toolbar.gif spacer.gif
toolbarB1.gif Home Cerca Mappa del sito toolbarB8.gif
Scrivi al webmaster suggerimenti e consigli. Sportello del cittadino
menu.gif
Infanzia e adoloscenza Famiglia Anziani Povertà e esclusione sociale Immigrazione Immigrazione Il Gestore di Sapienza che ti segue passo dopo passo Volontariato Politiche giovanili Tossicodipendenze Disabili Adozioni Internazionali
Documentazione

IMMIGRAZIONE E LAVORO


STATI GENERALI SULL’IMMIGRAZIONE: POLITICHE LOCALI E PERCORSI DI INTEGRAZIONE

Vicenza 12 gennaio 2001

 

Intervento del ministro per la solidarietà sociale, on.le Livia Turco

 

PARLIAMO DI DONNE E DI UOMINI IMMIGRATI E NON DI CLANDESTINI E SBARCHI. PARLIAMO DEL 1.200.00 IMMIGRATI  CHE SONO NECESSARI ALLA NOSTRA ECONOMIA, CHE CI AIUTANO A VIVERE MEGLIO, MA I CUI BISOGNI NOI CONTINUIAMO AD IGNORARE.

FINALMENTE PARLIAMO DEL NON DETTO E DEL “ANCORA NON FATTO” DELLE POLITICHE DELL’IMMIGRAZIONE.

PARTIAMO DAL PARADOSSO CHE QUESTA REGIONE MANIFESTA: SECONDO UNO STUDIO DELA FONDAZIONE NORD-EST QUESTA È LA REGIONE CHE PIÙ HA BISOGNO DI IMMIGRATI ED È, NELLO STESSO TEMPO, LA REGIONE CHE HA PIÙ PAURA DEGLI IMMIGRATI.

ECCO, A QUESTO SERVONO LE POLITICHE DI INTEGRAZIONE: A SUPERARE LO SCARTO TRA NECESSITÀ ECONOMICHE E SENTIMENTI DI PAURA ATTRAVERSO L’UNICA STRADA POSSIBILE: COSTRUIRE RELAZIONI POSITIVE TRA ITALIANI E IMMIGRATI, CREARE PARI OPPORTUNITÀ, SUPERARE LE DISCRIMINAZIONI, CREARE UN CONTESTO DI COESIONE SOCIALE. COSÌ SI REALIZZA LA SICUREZZA: CONTRASTANDO LE PAURE QUANDO SONO IMMOTIVATE; PREVENENDO E RISOLVENDO I CONFLITTI, FAVORENDO IL DIALOGO E L’INCONTRO CON L’ALTRO, COSTRUENDO GIUSTIZIA SOCIALE.

 

Per questo bisogna superare quel non detto (ma praticato) secondo cui gli immigrati servono, ma non dovrebbero esistere. Li accetti nelle fabbriche perché non ne puoi fare a meno, poi però vorresti che sparissero, si volatizzassero.

Questo modo di rapportarsi agli immigrati non solo è disumano, ma è anche profondamente nocivo alla stessa economia e alla convivenza sociale perché genera conflitti e tensioni.

Dobbiamo liberarci dall’idea che gli immigrati servano per risolvere a basso costo i nostri problemi. Infatti, lo ripeto, non è in gioco soltanto il valore della dignità umana, ma anche quello della qualità della nostra convivenza civile.

 

Integrazione non è solo politica dei flussi, numeri, qualifiche professionali. E’ anche famiglia, crescita dei figli, bisogno di salute e di istruzione. Per questo ogni discussione sulle quote deve tener conto non solo delle esigenze del mercato, ma anche della qualità della vita delle persone.

 

Le politiche di integrazione degli immigrati non sono una concessione al “buonismo” e non rispondono solo all’esigenza di costruire solidarietà.

Riconoscere diritti e doveri degli immigrati, favorire relazioni positive tra italiani e immigrati è una necessità per costruire una convivenza umana pacifica e serena e per conseguire uno sviluppo economico e sociale equilibrato.

Le politiche di integrazione sono al contempo “fine “ e “strumento”.

Fine, perché riconoscere la dignità umana e la cittadinanza fa parte dell’etica civile.

Strumento, perché esse creano quei contesti materiali e simbolici che possono attenuare i conflitti, creare legami sociali, favorire la crescita di tutti i soggetti in gioco.

Le politiche di integrazione infatti non riguardano solo gli immigrati, ma riguardano tutti,  a  partire dalla presa in carico delle paure degli italiani.

 

Due sono gli obiettivi fondamentali delle politiche di integrazione: promuovere l’integrità delle persone e attenuare i conflitti sociali.

 

Ma ci sono differenti modelli di integrazione, che sono stati praticati nei paesi che hanno un’esperienza più lunga del nostro. E qual è il modello di cui ha bisogno l’Italia? Noi l’abbiamo  definito di integrazione ragionevole, “un’integrazione mite”, che punta sulle pari opportunità, sul superamento delle discriminazioni, sul rispetto delle differenze. Abbiamo detto no  alle politiche speciali per gli immigrati, ma sì alle pari opportunità. Abbiamo detto no alla contrapposizione tra italiani deboli e poveri e immigrati. L’obiettivo deve essere una condizione di vita decente per tutti.

 

Agli immigrati che vengono da noi chiediamo il rispetto delle nostre regole, ma ci impegnamo a rispettare le loro culture e le loro tradizioni quando sono compatibili con i valori affermati dai grandi trattati internazionali e dalla Convenzione dell’ONU sui diritti umani e dalla Convenzione sui diritti delle donne.

 

Le politiche di integrazione sono state previste per la prima volta in una legge nazionale, ma sono politiche che debbono essere agite a livello locale e devono coinvolgere tutti i soggetti economici e sociali.

Il senso di questo incontro è stato proprio quello di costruire la rete tra tutti coloro che devono assumersi delle responsabilità in merito all’integrazione degli immigrati: regioni, Enti locali, imprenditori, sindacati, associazioni degli immigrati, governo.

La proposta su cui abbiamo lavorato in questi mesi proprio in Regioni come il Veneto e il Friuli è quella dell’accordo di programma concertato e condiviso da tutti gli attori sociali ed istituzionali.

E quello che è stato siglato in questa regione è sicuramente un progetto pilota, un esempio da estendere e da generalizzare.

 

Noi vogliamo che da questo convegno esca valorizzata proprio questa proposta: accordi di programma regionali e locali per le politiche di integrazione degli immigrati.

 

Una certa parte politica, a partire da Rifondazione comunista, mi critica per il fatto di essere venuta qui a parlare di integrazione degli immigrati. Capisco essere criticata dalla Padania! Essere criticata da sinistra per il fatto di voler affrontare e promuovere i diritti e i doveri degli immigrati, di farlo anche con chi ha idee diverse dalle mie ed in un contesto attraversato da forti contraddizioni, mi sorprende e mi preoccupa.

 

Quella di oggi è stata una giornata molto intensa di riflessione, di bilanci, di proposte. Voglio anch’io portare il mio contributo ad un dibattito che credo sarà ricordato nella storia delle politiche di integrazione degli immigrati nel nostro paese. Dal Convegno di Torino, Immigrati: stranieri o nuovi cittadini, che sembra ormai molto lontano, ma era soltanto il novembre 1996, sono accadute molte cose, sono cambiate molte amministrazioni, è cambiato il clima politico e culturale che circonda l’immigrazione. Da allora, questo è il primo incontro importante con interlocutori privilegiati nel quale abbiamo cercato di riflettere insieme su ciò che abbiamo fatto e su ciò che dobbiamo ancora fare per completare il percorso verso una nuova cittadinanza per gli stranieri iniziato proprio in quel lontano 1996.

 

Questo incontro si colloca in un momento politico importante. Si stanno discutendo, contestualmente, il nuovo documento programmatico triennale e il decreto flussi per l’anno 2001, partendo dall’analisi di come hanno funzionato questi strumenti nel passato. Con questa iniziativa abbiamo dato voce a molti immigrati, amministratori, operatori, volontari, che non hanno accesso alle sedi di consultazione formali. Le suggestioni e le richieste presentate nel corso di questa discussione saranno prese seriamente in considerazione dal tavolo di coordinamento delle politiche migratorie che sta lavorando su questi documenti e da chi, su questi documenti, dovrà decidere.

 

Ritengo che sia significativo che ciò avvenga qui, a Vicenza. Siamo in una realtà che sa che cosa significa immigrazione, ma che ha anche provato che cosa significhi emigrare. Una delle aree più ricche e più sviluppate del paese, ma anche con il tasso di denatalità  tra i più elevati e con famiglie composte da genitori sempre più vecchi e figli sempre meno numerosi. Questo è il contesto economico e sociale nel quale si consolida l’immigrazione. Gli immigrati sono  nel Veneto il 2,7% della popolazione, il 10% dei giovani lavoratori, tassi superiori alla media nazionale. Siamo quindi in una realtà locale che vive l’immigrazione nelle sue molteplici espressioni, ne gode dei vantaggi, ne sperimenta i problemi.

 

Non possiamo poi non considerare che da appena un mese è stato presentato al Governo il secondo rapporto sull’integrazione degli stranieri. Rispetto al modello di “integrazione ragionevole” proposto lo scorso anno, risulta:

 

·        confermata da un lato la tendenza alla stabilizzazione di una parte cospicua della nostra immigrazione, a partire dai 140.000 bambini nelle scuole ai bambini nati su territorio italiano da genitori stranieri (4% del totale), all’aumento dei ricongiungimenti familiari, dei matrimoni celebrati tra gli stranieri (2.000), ma soprattutto tra una/o straniero e una/o italiano (10.000).;

·        una chiara svolta, dall’altro, nel modo di porre la questione integrazione, che riguarda soprattutto l’interazione tra cittadini italiani e minoranze immigrate. Per la prima volta, nel 2000 le organizzazioni degli imprenditori hanno sottolineato le carenze strutturali di manodopera e hanno esplicitamente richiesto un ampliamento dei flussi di ingresso. In occasione del Convegno Romano del Giubileo, non solo le relazioni di esperti, ma anche il presidente del Consiglio e il Governatore della Banca d’Italia hanno affermato l’esigenza di immigrati per la nostra economia, per compensare le carenze strutturali di manodopera. (E’ di ieri un appello ai giornali di un imprenditore del nord che non riesce a trovare 1.500 operai). Fatti che, attraverso la stampa hanno avuto immediate ripercussioni sull’opinione pubblica.

Giovanna Zincone, presidente della Commissione integrazione, fa giustamente rilevare, (facendo riferimento ad un  sondaggio commissionato all’Ispo) che gli italiani sono infatti pronti a riconoscere che gli immigrati svolgono mansioni che loro non voglio più fare e sono anche disposti ad attribuire agli immigrati una sorta di statuto di uguaglianza sui luoghi di lavoro. Ma c’è un punto preoccupante sul quale attira l’attenzione: nel corso dell’anno giubilare è cresciuto il timore dell’invasione islamica e dello sconvolgimento delle nostre tradizioni.

 

Credo si possa dire che, rispetto al passato, si sia aggravata la schizofrenia di cui soffre il nostro modo di guardare all’immigrazione. Parallelamente ad una maggiore consapevolezza del fenomeno migratorio nel suo complesso, è subentrato, ad una generica paura dell’altro perché sconosciuto, un atteggiamento più articolato: l’accettazione dell’immigrato lavoratore da un lato e la paura di alcuni particolari immigrati, quelli di religione islamica ad esempio. Si vogliono braccia, ma spesso anche teste per lavorare, si rifiutano le persone, si vogliono servizi, ma si ha paura del rapporto con l’altro, si ha paura di mettere in discussione la propria identità, di popolo di persone. Immigrati come robot quindi, non persone, che si attivano quando il mercato ne ha bisogno.

 

E’ questo un modo di concepire l’immigrazione che non possiamo condividere. Il lavoro è importante, direi è il primo fattore di integrazione, ma è il lavoratore come persona che non dobbiamo perdere di vista. Questo significa però trattamento paritario con gli italiani all’interno dei luoghi di lavoro, ma anche possibilità di inserimento e di considerazione nella società. Pertanto, è importante che le aziende che offrono opportunità di lavoro per la difficoltà di trovare manodopera italiana, siano consapevoli del fatto che richiedono persone, con una vita privata e di relazioni che non si esaurisce nel lavoro. Credo che si debba considerare, con responsabilità, quale è la vita di queste persone al di fuori del mondo del lavoro, dove dormono, con chi abitano, dove sono i loro figli; quale sarà la loro vita quando il ciclo economico sarà meno favorevole.

 

La persona, i diritti fondamentali sono al centro del nuovo corso della politica di immigrazione iniziato con la legge Turco-Napolitano, sia quando parla di contrasto dell’immigrazione clandestina, sia quando parla di integrazione, sia quando parla di regole da rispettare. Non possiamo consentire che vivano nel nostro paese persone alla quali non possiamo garantire i diritti fondamentali. Non possiamo consentire che vivano nel nostro paese persone dalle quali non possiamo esigere il rispetto delle nostre leggi. Rispetto della dignità della persona e legalità è un binomio sul quale abbiamo costruito un nuovo modo di governare l’immigrazione.

 

La legge ha attivato una serie di strumenti e di procedure, che dobbiamo ammettere, nonostante ritardi e fatiche, costituiscono ormai un’impalcatura solida, di cui le amministrazioni locali sono un asse portante, da migliorare certamente, ma dalla quale non si può più prescindere. Tre sono le linee di attività: flussi, integrazione, contrasto della clandestinità.

 

Flussi. Uno dei punti cardine del nuovo corso è l’introduzione del sistema delle quote di ingresso, stabilite sulla base del fabbisogno del mercato del lavoro e degli accordi bilaterali conclusi con i paesi di provenienza. Nel corso del 2000 due decreti hanno consentito l’ingresso prima di 63.000 persone così suddivisi: 31.000 per lavoro dipendente, 2.000 per lavoro autonomo, 15.000 per inserimento nel mercato del lavoro, 6.000 per lavoro dall’Albania, 3.000 per lavoro dalla Tunisia e 3.000 per lavoro dal Marocco, più 3.000 da altri paesi.  Nel corso dell’anno è stato previsto l’ingresso di altre 20.000 persone  per lavoro stagionale. Il 78% degli avviamenti al lavoro si è avuto in tre regioni: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. In Veneto 1 assunzione su 10 ha riguardato immigrati, 1 su 5 se consideriamo soltanto i lavoratori non qualificati. Elevata è stata la richiesta di manodopera in alcuni settori (edilizia, servizi di pulizia, industria dei metalli, turismo, industrie meccaniche e tessili), anche di lavoratori qualificati. Il decreto flussi 2001, ancora in bozze, tiene in grande considerazione queste tendenze e le esigenze delle aziende, nonché quelle delle amministrazioni locali, più attente agli aspetti di integrazione, di clima sociale. Non posso non sottolineare che quest’anno per la prima volta si è incominciato a discutere la bozza del decreto flussi prima dell’inizio dell’anno in questione.

 

Pretestuosi, sembrano invece i criteri per la selezione degli ingressi proposti su alcuni giornali, contrari in primo luogo alla Costituzione e ai principi di uguaglianza e di rispetto della dignità e della integrità delle persone che la ispirano. Il nostro paese non potrà mai adottare criteri basati sul colore della pelle e sulla religione. La legge prevede quote di ingresso per stranieri che hanno determinati requisiti professionali, che provengono da paesi che hanno firmato accordi con l’Italia. E tra questi ci sono paesi con popolazione a maggioranza islamica con i quali l’Italia ha regolari rapporti diplomatici ed economici. Penso al bacino del Mediterraneo che si sta delineando come area privilegiata di cooperazione tra i paesi del Nord e i paesi del Sud. Con la Tunisia e con l’Albania abbiamo buoni rapporti di collaborazione, accordi particolari per il controllo dell’immigrazione clandestina e accordi per “il lavoro”. E’ in via di sperimentazione l’istituzione di un organismo in Albania per la selezione dei lavoratori che verranno a lavorare in Italia. Su questa strada intendiamo continuare. C’è il problema del terrorismo islamico. E’ un problema serio, sul quale è impegnato il governo italiano e la polizia. Non è un problema di immigrazione.

 

Integrazione. E’ stata per anni una parola. Oggi, grazie alle indicazioni della nuova legge, siamo qui, amministratori, immigrati, volontari, politici, esperti, a discutere, utilizzando un linguaggio comune, se sono stati spesi e come i fondi destinati all’integrazione degli immigrati, se sono stati attivati o meno gli  strumenti di rappresentanza degli immigrati previsti dalla legge. Un modo concreto di parlare di integrazione, di interazione tra minoranza e maggioranza, di possibilità di convivenza, ma anche di regole e di diritti. Un modo per verificare il funzionamento di quel modello di integrazione fondato su pari opportunità di accesso e relazioni a basso conflitto.

 

Per il terzo anno è stato ripartito, dal Dipartimento per gli Affari sociali, il fondo per le politiche di integrazione (56,4 miliardi nel 1998, 54,4 miliardi nel 1999 e nel 2000) tra le regioni con criteri condivisi dalle regioni stesse,  che tengono conto della presenza degli immigrati sul territorio, del peso relativo sulla popolazione locale e del tasso di disoccupazione. L’utilizzo di questo fondi ha richiesto uno sforzo di programmazione e un investimento di fondi e di risorse umane a tutti gli enti locali, un investimento che diventerà, se non lo è già, una modalità ordinaria di intervento sul territorio. Quasi tutte le regioni hanno risposto positivamente a questa metodologia di lavoro per gli anni 1998 e 1999. Sono in corso le procedure per l’utilizzo dei fondi del 2000. Saremmo soddisfatti comunque non appena sapremmo che questi fondi sono stati già spesi e si sono tramutati in progetti funzionanti. .

 

Ritengo che in questi ultimi anni ci sia stata una maturazione delle capacità di intervento degli enti locali nella gestione dell’immigrazione sul territorio. Credo sia ormai chiaro che l’immigrazione vada gestita come una risorsa del territorio e non come una calamità. Pertanto sono importanti tutti gli interventi volti a prevenire il deterioramento dell’immigrazione: da risorsa a problema sociale. Informazione, accoglienza, guida alla legalità devono essere gli strumenti che inseriscono l’immigrazione in un contesto sociale sano e produttivo. E questo lo devono fare le istituzioni, magari con il supporto del volontariato, per evitare che questi spazi vengano occupati da personaggi senza scrupoli che aprono le porte del circuito vizioso dell’illegalità e dell’emarginazione. Di questo sono molto convinta. Dobbiamo combattere chi opera per mantenere l’immigrazione come problema sociale, devianza ed emarginazione. Siamo noi a dover creare le condizioni perché per loro non diventi troppo difficile perseguire oneste ambizioni, come il lavoro, la casa, la famiglia.

 

Ci sono anche problemi di emarginazione e di devianza, che non dobbiamo sottovalutare e considerare nella giusta dimensione. La devianza va combattuta e il nostro paese ha gli strumenti per farlo. Non ci sono colori diversi della criminalità. Gli immigrati, come gli italiani, subiscono la criminalità, la rifiutano, vogliono combatterla.

Per quanto riguarda invece condizioni di emarginazione sociale, voglio ricordare che gli stranieri regolari sono considerati alla stregua degli italiani e quindi portatori di diritti anche in condizioni di disagio economico e sociale. Su questa strada sono stati già fatti alcuni passi, ricordo soltanto l’assegno di maternità, esteso anche alle donne straniere in difficoltà in possesso della carta di soggiorno, e credo che in questa direzione si debba continuare. Invito gli enti locali ad applicare questa norma, anche facendola conoscere.

 

C’è un punto, ben chiaro nella legge, sul quale non credo si debba tornare indietro. La garanzia dei diritti fondamentali alla salute e alla tutela dei minori e della maternità, a prescindere dallo status di legalità. Trovo pretestuose le polemiche sollevate in questi giorni sui giornali sull’abuso dei servizi sanitari da parte di immigrati  anche non regolari. E’ questo un diritto che abbiamo difeso con convinzione, non solo per la tutela dei diritti umani, ma anche per la tutela della salute pubblica. Dovremmo piuttosto riflettere sul perché tante persone clandestine abbiano bisogno di cure, perchè tante donne abortiscono,(il tasso di abortività delle donne straniere è del 27 per cento a fronte del 9 per cento delle italiane. E io escludo che abbiano attraversato gli oceani, pagando milioni di lire, perché attratti da uno studio dentistico del nostro servizio sanitario nazionale o da una corsia di ospedale per abortire. Io credo che dietro queste richieste di cure ci sia la carenza di altri servizi di accoglienza da un lato (quante persone dormono all’aperto anche nei mesi invernali, o nelle macchine, e quindi si ammalano) e la completa delega alle donne straniere dei servizi di cura delle persone anziane e dei bambini dall’altro, che comporta, per loro, l’inibizione di ogni possibilità di vivere una vita propria, compresa quella di avere dei figli.

 

Sono lieta, invece, rilevare molte esperienze innovative di gestione dei servizi per la salute che prevedono risposte articolate a esigenze provenienti da esperienze culturali, religiose diverse da quelle con le quali siamo abituati a trattare. La mediazione culturale, con i problemi di definizione dei profili professionali che comporta, mi sembra si stia diffondendo con vantaggio credo di tutti, anche degli operatori e delle strutture sanitarie. Un’attenzione particolare è rivolta alle donne, alla tutela della maternità.

 

Nelle politiche di integrazione le politiche per l’alloggio hanno un posto importante. Mi rendo conto di sfiorare un argomento, come quello dell’offerta abitativa, che presenta molti aspetti controversi anche per gli italiani, in particolare nei grandi centri urbani. Ma c’è un aspetto specifico che riguarda esclusivamente gli immigrati, sia le loro esigenze sia le possibilità di soluzione. Molte amministrazioni locali si sono cimentate su questo problema e con successo. La legge è chiara su questo punto, distingue tra alloggi pubblici di prima accoglienza per far fronte ad esigenze specifiche degli stranieri e alloggi sociali, per le fasce deboli della popolazione, aperti a stranieri ed italiani. Delinea anche la possibilità di accesso all’edilizia residenziale pubblica a parità di condizioni con i cittadini italiani. Molti dei programmi regionali per l’integrazione prevedono progetti nel campo dell’alloggio. Ma penso sia necessario far scattare su questo punto progetti volti a cogliere l’aspetto positivo e propositivo dell’immigrazione, puntando più su una molteplicità di opportunità che sull’assistenzialismo, sulla disponibilità degli stranieri ad accettare soluzioni dignitose, ma, ad esempio, considerate scomode da altri -penso a questo proposito a casali abbandonati più adatti a convivenze che a singole famiglie- che a soluzioni pensate su modelli italiani. Sono da affrontare inoltre le barriere specifiche all’accesso all’alloggio per gli stranieri, che non derivano tanto dalla scarsità degli alloggi, problema che, ripeto, condividono con gli italiani, ma dalle resistenze dei proprietari ad affittare ad esempio a persone straniere. Dati tratti da osservatori sulla discriminazione, dimostrano che questo della casa risulta essere il settore nel quale si rilevano più frequentemente casi di discriminazione xenofoba. Partendo dalla convinzione, che immagino condivisa, che nessuno vuole che le persone vivano per la strada, sia per motivi umanitari che per motivi di ordine pubblico, credo che si debba affrontare questa questione con il concorso di una pluralità di attori, dalle amministrazioni locali agli imprenditori che hanno bisogno di forza lavoro straniera, dalle banche alle associazioni dei proprietari di immobili o dei costruttori, trasformando questo che è un bisogno rilevato sul territorio, in un’opportunità economica.

La soluzione del problema abitativo non deve tuttavia essere disgiunta da aspetti di urbanizzazione e di attenzione alle trasformazioni in atto nella composizione sociale dei quartieri e delle città. Il degrado urbano, sottolineo spesso preesistente all’insediamento degli immigrati, deve essere assolutamente prevenuto, combattuto con strumenti di ristrutturazione urbanistica, ma anche con strumenti di intervento sociale. Molta attenzione deve essere però posta ai conflitti latenti e manifesti che questi cambiamenti comportano. E’ stata sperimentata, con successo, in alcune città la tecnica della mediazione di conflitti, che cerca di intervenire lì dove i problemi nascono per cercare di risolverli senza stigmatizzare nessuno, senza negare disagi e problemi. La manifestazioni di cittadini contro l’immigrazione nascono da situazioni di disagio che vanno affrontate e risolte insieme. L’irrigidimento su posizioni difensive ad oltranza o l’accoglienza indiscriminata di ogni forma di protesta non risolve nulla. La convivenza va costruita insieme e vanno eliminati gli ostacoli oggettivi che la rendono difficile.

Anche su questo punto, come per la tutela della maternità, il governo ha previsto un “programma sperimentale per la riduzione del disagio abitativo” con la “finalità di incrementare l’offerta di alloggi da destinare alla locazione permanente a canone concertato e di rispondere alle esigenze abitative delle categorie sociali deboli” “un programma innovativo in ambito urbano, finalizzato prioritariamente ad incrementare la dotazione infrastrutturale dei quartieri degradati di comuni e di città metropolitane e che preveda, al contempo, misure ed interventi per incrementare l’occupazione e per favorire l’integrazione sociale”

 

Il presupposto per ogni processo di integrazione è il lavoro. Il numero degli immigrati occupati è in sensibile aumento. Ai tradizionali settori che vedono la presenza degli immigrati (servizi alla persona, ristorazione, edilizia) si stanno invece affiancando settori produttivi chiave come quello metalmeccanico e conciario, o il settore dell’agricoltura e dell’allevamento e della trasformazione dei prodotti alimentari. Una presenza costante, che in alcune aziende,- vedi il Nord-est - , sta diventando maggioritaria.  In questa presenza cominciano ad emergere le donne, quelle che riescono ad affrancarsi dal lavoro domestico. Interessante è la vivacità delle piccole e medie imprese e la capillarità della presenza dei lavoratori stranieri su tutto il territorio, pur riproducendo le caratteristiche territoriali del mercato del lavoro: industriale al nord, terziario al centro, agricoltura e precariato al sud.

Al di là della discussione  se gli immigrati siano complementari o concorrenziali rispetto ai lavoratori italiani, è certo che la loro presenza rende possibile il mantenimento di alcune produzioni e quindi la vitalità di alcune parti del nostro territorio. Segnali di un inserimento costruttivo degli stranieri nel mondo del lavoro sono inoltre il fatto che alcuni di loro si stanno mettendo in proprio, diventando loro stessi dei “padroncini”, come accade a molti operai italiani che vivono nelle stesse zone. Ma un importante segnale è dato anche da ormai numerosi lavoratori di origine straniera divenuti delegati sindacali, votati anche dagli italiani, che parlano a nome di tutti i lavoratori.

 

Il lavoro è lo strumento attraverso il quale uno straniero si affranca dalla sua condizione di dipendenza e di estraneità. Il lavoro dà reddito, quindi autonomia, ma anche senso di appartenenza. Per questo da un po’ di tempo abbiamo concentrato l’attenzione sulle politiche dell’inserimento nel mondo del lavoro come politiche prioritarie per l’integrazione degli stranieri e per la costruzione di una società multiculturale. Ci sono esperienze europee importanti in questo campo. Grandi multinazionali, tra le quali la Zanussi, hanno fatto della valorizzazione delle diversità all’interno dell’azienda, sia tra i lavoratori, che nella promozione del prodotto, una strategia di marketing ma anche di filosofia dell’azienda, nella convinzione che in una società felice, coesa si vendono più prodotti. Se il nostro obiettivo non è quello di vendere prodotti, lo è quello della serenità delle persone, tutte, che vivono sul nostro territorio. Quindi azioni all’interno del mondo del lavoro che aiutano la conoscenza reciproca dei lavoratori, la convivenza di culture diverse, hanno certamente effetti sulla società, sull’ambiente circostante, fuori del luogo di lavoro.

 

Contrasto della clandestinità. Abbiamo sempre detto che la legge sull’immigrazione ha due anime, ciascuna delle quali non può esistere senza l’altra. Abbiamo parlato di integrazione. Sono convinta che una seria politica di integrazione sia anche un deterrente per la clandestinità, perché diventa conveniente rispettare le leggi ed entrare seguendo i percorsi stabiliti, aspettando il proprio turno. Ovviamente a questo va aggiunta una politica di contrasto della clandestinità, anche a tutela delle persone che hanno scelto la legalità. L’Italia nell’ultimo anno ha effettuato una serie di passi in questa direzione, da accordi di riammissione con i paesi di origine (firmati con Albania, Tunisia, Marocco Algeria e Nigeria, siglati con Malta, Sri Lanka e Pakistan, sono astate avviati i contatti con altri paesi) ad accordi di collaborazione per il controllo delle frontiere con Germania, Austria e Slovenia, oltre a quello già firmato con la Grecia. Con la Turchia inoltre è stato firmato un memorandum di intesa di cooperazione di polizia con specifico riferimento al contrasto dell’immigrazione clandestina e alle organizzazioni criminali.

 

L’impegno al contrasto dell’immigrazione clandestina, ha portato ad un consistente aumento dei respingimenti e delle espulsioni rispetto al passato (nel periodo 1.1.2000- 30.9.2000: 49.162 sono gli stranieri allontananti dal territorio nazionale, di cui 10.303 con accompagnamento alla frontiera, contro una media di 5-6 mila all’anno del passato; 44.046 sono inoltre gli intimati di espulsione).

 

Per concludere. Voglio a questo punto menzionare alcune questioni sulle quali credo dovremmo lavorare ancora.

Il primo è quello della carta di soggiorno. Io credo che saremmo miopi se concentrassimo la nostra attenzione sui nuovi ingressi, mentre in Italia sta crescendo la presenza di immigrati lungo residenti. Dobbiamo infatti sapere che 421.723 persone legalmente presenti sul territorio lo sono da più di cinque anni, di queste 262.836 da oltre 10 anni, su un totale, su un totale di 1.252.994 immigrati regolari. Un terzo delle persone regolari può avere la carta di soggiorno, quindi uno status di semicittadinanza che garantisce continuità nella presenza, ma anche l’accesso ai diritti sociali. Questo significa che la politica dell’immigrazione si sposta sempre più a livello nazionale sulle politiche di integrazione e di inserimento, di accompagnamento dell’immigrato nel suo percorso di vita all’interno del nostro paese. Ricerche condotte sui comportamenti degli immigrati confermano non solo la volontà, ma anche la determinazione all’inserimento, che non significa assimilazione, né cancellazione della identità. Le donne straniere, nello svolgimento dei loro compiti quotidiani sono grandi agenti di integrazione, ponti tra culture diverse, tra generazioni diverse. Viviamo d’altra parte in un’epoca in cui per ciascun individuo si parla di molteplici identità, molteplici appartenenze, ad esempio alla famiglia, al partito, al lavoro, allo sport. Credo che a maggior ragione questa lettura si possa applicare a chi proviene da culture diverse dalla nostra.

 

Ad oggi risulta che sono solo 13.000 le carte di soggiorno rilasciate. Devo ammettere che il ritardo con cui viene concessa la carta di soggiorno rischia di compromettere virtuosi percorsi individuali di integrazione, deludere i nuovi cittadini di questo paese, che qui hanno investito emotivamente, culturalmente ed anche economicamente. Ciò è tanto più grave se si considera che il possesso della la carta di soggiorno è la condizione per l’accesso ad alcune forme di assistenza, come l’assegno di maternità, in vigore dallo scorso 5 luglio, o l’accesso in alcuni comuni al reddito minimo di inserimento, anche se ancora a livello sperimentale. Parlerò di queste mie e vostre preoccupazioni con il Ministro dell’Interno.

 

 

Minori. Negli ultimi mesi, anche a seguito dell’istituzione del Comitato per i Minori Stranieri e del regolamento concernente i compiti di detto Comitato (DPCM 535, del 9 dicembre 1999), il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati è stato sottoposto ad un attento monitoraggio, che ha permesso di esaminare oltre 8.300 segnalazioni di minori stranieri non accompagnati, in netta prevalenza albanesi (circa il 65%), gran parte dei quali vicini alla maggiore età. Si tratta di un fenomeno complesso, anche perché in molti casi sono minori che giungono clandestinamente in Italia per lavorare, evitando di ottemperare le procedure di ingresso regolare, con la speranza che, raggiunta la maggiore età, possano regolarizzarsi.

Data la proporzione del fenomeno, si rende oggi indispensabile una stretta collaborazione con gli Enti Locali, a cui spetta di competenza l’attività di assistenza in favore dei minori. Tale collaborazione dovrà sia garantire la messa a punto di una metodologia unitaria di analisi del fenomeno, sia trovare le soluzioni più idonee per ogni singolo minore, fermo restando che il primo impegno rimane quello di un ricongiungimento dei minori con la famiglia.

A tal fine, sarà potenziata l’attività da sviluppare all’estero, in modo di facilitare sia le indagini familiari sia gli interventi di assistenza in occasione di un possibile rimpatrio assistito. In particolare si sta lavorando per rafforzare la collaborazione già esistente con Governo albanese e di concludere un analogo accordo col Governo Marocchino, peraltro già in fase avanzata di trattativa.

 

Lingua italiana. Il Dipartimento per gli Affari sociali sta lavorando ad una campagna di insegnamento della lingua italiana ad adulti stranieri, realizzata con la collaborazione di Rai International (su cui è stata presentata un scheda informativa in cartellina), perché la conoscenza della lingua rende più liberi, più consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri. Nel costruire questo progetto siamo partiti dal mondo del lavoro, cercando al suo interno gli strumenti e gli spazi per l’attuazione di questi interventi (ad esempio l’istituto delle 150 ore), ma anche promuovendo intese tra organizzazioni sindacali e rappresentanti degli imprenditori: sono stati firmati due accordi uno in Friuli Venezia Giulia e uno in Veneto, per l’attuazione di politiche di integrazione sui luoghi di lavoro. Un effetto non secondario atteso da questi interventi è anche la riduzione degli infortuni sul lavoro.

 

Discriminazione. Ma c’è anche un altro aspetto che va approfondito nell’ambito del mondo del lavoro, che è quello della discriminazione. L’Italia ha ormai da due anni due articoli all’interno della legge sulla discriminazione che rimangono costantemente inapplicati. Di questi articoli, l’uno definisce che cosa è una discriminazione nel lavoro, nella vita quotidiana, l’altro suggerisce le procedure per far cessare il comportamento discriminatorio. Stiamo lavorando, con la collaborazione dell’ASGI (Associazione dei giuristi per l’immigrazione) per lanciare una campagna informativa su questo punto che prevede, tra l’altro, anche l’attivazione di un numero verde a disposizione delle vittime e di legali interessati al tema. Mi sembra piuttosto urgente sensibilizzare su questo l’opinione pubblica. In questo siamo in linea con l’Unione europea che sta lavorando su una direttiva per l’applicazione dell’art. 13 del trattato di Amsterdam contro la discriminazione razziale, etnica, religiosa, e su unnpiano di azione 2001-2006.

 

Partecipazione e cittadinanza. L’istituzione dei Consigli territoriali per l’immigrazione, in quasi tutte le province, e il funzionamento della Consulta nazinale, hanno certamente segnato una conquista nella partecipazione degli stranieri alla vita del paese. Credo tuttavia che tutti questi organismi debbano funzionare meglio e comunque dare maggiore visibilità agli stranieri, rendere gli stranieri protagonisti. Non vorrei però che l’istituzione di questi organismi facesse dimenticare il diritto di voto agli stranieri a livello locale. Molte volte ho sottolineato quanta importanza io attribuisca al voto, una forma di esercizio della democrazia che rende liberi e responsabilizza. Spero che anche nel nostro paese gli immigrati possano avere questo diritto, già previsto dalla carta di soggiorno. Non è più rimandabile neppure la riforma della legge sulla cittadinanza. Ne ho già parlato in altre occasioni. Gli uffici stanno lavorando. Siamo rimasti uno degli ultimi paesi in Europa in cui vige pienamente lo jus sanguinis. L’aumento del numero di bambini, nati in Italia da genitori stranieri, ci impone di provvedere al più presto affinché, crescendo, questi nuovi cittadini non si sentano ripudiati, eternamente stranieri anche quando succhiano la nostra cultura con il latte. Per questo mi impegno a portare presto al Consiglio dei Ministri, insieme con il Ministro Bianco, una riforma della legge sulla cittadinanza che consenta al figlio di terza generazione di acquisire automaticamente la cittadinanza italiana e a quelli di seconda generazione di ottenerla a 5 anni su iniziativa dei genitori, per confermarla a 18 anni, se lo vorrà.

 

Normativa regionale e accordi di programma. C’è infine un altro punto che mi preme sottolineare. La necessità di adeguare alla normativa nazionale quella regionale. E’ fondamentale perché la legge ed in particolare la parte riguardante l’integrazione funzioni.  Ma c’è una strada, che viene tracciata proprio oggi, qui a Vicenza, per la gestione delle politiche di integrazione sul territorio: la concertazione degli interventi tra gli attori locali che operano sul territorio: Enti locali, associazioni degli Imprenditori, Sindacati. Insieme firmano un protocollo d’intesa  per “avviare un sistema regionale organico e coordinato di azioni complementari mirate all’inserimento dei lavoratori nel lavoro e nella comunità, alla convivenza tra cittadini residente e immigrati, alla promozione di sinergie e risorse regionali, statali e comunitarie, alla valorizzazione del ruolo degli enti locali.

 

Questo è il segno tangibile che si può collaborare per la gestione del fenomeno dell’immigrazione al di là di qualunque ideologia, anche se a me piacerebbe che tra i firmatari ci fossero anche rappresentanti degli immigrati.. L’integrazione degli immigrati è un obiettivo verso il quale tendere, per il bene della collettività. Se su questo siamo tutti d’accordo, se questa è la filosofia dei protocolli d’intesa, bisogna però dire che le amministrazioni che firmano questi documenti si sentano anche vincolate a fare del rispetto della diversità un aspetto della propria proposta politica,  e si impegnino a contrastare tutte le forme di xenofobia e di razzismo e a spendere per l’integrazione le risorse disponibili.

 

 


Allegato 1

 

 

 

RIPARTIZIONE dell’80% del FONDO nazionale per le politiche migratorie tra le regioni

 

 

1998

1999

2000

Piemonte

3.472.624.000

3.517.916.000

3.107.091.075

Valle d’Aosta

96.187.000

89.242.000

300.941.511

Lombardia

10.385.642.000

10.232.903.000

11.127.471.769

Prov. Trento

373.604.000

379.015.000

410.623.429

Prov. Bolzano

376.769.000

453.688.000

491.693.974

Veneto

3.858.461.000

4.209.947.000

5.336.735.960

Friuli - Ven. Giulia

1.584.373.000

1.570.118.000

1.677.226.892

Liguria

1.404.179.000

1.405.402.000

1.297.639.737

Emilia -

3.785.092.000

3.919.765.000

4.206.311.277

Toscana

3.444.921.000

2.764.359.000

3.841.494.420

Umbria

990.062.000

1.024.244.000

1.027.174.187

Marche

1.052.956.000

1.131.197.000

1.139.770.123

Lazio

12.518.274.000

11.270.113.000

10.656.361.586

Abruzzo

745.872.000

772.054.000

639.917.897

Molise

83.205.000

95.418.000

289.016.713

Campania

4.600.792.000

3.982.415.000

2.894.660.479

Puglia

1.888.352.000

2.161.581.000

1.843.807.776

Basilicata

161.594.000

148.687.000

341.228.225

Calabria

1.031.117.000

1.035.622.000

687.015.171

Sicilia

3.867.521.000

3.619.377.000

2.649.662.815

Sardegna

678.403.000

616.939.000

434.154.984

Totali

56.400.000.000

54.400.000.000

54.400.000.000

 

·        I fondi relativi all’esercizio 98 sono stati erogati tra la fine del 1998 e l’inizio del 1999

·        I fondi relativi all’esercizio 99 sono stati erogati a fine anno.

·        I fondi relativi all’esercizio 2000 non sono stati erogati (tranne che alla Lombardia) in attesa della comunicazione dei programmi adottati, con la procedura concordata nella Conferenza Unificata del 12/10/2000.

 



Download Pagina  Pagina precedente  Inizio pagina

Commissioni Documentazione Indirizzi Eventi Servizi Leggi News Bottega del download