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Documentazione

I Gruppo di lavoro

“Politiche di inserimento e pari opportunità”

Relatore: Assessore Raffaele Zanon

 

§         Premesse

 

La gestione delle politiche e degli interventi in materia di immigrazione, anche per quanto riguarda l’inserimento e l’avviamento al lavoro, necessita di una distinzione di base tra l’immigrazione regolare e quella irregolare e tra lavoro regolare e lavoro irregolare. Tale distinzione segna la linea di demarcazione tra le tipologie di intervento ma anche tra gli organismi competenti a tali interventi. Quando si parla di regolare e irregolari, va ribadito, pur nella più ferma richiesta di potenziare la lotta all’illegalità, che il concetto di irregolarità non è sovrapponibile a quello di criminalità. Per cui spesso la condizione di irregolarità degli immigrati non è dovuta alla volontà soggettiva degli stessi, ma alle caratteristiche del contesto.

 

In alcune aree geografiche del territorio nazionale convivono tanto problematiche connesse alla pressante richiesta, proveniente dal mercato del lavoro, di manodopera straniera - spesso specializzata - in quanto la forza lavoro reperibile sul territorio non è sufficiente alle esigenze del sistema produttivo - quanto forti tensioni sociali causate dalla ingente presenza di immigrazione clandestina spesso collegata a fenomeni di criminalità.

E’ necessario intrecciare le politiche del lavoro con quelle tese a favorire il supporto alla piena inclusione e quindi alle pari opportunità di accesso ai diritti civili e di cittadinanza. Il lavoro da solo non basta a evitare disagio e marginalità.

 

§         Il quadro generale

 

Gli immigrati sono ormai una componente strutturale del mercato occupazionale italiano. Costituiscono più del 3% della forza lavoro, con una notevole incidenza nel settore del lavoro dipendente e un’incidenza molto scarsa nel settore del lavoro autonomo; vengono molto richiesti nei settori dell’industria e dell’agricoltura e, rispetto ad una volta, di meno nel terziario; nella stragrande maggioranza dei casi sono chiamati a svolgere compiti di manovalanza.

 

Sono in aumento gli avviamenti al lavoro, rispetto all’andamento degli anni precedenti.

 

A partire dal mese di marzo 2000 è possibile disporre tramite l’INAIL di una rilevazione più precisa delle nuove assunzioni. In proiezione nel corso del 2000 si possono stimare pari a circa 100.000 le nuove assunzioni di lavoratori immigrati al netto dei licenziamenti: è immigrato poco meno di uno ogni dieci assunti.

 

 

 

 

§         Gli sbocchi lavorativi prevalenti e i punti di criticità

 

Vi sono alcuni aspetti, che maggiormente caratterizzano l’inserimento lavorativo degli immigrati, inserimento che ha in genere un carattere di complementarietà rispetto all’occupazione degli italiani:

-         più accentuata mobilità territoriale

-         prevalenza nell’impiego presso le piccole e medie imprese, nei lavori stagionali, nelle occupazioni pesanti disagiate e precarie, nel basso terziario tipicamente urbano e nelle occupazioni irregolari.

 

Gli avviamenti effettuati nel 1999 mostrano che in quattro casi su dieci si è trattato di operai generici per le mansioni più umili, mentre i posti per operai specializzati sono stati appena 6.180 e quello per impiegati 4.592. Gli stessi lavoratori chiamati dall’estero vengono per lo più per svolgere lavori stagionali e in molti casi per lo svolgimento di lavori generici.

 

Un elemento di forte criticità è l’utilizzo dell’accentuata mobilità degli immigrati. Questa loro disponibilità, quanto mai funzionale alle esigenze del nostro mercato di lavoro, è facilmente utilizzabile nella fase di primo insediamento, quando viene elaborato il progetto migratorio, e, come è avvenuto per gli italiani, in gran parte viene meno quando gli immigrati hanno stretto molteplici legami in un determinato contesto territoriale. Questa constatazione accentua l’esigenza di un sistema di collocamento agile ed efficace, l’unico in grado di evitare che i posti vuoti delle aree forti debbano essere coperti per quote supplementari di arrivi dall’estero senza utilizzare le eccedenze occupazionali delle aree deboli.

Un discorso a parte merita l’ampio settore del lavoro nero. Secondo rilevazioni dell’INPS un buon terzo degli immigrati titolari di permesso di soggiorno per motivi di lavoro non è in regola sotto il profilo dell’inquadramento lavorativo questo, oltre a provare seri danni per la previdenza e il fisco, è di grave pregiudizio agli stessi immigrati.

 

I risultati delle ispezioni effettuate nel 1999 dal Ministero del Lavoro - Direzione generale dell’impiego, confermano grosso modo queste acquisizioni. Su 100 lavoratori immigrati che lavorano

-         63 sono in regola con il soggiorno e con i contributi

-          25 sono in regola con il soggiorno ma non con i contributi.

-         12 non lo sono né con il soggiorno né con i contributi

 

Questi risultati si riferiscono a 57.393 aziende ispezionate con 1.024.650 dipendenti di cui 21.695 lavoratori immigrati pari a 2,1% della forza lavoro.

 

Al Ministero del Lavoro va chiesto di predisporre nel futuro il piano annuale delle ispezioni secondo un campionamento rigoroso che, provincia per provincia, consenta di tenere conto delle specifiche caratteristiche produttive così che i risultati complessivi offrano uno spaccato più attendibile di quanto avviene e consentano di avviare con maggiore efficacia i piani per il recupero dall’irregolarità sia degli italiani sia degli immigrati.

 

Un settore importantissimo e di vaste dimensioni è costituito dal lavoro autonomo. Su circa750 mila permessi di soggiorno per motivi di lavoro, risultati validi all’inizio del 2000, i lavoratori autonomi erano appena 66.000 (1.1%), con un’incidenza molto più bassa rispetto agli italiani (in pratica un immigrato ogni 100 lavoratori del settore). Questa realtà va meglio indagata, con tutti i suoi problemi pur complessi e difficili da risolvere, assumendo come valore prioritario la visibilità e la regolarità degli immigrati operanti nel settore nell’ottica di un soddisfacente processo d’integrazione sociale.

 

 

§         La formazione professionale e le politiche lavorative

 

I dati citati pongono problemi molto seri per quanto riguarda la possibilità di estensione del lavoro regolare, dipendente ed autonomo, l’utilizzo dei lavoratori già presenti in Italia, ancora, per quanto riguarda la possibilità di diminuire il tasso di disoccupazione

 

Indubbiamente sarebbe opportuno affiancare alle politiche formative esistenti ulteriori interventi e misure organiche, propedeutiche all’inserimento lavorativo, quali:

-         una formazione professionale più breve, più efficace e mirata, che comprenda l’insegnamento di base dell’italiano come lingua seconda e la normativa sulla tutele della salute e dell’integrità fisica, come anche l’acquisizione di quelle competenze tecniche che consentano un’agevole collocabilità e quelle cognizioni di base civiche e giuridiche che facilitino l’inserimento nel contesto sociale e lavorativo;

-         per gli immigrati già presenti in Italia per i quali si pongono esigenze di riqualificazioni professionali, approntamento di linee di formazione continua;

-         sistemi diffusi d’informazione della domanda e dell’offerta di lavoro, degli atti necessari, per  finalmente  raccordare contesti territoriali ad alta disoccupazione ed altri con penuria di mano d’opera;

-         moduli formativi brevi, specifici e intensivi, che consentano l’ottenimento delle qualifiche;

-         percorsi  formativi lunghi con  possibilità di ottenere il permesso di soggiorno per motivi di studio;

-         sulla base di analisi della situazione reale sembrano infine utili  misure di flessibilizzazione di alcune normative, sia per il lavoro dipendente che per quello autonomo.

 

 

§         Le buone pratiche e le aperture legislative

 

L’orientamento fondamentale da seguire consiste nel riuscire a passare dalla gestione dell’emergenza alla gestione dall’ordinarietà. Ciò significa creare le condizioni di pacifica e civile convivenza, che possono provenire solo da misure e interventi precisi, calibrati e ponderati che, rifuggendo da logiche demagogiche e ipocritamente “buoniste” e da logiche pregiudizialmente discriminatorie, considerino le effettive esigenze e possibilità di assorbimento da parte del sistema sociale e produttivo territoriale; con la seguente precisazione: in questo ordine di valutazioni, e in modo particolare nella determinazione dei flussi, un ruolo determinante va garantito agli organi istituzionali e ai soggetti sociali ed economici che operano e determinano il sistema socio-economico che, ovviamente, non è identico in tutto il territorio nazionale. In tale ottica anche l’organizzazione di servizi sociali adeguati costituisce un sostegno fondamentale perché rendono praticabile un corretto percorso d’integrazione sociale e di cittadinanza. Tra questi diritti, da ritenere prioritari in questa fase in cui si ricompongono o si creano i nuclei familiari, vanno menzionati, oltre all’alloggio (problema di difficilissima soluzione), gli asili e le scuole materne, da riconsiderare in termini di adeguatezza, accessibilità burocratica, economica e organizzativa.

Le ragioni dell’economia non sono, nelle gestione dei flussi, le uniche di cui tener conto:

esiste un problema di sostenibilità sociale e del territorio inteso come capacità di ricevere i flussi di immigrazione che legittima l’intervento politico nel determinare le quote in misura anche indipendente dal fabbisogno espresso dal mercato del lavoro e attenta invece ad un più ampio concetto di sostenibilità sociale (capacità di accoglienza, abitazioni, integrazioni).

Per quanto riguarda le quote di ingresso, non può essere considerata immigrazione una presenza sul territorio per una prestazione di lavoro che non supera un periodo di circa cinquanta giorni e dove i lavoratori immediatamente dopo il periodo lavorativo rientrano nel loro paese di origine (esempio raccolta della frutta).

In questo contesto è da rivedere la definizione del contingente riguardante e autorizzazioni stagionali in quanto non rispetta la effettiva realtà. Attualmente un lavoratore viene conteggiato come nuovo ingresso nonostante sia già stato conteggiato al primo ingresso in un anno precedente.

Sono da semplificare le procedure per il rilascio delle autorizzazioni al lavoro perché l’attuale iter burocratico indirettamente favorisce il ricorso al lavoro nero.

In caso di assunzione in un nuovo posto di lavoro l’onere dell’alloggio e del controllo penale deve passare al successivo datore di lavoro.

Ancora con riferimento al miglioramento della gestione dei flussi d’ingresso appare opportuno:

·        potenziare i permessi di soggiorno per ricerca di lavoro;

·        prevedere l’inserimento in tutti gli uffici del lavoro della figura del mediatore culturale per l’informazione ma anche per l’orientamento al contesto;

·        raccordare gli uffici provinciali (Centri per l’impiego) alle direzioni provinciali del lavoro per risolvere i problemi generati dalle contigue competenze in materia di lavoro per gli extracomunitari.

 

A livello fiscale vanno potenziate le misure che incentivano il versamento dei contributi previdenziali per la copertura dei lavoratori immigrati.

 

A livello legislativo vanno rafforzate le norme che, distinguendo tra immigrazione clandestina e regolare, facilitano l’inserimento di quest’ultima nel contesto socio-lavorativo, e agevolano la possibilità di eliminare la prima.

A livello legislativo e burocratico vanno semplificate le normative e le procedure - anche fissando tempi certi di espletamento – che, o in linea di principio o nella loro concreta attuazione, sono talvolta talmente rigide da esser controproducenti.

 

E’ stato anche posto il problema del lavoro autonomo che in alcune realtà territoriali ha assunto rilevanza economica e occupazionale di grande spessore, ma, in molti casi nasconde situazioni di marginalità e irregolarità. Anche per queste situazioni vanno studiati aggiustamenti normativi e approntate specifiche linee di attività di formazione e di aggiornamento.

 

Per dare risposte positive a tutte queste problematiche si possono percorrere strade diverse anche contrapposte, ma l’approccio più idoneo appare indubbiamente quello della concertazione e del coordinamento degli interventi tra tutti i soggetti deputati ad intervenire in materia.

 

Il primo esempio del fatto che, per quanto difficile, tale strada è percorribile, viene dalla Regione ospitante gli Stati Generali, il Veneto, che proprio in settimana ha ottenuto unanime adesione di categorie produttive, parti sociali (CGIL, CISL e UIL) e Enti Locali maggiormente rappresentativi, ad un Protocollo d’Intesa, sulle politiche per l’immigrazione dando avvio ad  un sistema regionale organico e coordinato di azioni complementari mirate su ambiti di particolare importanza e delicatezza quali la formazione, l’alloggio, i servizi per i lavoratori immigrati e le loro famiglie, il governo dei flussi migratori.

 

 

§         Elasticità del sistema

 

Per affrontare in modo responsabile le problematiche connesse all’immigrazione è necessario dimostrare  capacità e il senso di responsabilità coinvolgendo nelle valutazioni l’intero sistema dei cosiddetti flussi migratori e cioè non solo l’immigrazione da altri Stati verso l’Italia, ma anche la cosiddetta emigrazione di ritorno, ovvero quei cittadini italiani o discendenti di cittadini italiani che potrebbero rientrare nelle terre d’origine alla ricerca di quegli sbocchi lavorativi che le Nazioni nelle quali oggi risiedono non sono più in grado di offrire; e, ancora, i flussi migratori all’interno del territorio nazionale.

Solo affrontando la questione in modo elastico e complessivo, estendendo a tutti questi potenziali soggetti le medesime opportunità e garanzie, in termini formativi, occupazionali, di inserimento sociale e per quanto concerne l’alloggio, si può pensare di creare un sistema equo ed equilibrato.

 

 



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