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Documentazione

STATI GENERALI SULL’IMMIGRAZIONE: POLITICHE LOCALI E PERCORSI DI INTEGRAZIONE


VICENZA 12 GENNAIO 2001.

 

 

 

Intervento della Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie.

 

 

 

 

Premessa

Nell'arco di pochi decenni, dopo essere stata paese di emigrazione, di migrazioni interne e di immigrazione di transito, l'Italia è divenuta paese di immigrazione stabile.

La presenza straniera, in cifre globali, risulta ancora contenuta seppure in crescita, ma non vi è dubbio che l'Italia abbia vissuto e stia vivendo un processo di grande trasformazione, che altrove è stato assimilato in un arco temporale molto più ampio.

 

Rileggere oggi, alla luce dei mutamenti che hanno segnato l'ultimo decennio, la questione immigrazione ci sembra doveroso. La globalizzazione economica e la regionalizzazione dei conflitti determinano il carattere irreversibile dell'immigrazione e impongono agli stati la necessità di adottare azioni strategiche che si adattino alle esigenze locali.

 

In Italia, il calo demografico, la crescita sostenuta, la collocazione geografica, il bisogno pressante di manodopera e di figure professionali carenti nel mercato del lavoro inducono a nuove politiche di governo dei flussi dell'immigrazione.

 

La recente accelerazione di questo fenomeno, evidente nel numero sempre più elevato di immigrati presenti in Italia, rende necessarie nuove chiave di lettura e una diversa capacità di interpretazione.

L'immigrazione non è più una questione marginale, interpretabile esclusivamente come effetto di processi economici e di conflitti etnici. Si tratta semmai di affrontarla sul versante dei cambiamenti economici e sociali che si verificano nei paesi di accoglienza.

Si è aperta in Italia una fase di cambiamento nel corso della quale l'immigrazione si è spostata da una posizione di confine per collocarsi nel cuore dei processi socio economici.

Basti solo ricordare che un quarto delle duecentomila nuove assunzioni avvenute nel 2000 riguardano lavoratori immigrati, che più di centomila bambini figli di immigrati frequentano le scuole italiane, che interi settori produttivi ormai dipendono dalla presenza dei lavoratori immigrati, tra cui quello del lavoro domestico e di cura. Nello stesso tempo la questione sicurezza dei cittadini viene sempre più automaticamente collegata al fenomeno immigrazione, la società civile italiana comincia ad evidenziare concreti segnali di intolleranza, sul piano politico la questione immigrazione sta assumendo una valenza elettorale decisiva.

 

Questo insieme di fatti evidenzia chiaramente la centralità della questione immigrazione, da considerare ormai come un fenomeno che richiede una azione strategica capace di dare risposte concrete sulla base di interpretazioni corrette, così come di arginare i mali che ne derivano.

In questo senso, occorre riconsiderare l'allarmismo sociale derivato dalla trilogia “immigrazione, criminalità, insicurezza” e promuovere una idea di società basata su una chiara strategia dei diritti ed una etica della solidarietà.

Si tratta a questo punto di riproporre con forza la questione del diritto di voto come pilastro dei diritti di cittadinanza, di promuovere l’associazionismo immigrato, di garantire percorsi e processi di partecipazione che rendano fruibili i diritti che l'ordinamento italiano prevede per gli immigrati. Si tratta inoltre di sradicare ogni forma di discriminazione sia a livello istituzionale che nel mondo del lavoro e nella società. Si tratta infine di coniugare e rendere complementari politiche culturali e politiche  sociali.

Si tratta in definitiva di aprire una nuova fase delle politiche dell'immigrazione che si ponga come obiettivo di sviluppare la soggettività e la partecipazione degli immigrati.



Partecipazione e rappresentanza

 

Diritto di voto

Integrazione, cittadinanza e diritti politici sono indissolubili. È contraddittorio chiedere all’immigrato di integrarsi continuando a considerarlo giuridicamente straniero e ad escluderlo dal potere decisionale a tutti i livelli, poiché il mancato godimento dei diritti politici rappresenta un ostacolo per l’integrazione. La partecipazione politica, invece, indebolisce il senso stretto di appartenenza etnica rafforzando l’appartenenza alla comunità politica, consolida la condivisione di valori comuni, in particolare la laicità e il pluralismo. Inoltre, essa arricchisce culturalmente, previene i conflitti, promuove la formazione di una cultura della mondialità e di una società plurale che accoglie le differenze e le valorizza invece di spingerle nei loro integralismi.

Il voto è il più importante strumento di partecipazione politica in uno stato democratico moderno. La globalizzazione e i valori della società multietnica e pluriculturale ci impongono di superare la discriminazione tra nazionalità e cittadinanza, quest’ultima rivista e rifondata in funzione di una società plurale nella quale tutti gli individui che condividono le sue regole e contribuiscono al suo sviluppo devono poter accedere, indipendentemente dal loro luogo di nascita, a tutti i diritti compresi naturalmente quelli politici.

Chi teme una cittadinanza fondata sulla residenza non sa probabilmente che cosa significa scegliere di vivere in un altro paese, ritrovare la propria dignità trovandovi il lavoro, godere di libertà e diritti spesso negati nel paese di origine, provare condizioni di vita agevoli o addirittura il benessere, affezionarsi sempre di più al nuovo paese fino a sentirsi straniero nel paese di origine. Perché negare a tale cittadino il diritto di voto concesso anche agli italiani all’estero nonostante non partecipino alla vita economica e sociale dell’Italia. Una cittadinanza fondata sulla residenza non può che rafforzare la democrazia e  riqualificare le istituzioni democratiche.

La “Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale” approvata dal Consiglio d’Europa il 5 febbraio 1992 invita gli stati europei a garantire diritti elettorali attivi e passivi per gli stranieri nelle elezioni di carattere locale. Infatti, in diversi paesi europei gli stranieri votano nelle elezioni amministrative. Anche l’Italia ha firmato e ratificato questa convenzione escludendo però il capitolo sul diritto di voto degli stranieri.

Il processo di affermazione dei diritti politici degli immigrati è un dovere etico dei politici italiani.

 

 

Associazionismo

I percorsi che conducono alla costituzione di associazioni di immigrati non sono tutti uguali, ma rispecchiano le caratteristiche di ciascun gruppo. Le forme iniziali di aggregazione fra immigrati si realizzano spontaneamente per rispondere al bisogno di riconoscersi e di allacciare una rete naturale di sostegno reciproco. Il passaggio dall'aggregazione spontanea all'associazione avviene quando si avverte la necessità di dare al gruppo una continuità e una strutturazione che gli consenta di rispondere meglio alla crescente complessità dei bisogni e degli interessi dei suoi componenti.

Un associazionismo bicefaloe ha caratterizzato l'arcipelago immigrazione in quanto nello stesso campo, operano associazioni di immigrati ed associazioni laiche o cattoliche. In questo panorama, le associazioni di immigrati hanno notevoli difficoltà logistiche ( sede, mezzi di comunicazione, fax,…) e, di conseguenza, limiti evidenti ad informarsi ed informare i propri associati. Inoltre, la mancanza di risorse finanziarie adeguate confina le loro attività in iniziative di minore rilevanza marginale. Ssi crea quindi una incapacità materiale di sviluppare azioni e strategie per l'integrazione.

Di fattoi, non viene valorizzato il potenziale di risorse umane in esse contenutoe proprio per la mancanza di mezzi finanziari e logistici . Quindi viene meno la possibilità di svolgere la funzione di mediazione politica e culturale, di promuovere delle vertenze territoriali ed infine di dialogare davvero con la società civile.

Sul piano politico, il passaggio dalla rete di relazioni all'associazione, ma soprattutto dall'associazione informale a quella formale, ha un significato di rilievo nell’ottica della rappresentanza politica degli immigrati. In effetti, si rafforza la funzione rivolta a gestire i rapporti esterni del gruppo, in particolare con la società locale e con le sue istituzioni. Questo passaggio presuppone la presa di coscienza che la partita si gioca prevalentemente nel paese di residenza. Ma proprio per la riluttanza ad ammettere l'irreversibilità della propria immigrazione, questa funzione viene spesso solo sottintesa dal gruppo. Se si tratta di gestire l'inserimento del gruppo nella competizione sociale e di rappresentarlo di fronte alle istituzioni locali, si rendono necessarie, da una parte, una conoscenza delle dinamiche politico-istituzionali locali e dall'altra una legittimazione, vale a dire una delega del gruppo che garantisca un minimo di rappresentatività.

 

Consigli territoriali

 

L'istituzione dei consigli territoriali ha inaugurato una nuova fase nelle politiche territoriali dell'immigrazione. Certamente, questo forte decentramento a livello provinciale crea una prossimità tra i luoghi di elaborazione della politica e i soggetti,  nonché attori, destinatari. La fase di inizio presenta però delle notevoli difficoltà in quanto i consigli già costituiti non hanno elaborato un piano di intervento, dei progetti e delle strategie, insomma, la loro istituzione si manifesta come l'ennesimo esempio di democrazia formale.

Per quanto riguarda la costituzione di questi organi si riscontra, in generale, una mancanza di chiarezza nei criteri di scelta delle associazioni chiamate a farne parte, soprattutto per quel che riguarda le associazioni di immigrati. La maggior parte delle associazioni di immigrati che vengono messe al corrente dell’esistenza del Consiglio Territoriale sono ambiziose di farne parte rischiando talvolta di creare anche qualche rivalità. Benché il Consiglio Territoriale sia  un organismo sull’immigrazione, la tendenza generale è di sottovalutare i veri protagonisti: i componenti immigrati sono molto spesso considerati solo dal punto di vista formale e non decisionale.

Un diverso tipo di problemi si riscontra in relazione alle modalità di funzionamento e di gestione da parte dei Prefetti. Accogliendo il nuovo ruolo che è stato loro  affidato dalla legge, i Prefetti potrebbero approfondire in maniera meno burocratica la materia e conoscere meglio i suoi protagonisti. Inoltre, i Prefetti sembrano esprimere spesso un atteggiamento di diffidenza e di sottovalutazione nei confronti delle associazioni di immigrati rispetto alle quali sembrano ritenere che basti rispettare il numero minimo di due rappresentanti previsto dalla legge per essere “a posto”. Secondo il parere di alcuni Prefetti, un numero più alto di rappresentanti di associazioni di stranieri potrebbe trasformare le assemblee del Consiglio Territoriale in incontri inconcludenti e poco operativi. I Prefetti sembrano dare maggior credibilità a rappresentanti di associazioni di matrice strettamente Italiana (Associazioni di Industriali, Comuni, Sindacati, Caritas, ecc...).  Al contrario, sarebbe molto utile mettere tutti i componenti del Consiglio sullo stesso piano in modo da fare frutto delle loro diverse esperienze. È anche da ammettere tuttavia che spesso l’impreparazione e la mancanza di  informazione di tanti rappresentanti di associazioni di immigrati non facilita la collaborazione ma genera diffidenza. Certamente il fatto che il Prefetto diriga il Consiglio Territoriale garantisce il carattere operativo del Consiglio medesimo anche per l’autorevolezza della carica tanto a livello locale quanto a livello nazionale. Inoltre, la presenza del Prefetto e del Questore nel Consiglio dovrebbe consentire una migliore comprensione del fenomeno e delle problematiche dell’immigrazione e conseguentemente facilitare le procedure di soggiorno dei cittadini immigrati.  Proponiamo inoltre che sia portato da due a cinque il numero minimo di rappresentanti di associazioni di immigrati in modo da tener conto delle  principali aree di provenienza di immigrati. Si tratta inoltre di garantire una maggiore partecipazione delle associazioni di immigrati e/o delle loro rappresentanze, organizzando se necessario delle elezioni al fine di decidere nella trasparenza e nel rispetto delle regole democratiche chi rappresenta chi. Dalla chiarezza della rappresentanza potrà allora derivare un concreto rapporto di collaborazione fra i Consigli Territoriali, gli Enti locali e la Consulta Nazionale .

È chiaro che le consulte dovranno creare una nuova dinamica di partecipazione e promuovere le idonee iniziative di ricerca azione, per approfondire le conoscenze in campo, al fine di adottare strategie per l'integrazione a partire dalle peculiarità territoriali. È necessario prevedere quindi un piano di finanziamento delle associazioni di immigrati per una loro crescita professionale e per un migliore utilizzo delle loro risorse umane.

 

Immigrazione e società multiculturale

 

Cittadinanza

La questione della cittadinanza, forse più di ogni altra, indica i principi costitutivi di una società, determinando la natura del patto che unisce l'individuo alla comunità civile e l’appartenenza ad una comunità. Questa questione si inserisce oggi nel contesto di un fenomeno in divenire quale quello dell’immigrazione, che nell’ultimo decennio ha conosciuto cambiamenti di rilievo che impongono di riformare la pur recente legislazione in vigore.

La L.91 del 1992 risponde infatti maggiormente ai principi e alle prospettive di un paese di emigrazione (v. l'attenzione ai discendenti di cittadini italiani) che alle esigenze di una società sempre più multiculturale.

Ci sembra in primo luogo da rivedere il modo ordinario di acquisto della cittadinanza per i cittadini non comunitari che viene fatto dipendere da un periodo di permanenza legale in Italia di dieci anni. Al momento, l’acquisto della cittadinanza, pur in presenza di tutti i requisiti richiesti dalla legge, non rappresenta un diritto, ma dipende da una concessione discrezionale della P.A. che ha, tra l’altro, tempi altamente incerti. Inoltre questa concessione si basa sulla valutazione di fattori quali l'autosufficienza economica, il comportamento fiscale e la mancanza di precedenti penali.

Vi è da domandarsi se siano questi gli elementi principali e/o esclusivi da prendere a riferimento per valutare il grado di integrazione dell'individuo e non anche altri, quali la conoscenza della lingua, della cultura, del sistema di governo del paese, ecc.

Inoltre, per favorire l’integrazione dei figli di stranieri nati e cresciuti in Italia, ci sembra necessario semplificare l'acquisto per beneficio di legge in seguito alla nascita in Italia, che al momento richiede una residenza legale senza interruzioni fino alla maggiore età. Una semplificazione procedurale rafforzerebbe, ufficializzandolo, il legame di appartenenza alla comunità da parte di chi nascendo e crescendo in Italia tende, comunque, a radicarsi nella cultura locale. Non sembrerebbe possibile però semplificare e abbreviare la procedura per l’acquisto della cittadinanza da parte del bambino che nasce in Italia da stranieri, rafforzando così il principio di ius soli, senza inserire dei meccanismi per il consequenziale acquisto della cittadinanza da parte dei genitori.

Infine, anche alla luce degli abusi emersi in questi anni, andrebbe rivisto in senso restrittivo il meccanismo di acquisizione della cittadinanza per matrimonio.

 

Stato dell’integrazione (problemi di applicazione della legge)

La legge ha evidenziato contraddizioni e limiti operativi che lo stesso regolamento di attuazione non sempre è riuscito a superare. Ci sono inoltre notevoli difformità di applicazione delle norme nelle varie realtà del paese. Spesso le persone che lavorano negli Uffici stranieri non sono competenti in materia e sono poco sensibili ai problemi degli immigrati.

Vorremmo segnalare alcuni punti di particolare criticità:

1)Tutte le misure e le iniziative previste dalla normativa a livello locale, fondamentali ai fini dell’integrazione, hanno avuto scarsa o molto parziale attuazione.

2)Le difficoltà che già da tempo vengono segnalate per quanto riguarda il rinnovo del permesso di soggiorno sono destinate ad aumentare nei prossimi tempi, sia per il permesso di soggiorno per lavoro autonomo che per iscrizione nelle liste di collocamento. In questo ultimo caso, la legge consente il rinnovo per un solo anno alla scadenza del quale ci sono alte probabilità di ricaduta nell’irregolarità di persone che spesso vivono da anni regolarmente in Italia e si sono semplicemente trovate ad affrontare un periodo di disoccupazione.

3) Tempi lunghi e procedure troppo rigide per ottenere il ricongiungimento familiare. Sembra per esempio eccessivo pretendere dai cittadini stranieri l’onere di dimostrare la conformità dell’abitazione ai requisiti previsti dalla legge regionale mediante l’esibizione dell’attestazione dell’ufficio tecnico comunale competente o dell’azienda sanitaria di zona al fine di poter ottenere il ricongiungimento familiare. Temiamo, infatti, che l’apparente scopo di garantire un alloggio confortevole e dignitoso agli stranieri immigrati costituisca, in realtà, un’ulteriore barriera al loro inserimento sociale.

4) Ritardi e procedure poco chiare nella concessione della carta di soggiorno.

5) Procedure lunghe per il riconoscimento dei titoli di studio

6) Mancata previsione di quote specifiche che consentano agli studenti che terminano il loro corso di studi di convertire il permesso da studio a lavoro. Essendo tale conversione vincolata al rispetto delle quote, normalmente all’epoca dell’anno in cui gli studenti completano i corsi e conseguono i diplomi, le quote per lavoro risultano già esaurite e la conversione si rivela impossibile.

7) Procedure complesse per la formalizzazione di un rapporto di lavoro, anche quando rientra nelle quote.

 

Discriminazione

La risoluzione 12/52 delle Nazioni Unite promuove il 2001 come anno internazionale contro il razzismo. Tale iniziativa deriva dalla recrudescenza degli atti di razzismo, di intolleranza e di xenofobia, mentre l'ultimo decennio si è inaugurato con l'eliminazione dell'apartheid. L'Italia ha conosciuto nell'arco dell'ultimo decennio un mutamento quasi radicale sia sul versante della moltiplicazione degli atti di razzismo, sia sul versante di una decrescente sensibilità della società civile. In effetti la grande risposta di sensibilità e di civiltà espressa dall'intera società italiana nel 1989 quando fu ucciso Jerry Essan Maslo, non si è verificata a dieci anni di distanza, quando jon Iacazzu il lavoratore rumeno che cercava di essere regolarizzato dal suo datore di lavoro fu bruciato vivo da quest'ultimo. La questione della discriminazione trova quindi un humus sociale e prosegue la sua evoluzione attraverso le politiche sociali, le politiche del lavoro, le regole delle istituzioni ecc…

L'ordinamento giuridico italiano considera illecita ogni forma di discriminazione, intesa come ingiustificata differenziazione nel trattamento della persona; specie se detta discriminazione risulti causata dall’origine etnica, nazionale o religiosa del soggetto discriminato. Numerose norme, infatti, vietano e sanzionano gli atti discriminatori. Ricordiamo, in primo luogo, la legge 13.10.1975, n.654, di ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, cui è seguita la legge 25.6.1993, n.205, con le quali il legislatore ha provveduto a determinare l’area della rilevanza penale dei comportamenti discriminatori messi in atto per motivi razziali, etnici o religiosi.

Opportunamente, questa normativa di stampo penalistico, mirante a reprimere condotte particolarmente gravi e violente, è ora affiancata dagli artt. 43 e 44 del d.lgv 25.7.1998, n.286, testo unico in materia di immigrazione (corrispondenti agli artt. 41 e 42 della Legge n.40/1998) che hanno dato forma e rilevanza civilistica alla discriminazione razziale, in qualunque ambito essa abbia occasione di esprimersi. Dobbiamo però constatare che se, almeno sul piano normativo, la discriminazione intenzionale e palese risulta adeguatamente contrastata e sanzionata, non altrettanto può dirsi delle numerose e gravi forme di discriminazione indiretta o subdola che si esprime, a volte, attraverso l’adozione da parte delle pubbliche amministrazioni, specie a livello delle autonomie locali, di provvedimenti amministrativi nei quali l’intento discriminatorio ed emarginante è dissimulato.

Persiste, inoltre, al di sotto e, talvolta, in concreta contraddizione con l’enunciazione legislativa del divieto di discriminazione, una produzione normativa, specie a livello regolamentare, che stabilisce ingiustificabili differenze nel trattamento degli stranieri, oppure che, ignorando le diverse condizioni ed esigenze di questi ultimi, li sottopone ad un regime stolidamente uniforme ed emarginante. A questo riguardo ci sembra opportuno segnalare alcune situazioni emblematiche sulle quali sarebbe opportuno e urgente intervenire.

Il libretto di lavoro. Al cittadino italiano il libretto di lavoro viene rilasciato dall’ente locale senza difficoltà. Il cittadino straniero, invece, lo può ottenere solo presentandosi assieme al datore di lavoro, o con una dichiarazione di assunzione, ed esclusivamente per il tempo in cui è occupato. Questo significa che il lavoratore straniero che ottenga un’offerta di impiego in un luogo (per ipotesi, Treviso) diverso da quello della sua ultima occupazione (per ipotesi, Messina), debba, in fatto, ritornare all’ispettorato del lavoro situato nel luogo di ultima occupazione con il datore di lavoro o con una sua dichiarazione, farsi rilasciare il libretto di lavoro e ripresentarsi al nuovo datore di lavoro. Si tratta, evidentemente, di una prassi estremamente disagevole, specie se si considera che il lavoratore straniero cui sia stato offerto un impiego, è, ancora, a quel momento, disoccupato e perciò in gravi difficoltà economiche.

Provvidenze di assistenza sociale.  Le provvidenze di assistenza sociale previste dall’art.41 del t.u. sull’immigrazione a favore di coloro che abbiano un permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno sono state successivamente sospese dal legislatore, che le ha mantenute, invece, solo a favore dei titolari della carta di soggiorno. Si tratta di una decisione ingiusta, dato che sia i titolari di permesso di soggiorno sia i titolari della carta di soggiorno lavorano e contribuiscono alla ricchezza del nostro paese.

Accesso alla formazione professionale superiore  Nonostante il fatto che per gli stranieri regolarmente residenti in Italia sia prevista la condizione di parità nell’accesso alla istruzione, anche superiore, ed alla formazione professionale, le segreterie universitarie rifiutano l’iscrizione agli stranieri residenti, già laureatisi in una università italiana, ai corsi di specializzazione e di perfezionamento. In particolare, risulta grave l’esclusione dei medici dai corsi di specializzazione, riguardo alla quale sono state raccolte diverse segnalazioni.

Necessità di una corretta informazione. Una certa preoccupazione deve essere espressa per l’atteggiamento assunto dai media sul tema della presenza straniera in Italia. La selezione delle notizie sembra spesso arbitraria e non di rado priva di riscontri effettivi, mentre non ricevono adeguato spazio informativo i numerosi aspetti positivi dell’immigrazione straniera

Manifestazioni di xenofobia e antisemitismo. Si assiste con preoccupazione all’affermarsi di un clima violento e xenofobo, anche in occasione di manifestazioni sportive, specie calcistiche. Più in generale, il ripetersi di gravissimi episodi di xenofobia e di antisemitismo a livello europeo dovrebbe coinvolgere maggiormente le istituzioni nell’impegno a costruire una convivenza civile non violenta ed una più consapevole memoria storica , unitamente ad una più corretta ed ampia informazione sui grandi temi della pace e della giustizia.

 

Le famiglie, donne e bambini immigrati in Italia

Superata la fase di emergenza che ha caratterizzato tutto il decennio ’90 l’immigrazione in Italia ha iniziato una nuova tappa di progressiva ‘normalizzazionÈ dovuta, tra l’altro, alla trasformazione delle caratteristiche ‘demografichÈ della popolazione in arrivo. Una maggiore presenza delle donne, degli immigrati coniugati e l’innalzamento della classe di età sono fattori che contribuiscono a questa normalizzazione.

I dati relativi ai visti per ricongiungimento familiare (circa 45.000 nel 1998 e nel 1999) rivelano una crescente presenza femminile e familiare, proveniente soprattutto dall’Oriente, dal Nord Africa e dall’America Latina: da queste zone del mondo, ormai, i visti per motivi di lavoro sono il 25% di quelli richiesti per motivi familiari.

È ragionevole perciò immaginare che nella nuova fase che si sta aprendo le famiglie avranno un ruolo fondamentale e appare consigliabile pianificare interventi mirati ad agevolare l’inserimento del gruppo familiare puntando soprattutto a migliorare la condizione dei membri più a rischio.

Al 31 dicembre 1998, sul totale degli stranieri presenti in Italia (1.033.235) le donne rappresentano il 46,8%, pari a 483.546 unità. Come è noto, l’incidenza della componente femminile sulla popolazione immigrata varia a seconda delle aree geografiche di provenienza e dei motivi alla base della scelta di emigrare in Italia.

 

La condizione delle donne immigrate è aggravata, rispetto a quella della componente maschile, da un fattore di tipo culturale: la lingua. Infatti, mentre la popolazione maschile, per tradizione più socialmente attiva (ad esempio, nel mercato del lavoro), riesce ad inserirsi più facilmente nel nuovo contesto sociale (anche imparando la lingua del paese di accoglienza), non altrettanto si può dire delle donne, necessariamente concentrate sulla famiglia e sulla cura  dei figli. Le donne tendono quindi a perpetuare modelli culturali ancora legati al paese di provenienza (lingua, usanze, costumi) e ad essere meno partecipi nella vita sociale del paese di accoglienza. Questo succede soprattutto nel caso di donne che si ricongiungono ai mariti, i quali già inseriti nel contesto di accoglienza non sono sempre dei “buoni” mediatori per l‘inserimento delle mogli se queste ultime non si attivano da sole verso l‘esterno partecipando a corsi di lingua o non sono stimolate all’uso della lingua italiana all’interno del nucleo familiare.

 

Diverso si presenta il caso di quelle donne che emigrano da sole ed il cui inserimento incontra tutte le difficoltà proprie di chi non ha un adeguato sostegno familiare. Ancora diverso, e con caratteri di emarginazione estrema, è il caso delle donne forzate all'interno di circuiti illegali di cui la tratta è un aspetto gravissimo.

Questa marginalità culturale, quindi, sommandosi alle oggettive difficoltà di integrazione, costringe la donna immigrata a subire una situazione di estremo disagio.

È chiaro, dunque, come l’integrazione degli immigrati sia un processo lento e difficile nel quale il ruolo della donna, soprattutto come moglie e come madre, è fondamentale e per questo va sostenuto attraverso interventi mirati, finalizzati al loro inserimento graduale nei vari settori della società civile.

 

Vorremmo in questa sede proporre alcuni suggerimenti:

 

1.      Unità familiare come diritto soggettivo di tutti i lavoratori e lavoratrici immigrati/e; semplificazione delle procedure amministrative e riduzione della discrezionalità degli uffici periferici;

2.      accesso ai benefici socio-economici (sostegno alla maternità ed alla famiglia, sostegno scolastico, ecc.) per tutti gli uomini, donne e bambini/e legalmente soggiornanti, non solo per quelle/i in possesso della Carta di Soggiorno;

3.      flessibilità degli orari scolastici, utili anche alle donne italiane. Tra le attività di dopo scuola è importante inserire il sostegno all’apprendimento della lingua italiana per i minori che ne hanno bisogno;

4.      iniziare l’educazione alla multiculturalità già nella scuola materna;

5.      in questo momento si parla di bambini/e immigrati/e, datti in affidamento e poi in adozione a famiglie italiane, anche se in presenza di una madre naturale che rivendica la propria maternità. Occorre un’immediata verifica delle procedure delle adozioni dei bambini stranieri residenti in Italia ed un adeguato sostegno alle madri in difficoltà; si tratta anche di ripensare in un’ottica diversa gli stessi criteri di valutazione in base ai quali i bambini vengono separati dai genitori naturali per mancanza di mezzi di sostentamento e verificare se sussistono le condizioni che consentano ai genitori di affidarli a parenti residenti in Italia o nel paese di origine;

6.      occorre ridefinire i parametri e i criteri della presentazione e valutazione dei progetti, privilegiando i contenuti e le idee alla forma, ove non discriminare le associazioni degli immigrati/e (in particolare per quanto riguarda i progetti delle donne, mirati all’ascolto e all’assistenza di donne e bambini) che, oltre al limite linguistico, non hanno ancora maturato esperienza metodologica sufficiente all’elaborazione dei progetti stessi;

7.      si suggerisce con forza il ricorso  alla formazione linguistico-culturale, strumento di efficacia immediata per superare l'isolamento e la marginalità derivanti dalla difficoltà (se non dall'impossibilità) di partecipare alla vita sociale quotidiana. Non si dovrebbe trattare solo di corsi di lingua italiana, ma anche, ad esempio, di educazione civica (informazione sulle leggi e gli usi del nostro Paese); la formazione transculturale, già sperimentata con successo, potrebbe essere la modalità più adeguata. A questo proposito è opportuno sottolineare l’estrema importanza della figura del mediatore culturale che, purtroppo, sino ad oggi, non ha trovato spazi adeguati.

 

Conclusioni

Uno dei grandi quesiti posti dal multiculturalismo è quello della diversità. Come si può trattare la diversità? Quale posto le deve essere attribuito nel sistema sociale? La diversità è ricchezza o impoverimento? Un vantaggio o una minaccia?

Per dare una risposta  è importante ricordare che la diversità non è semplicemente un concetto filosofico né una forma semantica. La diversità è prima di tutto una realtà concreta, un processo umano e sociale. La diversità si manifesta nelle pratiche quotidiane e partecipa di un processo storico. Quindi è impossibile capire la diversità senza  prendere in considerazione i mutamenti e le evoluzioni che la caratterizzano nella sua dinamicità. In ogni momento, se si considera il passato, e il processo dal quale deriva la diversità , essa si manifesta come risultato, mentre se si considera la continuità e la dinamica del processo, essa si manifesta come transizione .

L'Italia si trova dinanzi ad una accellerazione dei mutamenti della propria società e si trova ad affrontare la questione della diversità come necessità alla sopravvivenza del suo sistema produttivo, al ricambio generazionale della sua popolazione e quindi ha una sola alternativa per gestire questo confronto: la valorizzazione della diversità come antidoto contro l'eventualità di un ritorno alla barbarie. Si tratta quindi di adeguare il contesto politico, sociale e culturale italiano alla questione della diversità degli immigrati ponendo la questione multiculturale come una sfida di civiltà.



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