La dimensione quantitativa del fenomeno migratorio

Caritas Diocesana di Roma

 

L’obiettivo di fondo della raccolta commentata di statistiche, curata dall’équipe di redazione del "Dossier statistico Immigrazione" della Caritas di Roma e destinata agli studiosi e agli operatori sociali, è quello di offrire una visione d’insieme del fenomeno migratorio, curando alcuni aspetti specifici. Si tratta di una ricerca, per così dire, di natura "oggettiva", non finalizzata a elaborare teorie interpretative bensì semplicemente a sottolineare le evidenze di natura statistica da ritenere funzionale a tale scopo. Si è inteso, così, aiutare il lettore a collegare i vari aspetti di questa realtà poliedrica e, all’occorrenza, a rinvenire i dati che interessano. In sintesi il percorso seguito può essere sintetizzato con queste tre parole chiave: accesso ai dati, chiavi di lettura, visione d’insieme.

  1. Obiettivi. L’obiettivo di un’agevole messa a disposizione dei dati fondamentali sul fenomeno migratorio a un’ampia cerchia di persone, è stato perseguito attraverso queste direttive:

  • la raccolta più ampia possibile di dati, completando le statistiche relative al contesto italiano, da una parte con le statistiche internazionali ed europee e, dall’altra, con le statistiche regionali e provinciali;
  • la presentazione sintetica dei singoli aspetti sulla base di dati acquisiti presso le fonti più accreditate e l’elaborazione di tabelle statistiche;
  • la redazione di chiavi di lettura introduttive finalizzate unicamente a evidenziare la portata dei numeri riportati.

  1. Metodologia. Si è posta particolare attenzione:

  • nel ripartire la materia in numerosi paragrafi, rendendo così più agevole la concatenazione del discorso e anche la consultazione degli aspetti che interessano;
  • nell’evitare la presentazione di una congerie di dati, riportando solamente quelli essenziali, in quanto una massa eccessiva rischia di ingenerare confusione al posto della chiarezza, e preferendo le aggregazioni e le griglie statistiche che conferiscono ai numeri il loro significato più pieno;
  • nel semplificare il più possibile le riflessioni al fine di rendere le statistiche dell’immigrazione, un fenomeno dall’immensa portata sociale, accessibili al maggior numero di persone;
  • nel mettere il lettore in grado di trarre per suo conto le conclusioni, sulla base di statistiche il cui contenuto è stato vagliato con rigore.

 

Accesso alle fonti statistiche

Non si può parlare con concretezza del fenomeno migratorio senza utilizzare i dati statistici: è perciò fondamentale fornire precisazioni sulle fonti utilizzate e sulle difficoltà che si incontrano in questo utilizzo.

a. Livello internazionale. A questo livello il compito è stato complesso per via di un accesso non sempre agevole alle fonti statistiche sull’immigrazione.

Le più recenti statistiche dell’Onu si riferiscono al 1990, con scarse possibilità di aggiornamento per gli anni successivi. Si possono trovare parziali completamenti nelle riviste internazionali sulle migrazioni (ad esempio, International Migration dell’Oim) e in alcune pubblicazioni della Banca Mondiale.

Per quanto riguarda l’ambito europeo prima tornava utile confrontare il rapporto Sopemi con il volume annuale delle statistiche migratorie dell’Eurostat. Da qualche anno l’istituto di statistica comunitario non cura più tale pubblicazione per cui non è stato possibile disporre di determinate disaggregazioni. Continuano invece a essere disponibili le statistiche del Consiglio d’Europa sulle tendenze demografiche in atto.

Peraltro, non va dimenticato che le statistiche internazionali disponibili vanno lette con atteggiamento critico per non incorrere in errori. Ad esempio, l’opinione pubblica, quando pensa agli stranieri regolarmente soggiornanti, si riferisce a tutte le persone autorizzate al soggiorno; invece i permessi individuali solitamente riguardano solo gli adulti, per cui si rischia di escludere buona parte dei minori figli degli immigrati, dando così un’idea inesatta della presenza straniera complessiva

Altre volte nelle statistiche internazionali mancano dei dati, facilmente disponibili a livello nazionale, o si riscontra una certa ripetitività nella comparazioni e negli approfondimenti, che tengono scarsamente conto degli scenari attuali e, in primis, dell’importanza assunta dai paesi mediterranei dell’Unione Europea, e in particolare dall’Italia, come sbocco dei nuovi flussi.

  1. Livello italiano. Per quanto riguarda il contesto italiano la fonte più ricca di informazioni e più tempestiva è, innanzi tutto, l’archivio dei soggiorni curato dal Centro Elaborazioni Dati (Ced) del Ministero dell’Interno. Da esso abbiamo rilevato i dati al 31 dicembre 1998, previa depurazione dei permessi scaduti nel corso dell’anno. Tenuto conto che nell’archivio sono registrati meno di un terzo dei minori soggiornanti in Italia (carenza alla quale finora non è stato trovato rimedio) e che l’archivio si arricchisce delle successive rilevazioni che consentono di tener conto dei permessi in vigore ma non ancora registrati (una successiva rilevazione dell’Istat ha contato 93.000 permessi di soggiorno in più) abbiamo maggiorato i 1.033.235 soggiornanti registrati dal Ced dello 0,21% e stimato che gli stranieri regolarmente soggiornanti siamo 1.250.214: questa maggiorazione con lo scarto di poche centinaia di unità ha successivamente trovato un’autorevole conferma nell’Istat. Anche se indubbiamente il fattore di maggiorazione non è identico per tutte le regioni, per tutti i gruppi nazionali, per tutti i motivi del soggiorno e così via, su un piano più generale è di fondamentale importanza dare un’idea della reale consistenza del fenomeno.

Un altro grande pregio dei dati del Ced è quello di consentire non solo una riflessione sui dati di stock (i soggiornanti al 31 dicembre 1998) ma anche di estrapolare i dati relativi alle persone venute nel corso del 1998, consentendo così di portare avanti un’articolata riflessione sui nuovi flussi, aspetto questo indispensabile non solo ai fini sociali ma al fine di meglio inquadrare l’andamento della politica migratoria.

Abbiamo, quindi, utilizzato i dati sui cittadini stranieri che l’Istat rileva dalle anagrafi comunali dei residenti, che hanno già costituito oggetto di due volumi (1998 e 1999) e che ormai l’Istituto di statistica pubblica periodicamente. Rispetto a quelli del Ministero dell’Interno i dati dell’Istat, più sedimentati e ottenuti attraverso una complessa operazione che coinvolge tutti i comuni (e perciò non garantisce la stessa tempestività del Ministero dell’Interno), sono una fonte che permette nuovi approfondimenti (relativi, ad esempio, ai singoli comuni e in particolare a quelli capoluogo). L’Istat cura anche le statistiche sui matrimoni misti e sui figli nati da almeno un genitore, mentre il Ministero dell’Interno registra i casi di acquisizione delle cittadinanza italiana: entrambe le fonti forniscono anche dati sulla criminalità degli immigrati, che si integrano a vicenda.

Un’altra fonte principale è il Ministero del Lavoro con una serie di dati nel suo settore specifico: stranieri disoccupati, avviati al lavoro e autorizzati dall’estero. Questi dati vengono completati con quelli forniti dall’Inps, una vera e propria miniera di notizie, e in parte anche dall’Inail.

Si può concludere che in Italia si dispone ormai di molti dati sull’immigrazione, purtroppo non sempre ripresi a livello internazionale. Si è però lontani da un’omogeneizzazione delle fonti: anche da parte dello stesso Ministero dell’Interno si attendono delle modifiche che, se attuate, consentirebbe una più adeguata conoscenza del fenomeno.

 

Il contesto mondiale delle migrazioni

La parte dedicata al contesto internazionale si ripartisce in capitoli riguardanti, rispettivamente, la carenza di sviluppo come causa della pressione migratoria, il coinvolgimento del Sud del mondo nei flussi migratori e lo scenario euro-mediterraneo di questo fenomeno.

a. Livello mondiale. Secondo la stima, attuata nel 1996 dalla Population Division dell’Onu, le migrazioni coinvolgono a livello planetario più di cento milioni di individui. Le persone, che vivono al di fuori del proprio paese di nascita, sono passate da 75 milioni nel 1965 a 84 nel 1975 (aumento annuo dell’1,2%), a 105 nel 1985 (aumento del 2,2%) e a 119 all’inizio del 1990 (aumento annuo del 2,6%): le donne sono il 47,9% del totale. Poiché l’incremento avviene in media al ritmo di circa un milione all’anno, si può calcolare che attualmente i migranti abbiano raggiunto il numero complessivo di 130 milioni, di cui circa il 55% è concentrato nei paesi in via di sviluppo e la restante parte nei paesi a sviluppo avanzato.

L’incidenza sulla popolazione residente è mediamente del 2,3%, così ripartita: 4,6% nei paesi a sviluppo avanzato e 1,6% nei paesi in via di sviluppo.

Con riferimento ai dati del 1990, forniti dall’Onu in maniera particolareggiata, si rileva che la ripartizione continentale dei migranti nel mondo è contrassegnata da questi valori: 13,1% in Africa (di cui 11,4% Africa subsahariana), 35,9% in Asia (di cui il 17,4% nel subcontinente indiano), 26,2% in America (di cui 20,0% America del Nord), 20,9% in Europa e 3,9% in Oceania.

Nel corso del secolo XXI i flussi migratori sono destinati a incrementarsi. A livello planetario, infatti, la disoccupazione effettiva investe oltre 110 milioni di persone in età lavorativa, mentre circa 700 milioni di persone ricevono salari inferiori al livello di sussistenza (si tratta di ben 1/3 dell’intera forza lavoro presente nel mondo). Se l’andamento resterà immutato, nel giro di circa 10 anni i disoccupati nel mondo saranno 900 milioni e metà della popolazione sarà urbanizzata.

Queste è una delle allarmanti prospettive derivanti dal processo di transnazionalizzazione dei processi produttivi e delle strategie aziendali. Alle grandi potenzialità, che pure vengono riconosciute alla globalizzazione del sistema economico mondiale in funzione della possibilità di un reale sviluppo del pianeta, si contrappongono le gravi distorsioni che esso ha contribuito (e contribuisce tuttora) a produrre in termini di vistose disparità di ricchezza e di altissima concentrazione di potere economico, disparità che stanno all’origine dei flussi migratori.

b. Unione Europea. La fase attuale dei flussi migratori, ben differente dal grande bisogno di manodopera straniera riscontrato nel periodo postbellico fino a tutti gli anni Sessanta, è caratterizzata da una insoddisfacente situazione occupazionale nei paesi di accoglienza, dal peggioramento della situazione economica nei paesi di origine, dalla continuazione dei flussi per ricongiungimento familiare, da una serie di restrizioni per quanto riguarda gli altri flussi e infine da un notevole aumento dei traffici clandestini.

Gli stati membri dell’Unione Europea hanno adottato politiche restrittive, in particolare per quanto riguarda i ricongiungimenti familiari, la selezione dei nuovi immigrati e la lotta all’immigrazione clandestina (alle frontiere, sul territorio e nei posti di lavoro), tenendo conto delle previsioni dell’accordo di Schengen. La maggior parte dei paesi dell’Ocse fa valere la priorità della manodopera locale per le qualifiche medio-basse, mentre la libera circolazione è estesa su un piano generalizzato solo a quelli che fanno parte dello "Spazio economico europeo". Per quanto riguarda l’Italia va precisato che la legge sull’immigrazione del 1998 è ispirata a un orientamento più aperto e quindi, in larga misura, controcorrente rispetto all’impostazione predominante nell’Unione.

La presenza straniera (dati al 31 dicembre 1996) nei paesi dell’Unione Europea ammonta a 18 milioni di unità, di cui un quarto sono minori. Al primo posto viene la Germania con più di sette milioni di stranieri, seguita da Francia (quattro milioni), Gran Bretagna (due milioni) e Italia (più di un milione).

L’incidenza media sulla popolazione è del 4,9%, con punte del 9% in Austria, Belgio e Germania, valori vicini alla media in Danimarca, Francia, Paesi Bassi e Svezia e valori al di sotto della media in Italia, negli altri paesi mediterranei e in Finlandia e in Irlanda.

In quasi tutti i paesi europei le nascite di stranieri o di origine straniera risultano caratterizzate da un’alta incidenza percentuale sul totale delle nascite, incidenza superiore a quella che gli stranieri hanno percentualmente sull’insieme della popolazione.

Sono elevati i casi di acquisizione di cittadinanza registrati nell’Unione Europea nel 1996 (629.183), quasi il doppio rispetto ai casi del 1995 (338.683), a seguito dell’elevato numero di naturalizzazioni della Germania (302.800). E così, mentre nel 1995 si verificarono giornalmente circa 1.000 casi di acquisizione di cittadinanza, nel 1996 questo valore si è raddoppiato.

Il tasso di naturalizzazione (l’incidenza percentuale delle persone che si naturalizzano sul totale della popolazione immigrata) è pari al 3,6%, mentre negli anni precedenti era solo arrivato a sfiorare il 2%. Due grandi paesi di immigrazione, come la Germania e la Francia, hanno un tasso di naturalizzazione del 4%.

A livello europeo i più consistenti gruppi nazionali sono: Turchi (due milioni e mezzo), Jugoslavia (quasi due milioni), Italia e Marocco (più di un milione), Portogallo (quasi un milione) e Algeria (più di mezzo milione).

 

Il contesto italiano

Per illustrare il contesto italiano, prendendo l’avvio da una analisi dei flussi in entrata, si cerca di fornire il maggior numero di informazioni possibili sulla popolazione straniera soggiornante: i continenti e i paesi di provenienza; le regioni e i contesti urbani di insediamento, l’inserimento occupazionale; gli indici del processo di integrazione; l’inquadramento della diversità religiosa in un contesto interculturale.

Evoluzione storica. A partire dagli anni Settanta, è andata notevolmente diminuendo la pressione migratoria degli italiani verso l’estero. Nell’ultimo dopoguerra l’andamento dell’emigrazione, molto accentuato negli anni Cinquanta e Sessanta (rispettivamente quasi 300.000 e più di 250.000 espatri l’anno), si è ridimensionato nel corso degli anni Settanta (108.000 espatri l’anno) per poi diventare fisiologico negli anni Ottanta (55.000 espatri l’anno). Sempre a partire da quel periodo si è andato qualificando in negativo lo sviluppo demografico del paese, tant’è che i decessi superano ormai le nascite, anche se finora l’immigrazione è riuscita a esplicare un "effetto cosmetico" per cui il saldo demografico totale non è stato negativo.

Dalla metà degli anni Ottanta sono aumentate in Italia le presenze straniere secondo questa progressione: 300.000 negli anni Settanta, 572.000 nel 1987 (anno della prima regolarizzazione), più di 1.000.000 nel 1996 e 1.250.000 alla fine del 1998, ai quali si aggiungono 250.000 persone in attesa di regolarizzazione (di cui circa 150.000 sono stati regolarizzati nel corso del 1999). L’incidenza della popolazione straniera è risultata del 2,2% in Italia, rispetto al 2,3% a livello mondiale e al 4,9% nell’Unione Europea.

I nuovi ingressi nel 1998. In Italia è andato col tempo aumentando l’arrivo di immigrati. Nel 1998, escludendo i permessi la cui validità è scaduta prima della fine dell’anno (ingressi a carattere temporaneo), il numero degli stranieri arrivati ex novo è di 110.966 unità, di cui il 60,8% donne (67.473) che costituiscono la maggioranza anche per quanto riguarda la provenienza dai paesi islamici. I minori entrati nel 1998 (quelli registrati) sono stati 12.000.

I motivi più ricorrenti di soggiorno sono: famiglia 45.537, lavoro 23.598, studio 11.238, asilo politico 7.379, motivi religiosi 3.958, residenza elettiva 2.736.

La provenienza continentale dei nuovi arrivi è la seguente: Europa 50,0%, Africa 14,1%, Asia 19,3%, America 13,1%, Oceania 0,3%.

Il tasso di aumento nel 1998 è stato dell’8,9%, in pratica quasi un nuovo arrivo ogni 10 immigrati soggiornanti. Stanno notevolmente al di sotto di questo ritmo medio di incremento i paesi dell’Europa occidentale e le varie aree dell’Africa, e in particolare il Nord Africa (4,5%) e l’Africa Occidentale (2,3%). Registrano un aumento più elevato l’Europa dell’Est 13,6%, il Vicino e Medio Oriente (20,8%) e i paesi asiatici dell’ex Urss (36,7%). Le altre aree si avvicinano alla media. La ripartizione territoriale dei nuovi immigrati non si discosta da quella che caratterizza la popolazione straniera già in precedenza insediata.

Quanto al contrasto delle presenze irregolari e dei flussi clandestini, che a torto si pensa in Italia non venga attuato, va ricordato che nel 1998 sono stati effettuati 47.822 respingimenti alla frontiera (39.888 nel 1997) e sono state intimate 47.861 espulsioni (un numero quasi pari a quelli dell’anno precedente), di cui 8543 sono state effettivamente eseguite. Nei centri di permanenza temporanea sono stati trattenuti 6.000 stranieri e 13.105 sono stati rimandati nei paesi di origine in forza degli accordi di riammissione.

La presenza straniera a fine 1998. Tra gli stranieri complessivamente soggiornanti con regolare autorizzazione (1.250.000 secondo la stima del "Dossier statistico immigrazione", sostanzialmente convalidata dall’Istat) circa un decimo si trova in Italia per motivi temporanei. I motivi di soggiorno per ragioni di lavoro arrivano al 59,5%: l’inserimento lavorativo più ricercato è quello per lavoro dipendente (è del 4,1% l’incidenza del lavoro autonomo). I motivi di soggiorno per ragioni familiari sono pari al 25,1%, con una progressione veramente notevole negli ultimi anni.

Questa la provenienza continentale: Europa 38,5%, Africa 28,8%, Asia 19,3%, America 13,1% e Oceania 0,3%. L’86,3% viene dai paesi che non fanno parte dell’Unione Europea e, in particolare, quasi un milione dai paesi in via di sviluppo. Solo due su dieci immigrati vengono da zone ricche (dai paesi dell’Unione o da quelli a sviluppo avanzato). I cittadini comunitari sono 171.601, quelli dei paesi dell’Est europeo 281.097, i nordafricani 237.771, gli immigrati dell’Estremo Oriente e del Subcontinente Indiano 206.951 e i latino-americani 105.098.

Gli immigrati extracomunitari sul totale degli stranieri erano il 60% negli anni Settanta, il 70% negli anni Ottanta e hanno superato l’80% negli anni Novanta: l’Italia insieme all’Austria ha la più alta percentuale di immigrati che non provengono dall’Unione europea.

Si tratta di un caleidoscopio di presenze, in cui sono rappresentati gruppi nazionali consistenti provenienti da varie parti del mondo. Dopo il Marocco (146.000) e l’Albania (92.000), seguono Filippine e Usa, e quindi Tunisia, Jugoslavia, Romania, Senegal e Sri Lanka. Paesi indipendenti, che prima facevano parte della ex Federazione jugoslava (quindi oltre a Serbia e Montenegro, Macedonia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Slovenia), totalizzano 92.000 soggiornanti e complessivamente si pongono al secondo posto insieme all’Albania, il paese che ha aumentato di più la sua consistenza (nel 1990 gli albanesi presenti erano solo 2.200).

È significativo sottolineare che i primi quattro gruppi vengono da quattro continenti diversi e ciò indica nel contempo quanto sia suggestiva e complessa la posta in gioco della politica di integrazione. Nel panorama europeo e mondiale l’Italia è il paese maggiormente caratterizzato dal policentrismo etnico. È anche interessante tenere presente che 6 stranieri su 10 sono vicini di casa: europei o nordafricani.

Gli indici del processo di stabilizzazione. Anche se si tratta di una popolazione molto giovane, in prevalenza concentrata nella fascia d’età 18-40 anni e quindi con pochi ultrasessantenni, per la prima volta nel 1998 i coniugati tra gli immigrati hanno superato i celibi e i nubili: 550.000 coniugati (poco più della metà del totale) e un numero leggermente inferiore di non sposati. Poiché si tratta di una esperienza migratoria complessivamente recente, tra i coniugati solo un quarto è riuscito finora a farsi raggiungere dai propri figli (il 14% della popolazione immigrata rispetto al 10% del 1990). Tuttavia è in atto un accentuato processo di stabilizzazione, come viene attestato dai seguenti indici:

  • quasi un terzo degli immigrati, secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, è residente da più di 5 anni (circa 400.000 persone) e di questa tendenza ha preso atto la legge 40 del 1998 con la concessione della carta di soggiorno, che equivale a un permesso a tempo indeterminato;
  • i permessi di soggiorno concessi per motivi stabili (lavoro e famiglia) sono più di quattro quinti del totale;
  • i ricongiungimenti familiari costituiscono una delle principali vie di ingresso in Italia (45.000 nel 1998 su 110.000 nuovi ingressi);
  • vi è la tendenza all’equilibrio tra i sessi e, finita la prevalenza dei giovani maschi soli, aumenta la consistenza percentuale delle donne immigrate, seppure variabile a seconda delle aree di provenienza: 60% o più da Unione Europea, Estremo Oriente, Africa Centro Orientale e America Latina (che registra il picco del 71%), circa il 30% da Africa Occidentale, da Vicino e Medio Oriente e Subcontinente Indiano, 24% dal Nord Africa;
  • li nuovi nati (1995) da almeno un genitore straniero sono 21.499 (4,1% sul totale delle nascite a livello italiano e più del 6,2% nel Centro Italia);
  • aumentano i matrimoni misti (10.664 nel 1995);
  • aumenta il numero dei minori (182.000 secondo la stima del "Dossier" e un numero superiore di qualche migliaio secondo i dati forniti dall’Istat);
  • aumentano le acquisizioni di cittadinanza (9.843), seppure in Italia il tasso di naturalizzazione (numero acquisizioni rispetto alla popolazione straniera complessa) sia appena un terzo rispetto alla media europea
  • aumenta l’impatto sul mondo del lavoro, con un apporto significativo nell’industria, nei servizi (ivi compreso il lavoro domestico) e nell’agricoltura, per cui si arriva a un’incidenza del 3,2% sulla forza lavoro complessiva (poco più di 700.000 persone su un totale di 23.205.000), a un’incidenza del 7,3% sulle persone in cerca di un posto di lavoro (205.593 su 2.811.00) e a un consistente numero di avviamenti di lavoratori extracomunitari nel corso del 1998 (181.971 persone);
  • aumenta la capacità di risparmio, tant’è che, per il solo tramite delle banche, nel 1998 sono stati spediti all’estero 761 miliardi di lire e senz’altro più di 1.000 miliardi a tenere conto dei soldi spediti tramite le poste o portati in patria personalmente o tramite amici;
  • aumenta il numero degli studenti stranieri nei vari gradi di scuola. Nell’arco dell’ultimo decennio, dall’anno scolastico 1989-90 all’anno scolastico 1998-99, si è passati da 13.668 a 85.522 studenti, praticamente con un raddoppio della popolazione scolastica straniera ogni 4 anni. Nell’anno scolastico 1999-2000 si stima una presenza di 100.000 studenti stranieri (incidenza sulla popolazione scolastica dell’1% e del 2% nel Nord) e tra il 2004 e il 2005 si arriverà a 200.000 studenti.

Va aggiunto, a proposito dell’inserimento occupazionale, che, in attesa dell’entrata in vigore dei nuovi meccanismi di collocamento, il numero dei lavoratori stranieri chiamati direttamente dall’estero (27.303) è rimasto al di sotto delle quote programmate. Tuttavia, come hanno evidenziato le stime del fabbisogno occupazionale condotte dal Ministero del Lavoro e dalle Camere di Commercio, gli immigrati nel futuro non possono più essere considerati una forza di lavoro congiunturale, specialmente nelle piccole e medie imprese. I lavoratori stranieri copriranno un terzo del fabbisogno nel Nord, quasi un quinto nel Sud e nelle Isole e un sesto nel Centro.

I contesti territoriali. Le statistiche regionali e provinciali sono state concepite come un sussidio che aiuta il lettore a riferire ai singoli contesti territoriali le analisi condotte a livello nazionale.

A livello territoriale:

  • le regioni del Nord hanno conosciuto un continuo e consistente aumento della loro quota di immigrazione (673.986 e 54% del totale), specialmente in forza delle loro maggiori opportunità occupazionali;
  • il Centro è sceso per la prima volta al di sotto del 30% (367.864) con la perdita di 10 punti percentuali, anche se l’area di Roma conserva una grande attrattiva essendo il più grande agglomerato urbano;
  • al Sud e nelle Isole (16,7% complessivamente, e rispettivamente 140.123 e 68.842 soggiornanti) si registra una lieve diminuzione.

Sono 17 le province con più di 10.000 immigrati, 7 quelle con più di 20.000, 2 quelle con più di 30.000 (Bologna e Vicenza), 2 quelle con più di 40.000 (Torino e Napoli) e 2 quelle con più di 100.000 (Milano con 161.746 e Roma con 219.368 soggiornanti).

La maggior parte delle province con più di 10.000 immigrati si trova al Nord (15). Tra le province del Meridione solo Napoli (43.116 soggiornanti) supera le 20.000 unità e si colloca al quarto posto dopo Roma, Milano e Torino.

Dai dati Istat, relativi ai cittadini stranieri iscritti alle anagrafi comunali, rileviamo che gli immigrati mostrano una maggiore tendenza all’insediamento nei comuni capoluogo (quasi venti punti percentuali in più rispetto agli italiani), preferenza che si può spiegare per vari motivi: possibilità di coesione con il proprio gruppo etnico, ambiente di anonimato che mette di più a proprio agio, maggiori opportunità lavorative nel settore terziario e vicinanza ai centri di decisione burocratica.

La tendenza alla concentrazione nei capoluoghi conosce l’apice nel Centro, dove il comune di Roma supera l’80% (come del resto anche Prato) e quello di Firenze sfiora il 60%, e mantiene valori elevati nel Nord-Ovest (Torino e Milano quasi il 70% e Genova quasi l’80%) e nelle Isole (precisamente in Sicilia, dove Palermo supera l’80% e si collocano oltre il 50% Messina, Catania e Siracusa). Il Nord Est è caratterizzato, invece, da un più modesto grado di concentrazione nei comuni capoluogo (37,9%), ad eccezione di Trieste che non dispone di un entroterra.

Sempre a livello territoriale sono riscontrabili due linee di assestamento: una linea di assestamento Nord-Sud (per cui molti immigrati, arrivati nelle province del Meridione, poi si spostano in quelle del Nord-Ovest o del Nord-Est), e un’altra linea di assestamento centro-periferia, tendenza che man mano stanno portando a una lenta ridistribuzione territoriale.

Secondo i dati registrati nell’anagrafe, nei comuni con meno di 20.000 abitanti nel periodo 1993-96 si è passati dal 32,8% al 35,4%, spostamento di tutto rispetto considerando la gradualità che generalmente caratterizza l’evoluzione dei fenomeni demografico-insediativi. Nei comuni tra le 20.000 e le 30.000 unità la differenza è stata solo di un punto percentuale e si è passati dal 20,9% al 21,9%. Un calo cospicuo si è prodotto nei comuni al di sopra dei 100.000 residenti, scesi dal 46,3% al 42,7%.

Le tendenze riscontrate al 1° gennaio 2000. Nel 1999, rispetto alla fine del 1998, tra nuovi ingressi e regolarizzazioni, tutta la popolazione immigrata è aumentata mediamente di un quinto (19,2%), passando da 1.250.000 unità a 1.490.000 (stima del "Dossier" inclusiva dei minori e dei permessi non registrati). Questo aumento è intervenuto in forza dei nuovi permessi di soggiorno rilasciati sia ai cittadini stranieri entrati per la prima volta in Italia, sia ai a un certo numero di immigrati che si erano prenotati per la regolarizzazione entro il 15 dicembre 1998 e, ultimato l’esame delle loro richieste, hanno potuto ricevere l’autorizzazione al soggiorno.

È notevole la differente dinamica riscontrata per aree di provenienza:

  • sta di qualche punto al di sotto della media l’America Latina
  • si colloca nella media il Nord Africa
  • supera di qualche punto la media il Subcontinente Indiano
  • realizzano un consistente aumento del 30% i paesi dell’Est europeo.

Possiamo procedere a una classificazione analoga per i maggiori gruppi nazionali:

  • stanno al di sotto della media d’aumento Brasile, Croazia e Bosnia
  • eguagliano la media d’aumento Marocco, Filippine, Egitto, Perù, India, Macedonia, Ghana, Algeria e Russia;
  • superano la media d’aumento Senegal, Bangladesh, Pakistan e, con un incremento superiore il 40%, Albania, Jugoslavia, Romania, Cina e Nigeria.

A livello territoriale si riscontra che il Nord ha assorbito più della metà dei 240.000 nuovi titolari di permesso di soggiorno. L’aumento è stato del 18% per il Nord, del 19% per il Centro e per le Isole, del 22% per il Sud (anche le regioni del Nord Est hanno conosciuto un aumento così consistente).

La Lombardia, che ha conosciuto un aumento del 17%, si consolida al primo posto per consistenza di immigrati (316.000), accentuando il distacco dal Lazio (263.000 immigrati e aumento del 9%). Tra le grandi regioni l’aumento più consistente è stato registrato: in Emilia Romagna (120.051 immigrati e aumento del 19%), in Veneto (143.413 immigrati e 32% e aumento del 32%) e specialmente in Toscana (110.226 immigrati e aumento del 54%).

Tra le province spicca, come sempre, Roma (237.880 immigrati e aumento dell’8%), seguita da Milano (172.976 immigrati e aumento del 7%). Superano per la prima volta le 50.000 unità le province di Torino (aumento del 16%) e di Brescia (aumento del 51%); Napoli sfiora tale valore con il 16% d’aumento:

All’inizio del 2000 emergono, pertanto, queste caratteristiche:

  • risultano potenziati gli indici di stabilizzazione prima presi in considerazione;
  • l’immigrazione tende a diventare sempre più non comunitaria e 9 su 10 provengono da altri paesi;
  • si inseriscono 25.000 nuovi lavoratori autonomi, in prevalenza riconosciuti tali a seguito dell’ultima regolarizzazione, per cui in totale si arriva a quasi 60.000 addetti stranieri nel settore e, come già avvenuto in altri paesi europei, ciò lascia ipotizzare che si potrebbe arrivare a quadruplicare il numero degli addetti, a condizione che le aperture normative verranno rese più agevoli;
  • la tendenza all’equilibrio tra i due sessi viene interrotto a seguito dei permessi di soggiorno rilasciati ai regolarizzati (alla fine del 1999 le donne sono scese dal 46,8% al 42,2%);
  • in tutte le regioni è presente un multiculturalismo religioso, fattore tanto più notevole in quanto l’intera area era in precedenza quasi esclusivamente di tradizione cristiana. Secondo l’ultima rilevazione della Fondazione Migrantes\Caritas Roma, che si riferisce all’inizio del 2000, i cristiani sono quasi la metà, i musulmani più di un terzo e i seguaci di religioni orientali quasi 100.000, più altri gruppi con una minore consistenza.

Dopo questo quadro d’insieme, è opportuno portare l’attenzione su due aspetti dei flussi intervenuti nel corso del 1999, che riguardano rispettivamente i nuovi ingressi degli immigrati e le rimesse inviate nei loro paesi di origine dagli immigrati già soggiornanti.

I nuovi permessi di soggiorno concessi nel corso del 1999 presentano una particolare complessità (assente invece in quelli relativi al 1998), in quanto hanno ottenuto il loro primo permesso sia i cittadini stranieri entrati per la prima volta nel paese nel 1999, sia quelli che erano già presenti e, dopo aver chiesto il beneficio della regolarizzazione entro il 15 dicembre 1998, hanno potuto ottenere il permesso solo nel corso del 1999. Al 25 gennaio 2000, tra i 250.792 immigrati che avevano fatto richiesta di regolarizzazione, 145.759 risultavano titolari di permesso di soggiorno: possiamo ipotizzare che al 31 dicembre 1999 non fossero più di 130.000.

Nel 1999 il Ministero dell’Interno, tramite le questure, ha rilasciato complessivamente 268.007 nuovi permessi a cittadini stranieri che ne sono stati beneficiari per la prima volta: la meta spetta all’Europa (135.150 nuovi permessi), quasi un quarto all’Africa (62.738) e il restante quarto all’Asia (41.096) e all’America (28.429). I motivi prevalenti continuano a essere il lavoro (57,7%) e il ricongiungimento familiare (20,9), tuttavia la loro incidenza è differenziata a seconda che si tratti di nuovi ingressi (nei quali prevale la venuta per ricongiungimento familiare) o di regolarizzati (nei quali è preponderante l’inserimento lavorativo). Detratti i 130.000 permessi a seguito di regolarizzazione, resta una quota di ulteriori 138.000 nuovi permessi che costituiscono i nuovi flussi in entrata. Rispetto ai 110.996 nuovi permessi del 1998 l’aumento è stato del 24% con 28.000 nuovi ingressi in più. Pertanto l’Italia, pur lontana dai nuovi arrivi che continuano a registrarsi in Germania, è nel contesto europeo, insieme alla Gran Bretagna e alla Francia, tra i principali sbocchi delle nuove correnti migratorie e, per consistenza dei nuovi flussi l’Italia si colloca a un livello superiore rispetto alla Francia.

Il 1998 è stato quello in cui gli immigrati, con l’invio delle loro rimesse, hanno superato l’importo monetario fatto pervenire dagli italiani residenti all’estero: 760 miliardi rispetto a 535. Nel 1999 gli immigrati hanno consolidato il loro vantaggio, sfiorando i mille miliardi (988) quasi 400 in più rispetto ai 619 miliardi inviati dagli emigrati italiani. Nel volgere di un anno la capacità di risparmio degli immigrati in Italia è, così, aumentata di un terzo. Nel periodo 1996-1999 il flusso è raddoppiato (nel 1996 le rimesse erano solo 477 miliardi) e anche la capacità di risparmio è passata da 400.000 lire pro-capite nel 1996 a 663.000 nel 1999 e questo a riprova del processo di integrazione in atto.

Se poi si pensa che non tutti i soldi inviati passano attraverso le banche ma vengono portati in famiglia personalmente o tramite amici e che delle rimesse raccolte dalle poste ancora non viene curata una documentazione specifica, non si è lontani dal vero ipotizzando un flusso finanziario effettivo superiore ai 1.500 miliardi di lire.

Secondo le ultime rilevazione del Fondo Monetario Internazionale (1998) le rimesse inviate da tutti i migranti del mondo nei propri paesi sono 61.243 milioni di dollari, pari a circa 106.000 miliardi di lire. Perciò arriva al massimo all’1% la quota detenuta dall’Italia sul totale mondiale delle rimesse, ma ciò lascia intendere che la stabilizzazione in atto della popolazione immigrata determinerà un aumento dei flussi in uscita.

Come inquadrare la situazione attuale e le prospettive? Per il dottor Maurizio Sacconi, responsabile dell’ufficio di Roma dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro "Questo aspetto economico dell’immigrazione appare meritevole di grande attenzione e dimostra la capacità degli immigrati di inserirsi positivamente, a vantaggio del paese che li accoglie e del loro paese di origine, tanto nel contesto italiano che a livello mondiale. Per questo un maggiore impegno per tutelare il loro inserimento lavorativo, in particolare attuando le previsioni delle convenzioni internazionali, non potrà che esplicare effetti positivi".

Le aree, che hanno maggiormente beneficiato dei 998 miliardi di rimesse degli immigrati soggiornanti in Italia, sono i paesi a sviluppo avanzato (507,8 miliardi).

Tra i paesi, dai quali proviene una consistente parte degli immigrati soggiornanti in Italia, quelli dell’Europa dell’Est (18,9 miliardi di lire) e dell’America Latina (24,0 miliardi) sono caratterizzati da un basso flusso di rimesse in arrivo.

Il continente che calamita un maggior invio di rimesse è l’Asia, in particolare con queste nazioni: Filippine 327,1 miliardi di lire, Cina 48,5, India 2,4, Turchia 2,1 e, con più di un miliardo, Singapore, Sri Lanka e Giordania.

L’Africa, pur non avendo un numero di rimesse proporzionale alla consistenza degli immigrati, si segnala con il Marocco (21 miliardi di lire, l’Egitto (6,8 miliardi), il Senegal (6,1), l’Etiopia (2,1) e, con più di un miliardo, la Tunisia, le Isole Mauritius e il Sud Africa.

Notevoli sono, tuttavia, le differenze per area geografica. Tra le regioni italiane si segnalano quelle del Centro Italia (449,8 miliardi di lire, pari al 45,5% delle rimesse inviate da tutta l’Italia), mentre al Nord spettano 361,9 miliardi (36,6%) e al Meridione 176,4 miliardi (17,9%).

 

Spunti statistici per l’inquadramento del "caso italiano"

Per circa la metà degli italiani la società multietnica è esposta al rischio di conflitti e spesso si associa lo straniero alla criminalità o alla perdita del posto di lavoro, associazione che non tiene conto delle distinzioni con cui va affrontato il problema della devianza dei cittadini stranieri (distinguendo in particolare tra regolari, che sono la maggior parte, e irregolari), delle necessità crescenti del mercato del lavoro e anche dei fattori strutturali di espulsione dai paesi di origine. In contrasto con quelli che vedrebbero volentieri gli immigrati rimpatriare, non mancano quelli che considerano l’immigrazione una risorsa, per quanto non scevra di problemi, e sono propensi a governarla al meglio.

Le statistiche riportate costituiscono una base oggettiva per inquadrare senza pregiudizi la situazione e in buona misura anche per vincere le paure. Come è avvenuto per l’emigrazione italiana, della quale già per tempo gli studiosi intravedevano i segni del loro ridimensionamento, diventato a tutti palese nel corso degli anni Settanta, così anche per i flussi di immigrazione dall’estero è tempo di soppesare con maggiore attenzione le proiezioni quantitative e funzionali. Tenuto conto che verso la metà del secolo la popolazione italiana residente diminuirà di quasi un terzo, bisogna mostrarsi più consapevoli della posta in gioco anche perché il fatto di intervenire in ritardo avrà conseguenze devastanti sul mercato del lavoro e sulla convivenza societaria.

Proprio perché si tratta di un rilevante problema societario che interessa tutti, è auspicabile - come si è cercato di fare in questo saggio - che la conoscenza del fenomeno migratorio, attraverso un’agevole presentazione dei dati disponibili, raggiunga il maggior numero di persone.