Il punto di partenza dell’analisi è costituito dall’esame delle esigenze di riforma confluite nel trattato di Amsterdam e delle scelte concrete operate in sede negoziale, prima fra tutte la separazione di principio dell’immigrazione e dell’asilo, potenzialmente destinate alla comunitarizzazione, dalle questioni di sicurezza e giustizia penale che restano oggetto di una cooperazione essenzialmente intergovernativa, all’interno del "terzo pilastro" riformato. Si riflette in seguito sulla natura flessibile della nuova politica migratoria europea, il cui processo di graduale consolidamento risente inevitabilmente dell’eterogeneità degli interessi nazionali e della molteplicità di attori in gioco.

L’esame delle specificità dei diversi interessi nazionali appare fondamentale e viene proposto costruendo alcune tipologie di interessi in relazione al fenomeno migratorio. Alcuni esempi, relativi ai casi spagnolo e francese, contribuiscono a illustrare le ragioni del compromesso raggiunto ad Amsterdam e suggeriscono la necessità di tenere conto delle caratteristiche e dell’evoluzione interna dei paesi coinvolti nella costruzione della politica migratoria comune per valutare le prospettive future di questa politica. Non vengono trascurate infine le strategie di altri attori (istituzioni internazionali, associazioni, Ong, chiese, burocrazie statali, ecc.) che, oltre ai governi, sono coinvolti nel processo. Si giunge così a una prima valutazione delle prospettive di applicazione delle nuove norme in materia di immigrazione e asilo sulla base dell’analisi di programmi e strategie dei diversi attori in gioco e delle situazioni congiunturali, variabili che possono favorire o frenare il processo di comunitarizzazione nei cinque anni del periodo transitorio e determinare i contenuti concreti della futura politica comune.

Negli anni più recenti, alla trasformazione del quadro istituzionale di elaborazione delle politiche migratorie in Europa, si è venuta sovrapponendo una profonda, sebbene ancora contrastata, evoluzione dei presupposti culturali e degli obiettivi strategici di tali politiche.

Si diffonde sempre di più, non solo tra gli esperti ma anche tra i decision-makers, la consapevolezza che una gestione unilaterale e puramente restrittiva dei flussi migratori sia, oltreché scarsamente efficace nel medio e lungo periodo, anche poco conforme agli interessi reali delle società europee.

L’obiettivo politico della "immigrazione zero", a lungo sbandierato con maggiore o minor convinzione dai rappresentanti delle più diverse forze politiche europee, viene ora progressivamente abbandonato, rimanendo confinato nei discorsi e nei programmi alle frange più estremiste e populiste del ceto politico.

In questo quadro, si sviluppa gradualmente un approccio innovativo al governo dei processi migratori, imperniato sui seguenti elementi:

  • la necessità di affiancare all’azione di controllo dei movimenti migratori in corso, un’azione preventiva nei confronti dei flussi futuri e un’azione mirante a eliminare o quantomeno attenuare le cause profonde dell’emigrazione;
  • l’esigenza di intensificare la cooperazione in materia migratoria con i paesi di origine;
  • la tendenza, inevitabilmente connessa ai due elementi appena illustrati, a coordinare sempre più strettamente la politica migratoria con altre politiche settoriali (dalla cooperazione allo sviluppo alla politica commerciale, dalla politica ambientale a quella di sicurezza, dalla promozione dei diritti umani alla prevenzione dei conflitti).

Questo nuovo approccio al governo dei processi migratori, che definiamo sinteticamente "approccio integrato", si manifesta con particolare evidenza, nell’ambito dell’Unione Europea. In tale quadro, una considerazione nuova e più articolata dei fenomeni migratori si riflette anche sulla politica estera e, più in generale, sulle grandi strategie esterne dell’Unione. La dimensione migratoria assume, infatti, un rilievo crescente non soltanto nel quadro del processo di allargamento dell’Ue a un vasto numero di stati dell’Europa centrale, orientale e mediterranea, ma anche in un ambito assai più vasto, che comprende il Partenariato Euro-Mediterraneo, il Patto di stabilità per l’Europa sud-orientale, i rapporti di cooperazione con i paesi Acp (Africa, Caraibi, Pacifico).

In una prospettiva di lungo periodo e in un contesto europeo, insomma, la politica migratoria sembra avviata a perdere progressivamente la sua autonomia e specificità, per diventare una componente di più ampie strategie regionali di sviluppo e stabilizzazione.

Si tratta di un processo di estrema complessità e vastità, il cui esito è profondamente condizionato da sviluppi politici interni ed esterni (rispetto al territorio dell’Unione), oggi assai difficili da prevedere.

Ma proprio dall’esito di tale processo dipende il futuro delle migrazioni in Europa e, forse, quello dell’Europa stessa.