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Documentazione

Politiche culturali e formative


Gruppo di lavoro IV

relatore dott. Filippo MELCHIORRE

 

 

 

La relazione che mi accingo a fare è il frutto del lavoro della quarta commissione, che mi onoro di presiedere e che riunisce le associazioni che operano per supportare l’opera di integrazione degli immigrati.

Abbiamo cercato innanzitutto di fotografare la situazione attuale, come premessa solida su cui costruire, a vari livelli, proposte concrete, attuabili, servendosi di strumenti altrettanto concreti.

Il punto di partenza è stato costituito dal testo unico in materia di immigrazione, datato 1998, grazie al quale è stato avviato un concetto diverso della figura dell'immigrato, da considerarsi non più solo come risorsa in termini di manodopera, ma anche come veicolo di interscambio di lingue e culture. Una sorta di tassello del mosaico di arricchimento di una civiltà. Ovviamente perché queste potenzialità si dispieghino, è necessario che il soggetto, l’immigrato appunto, sia messo nelle condizioni di interagire quanto più possibile con chi vive nel territorio ospitante, attraverso un apprendimento quanto più agevolato possibile, ad esempio della lingua.

 

 

 

 

La scuola vede crescere gli alunni stranieri non più soltanto nelle scuole materne ed elementari, ma anche nelle medie inferiori e superiori, sebbene sia proprio nelle elementari che vi è la maggiore concentrazione di alunni immigrati. I mutamenti in atto non sono di poco conto. Indicano un maggior radicamento dell’immigrazione, oltre alla necessità di politiche a lungo termine e non solo di emergenza.

 

 

L’ottica con la quale impostare gli interventi a favore dei bambini stranieri dovrà essere rivolta al problema delle differenze sociali ed alla posizione che le famiglie ed i bambini occupano nel contesto esterno, attuando nuove misure di aiuto ad una stabile integrazione. Non si potrà quindi più rispondere al mero criterio dell’urgenza di predisporre un’assimilazione nella classe di “alunni-problema”. Preziosa, in questo senso, è stata l’opera delle associazioni, Voglio dire che si è sviluppato un mondo molto ricco di associazioni locali – comprese le stesse strutture delle comunità di immigrati – che hanno fatto di tutto per affermare prima l’accoglienza, poi le politiche di integrazione, infine lo sviluppo dell’interculturalità. Predisporre interventi specifici dal punto di vista didattico non significa cioè concentrarsi sul recupero degli immigrati, ma inquadrare questo sforzo in un più ampio programma di educazione interculturale. Anche se la situazione di emergenza è sembrata finora giustificare interventi assimilativi, centrati sullo sforzo di far adeguare il più rapidamente possibile i bambini al livello della classe, integrare significa creare gli strumenti per facilitare lo scambio culturale. Ciò costituisce ancora un obiettivo da realizzare: i problemi vengono affrontati in chiave interculturale solo a livello teorico, ma al momento di formulare questioni di ricerca o di agire, sono i problemi particolari dell’inserimento degli alunni stranieri ad assorbire ancora l’attenzione.

 

 

LA SCUOLA DELL’OBBLIGO costituisce un momento non meno importante di questo processo di integrazione. Questo, infatti, costituisce una autentica sfida per gli insegnanti, considerata la carenza di strutture di accoglienza per gli stranieri in Italia e il dislivello di scolarizzazione tra gli scolari italiani e quelli immigrati. I nodi da sciogliere restano tanti, il gruppo di lavoro che presiedo ne ha individuati almeno sette, e cioè:

 

1.      una chiara comunicazione tra la scuola ed i genitori dei minorenni stranieri, ad esempio sulle modalità di iscrizione. Presidi e insegnanti, possono costituire un supporto per la conoscenza dei meccanismi amministrativi. Esempi di operatività in Italia, in questo senso – del resto – già ci sono, nel senso di vademecum pubblicati dalle scuole – come nel caso del Provveditorato di Roma – dalle associazioni – come a Milano – od anche dagli Enti locali, come la Regione Campania. Tale chiarezza di comunicazione, per un verso, agevola l’inserimento delle famiglie nella società ospitante e, per l’altro, evita la produzione di potenziali disoccupati, in seguito alla naturale diffidenza che, spesso, gli immigrati nutrono per il sistema scolastico italiano, troppo diverso da quello del paese di origine. La comunicazione è particolarmente importante nell’affrontare i divari di ruoli di genere in alcune culture d’origine e di garantire le pari opportunità.

 

2.      anche nella valutazione dell’alunno occorrerà prestare particolare attenzione, costruendo sistemi di giudizio che riguardino anche la lingua e la cultura o si rischia che, una valutazione inadeguata, produca – quale primo effetto – l’abbandono scolastico da parte degli allievi. Manca un sistema nazionale di valutazione linguistica ed accademica dell’alunno straniero.

 

3.      il sostegno scolastico agli immigrati, supportato da soli 14 milioni annui accordati alle scuole che presentino un tasso di stranieri superiore al dieci percento, dovrà essere prorogato. Spesso tale fase – con corsi differenziati nella fascia pomeridiana o con insegnanti di sostegno – termina prima ancora di aver prodotto risultati minimi, a meno che non sia la scuola a farsene carico. La formazione del personale docente è ancora carente per quanto riguarda l’insegnamento della lingua italiana come 2^ lingua, sebbene alcune Università offrano risorse.

 

4.      quanto al percorso scolastico post-obbligo, per cultura o per necessità gli stranieri hanno dimostrato di preferire gli istituti tecnici e professionali ai licei. Ma il bisogno di lavorare, troppo spesso, è stato fattore di incremento del fenomeno dell’abbandono. Perciò, sarebbe opportuno mettere a punto sinergie tra gli istituti e le aziende, come nel caso di Roma.

 

5.      la tutela della lingua di origine, ancora troppo poco diffusa in Italia, viene realizzata su iniziativa delle associazioni ancora a livello per così dire folkloristico. L’obiettivo deve essere invece un programma bilingue che preveda corsi della lingua di origine, ovviamente al di fuori degli orari di lezione comuni. Le iniziative di questo genere migliorano il rendimento scolastico in tutte le materie. Le iniziative di Prato e del Veneto – dove sono stati avviati programmi in cinese e arabo – hanno riscosso enorme successo.

 

6.      l’offerta di materiale didattico interculturale, infine, dovrebbe sfociare nella creazione di vere e proprie biblioteche multiculturali, sulla scorta dei progetti già realizzati dal 40 percento delle scuole elementari italiane, che hanno promosso iniziative in questa direzione. Una risorsa multimediale di enorme valenza, a giudizio del gruppo di lavoro, è il MEDFILM Festival.

 

7.      un miglior utilizzo dell’autonomia scolastica per rafforzare il ruolo della scuola come presidio culturale sul territorio. Il POF è un’opportunità per individuare le esigenze locali e stabilire un rapporto di comunicazione. E’ anche l’opportunità di raggiungere le popolazioni escluse ed emarginate. Comunque il personale scolastico ha spesso bisogno di nuovi strumenti e di sostegno per affrontare questo nuovo compito.

 

 

 

 

L’EDUCAZIONE, COMUNQUE E’ UN CAPITOLO CHE RIGUARDA NON SOLO I RAGAZZI IN ETA’ SCOLARE, MA ANCHE GLI ADULTI. A parte i corsi di italiano, che stanno proliferando un po’ ovunque anche grazie all’attivismo delle associazioni, urge mettere a punto una strategia che consenta agli immigrati adulti di poter conseguire titoli di studio, frequentando corsi serali o comunque speciali, con un’istruzione fatta su misura per loro. Anche in questo caso diverse restano le problematiche da avviare a soluzione, ovvero

 

1.      l’iscrizione. La divulgazione e l’informazione sui corsi e sulle varie offerte è ancora troppo debole e casuale

 

2.      la duplicazione dell’offerta. In molti casi le associazioni finiscono, cioè, per duplicare i servizi resi dalle pubbliche istituzioni, sforzandosi di colmare lacune. Una sinergia di interventi e programmi consentirebbe di ridurre gli sforzi ottimizzando i risultati

 

3.      la mancanza di certificati riconosciuti. I certificati rilasciati dalle pubbliche istituzioni hanno al momento un mero valore informale e locale, mentre sarebbe opportuno dare alla frequentazione dei corsi di istruzione una valenza nazionale. L'innovativa offerta di corsi pilota televisivi e nei CTP, infatti, ha previsto il rilascio di un certificato da un ente universitario

 

4.      l’orario. E’ questo l’unico nodo almeno in parte risolto. I centri territoriali permanenti – o CTP – operano già in orari consoni ai ritmi ed ai turni lavorativi, il che significa talvolta restare aperti ed operativi l’intera giornata fino a tarda sera

 

5.      la valutazione dovrà muovere dalle aspettative e dagli obiettivi degli stessi immigrati che si iscrivono ai corsi, per poter dare i migliori risultati

 

6.      la formazione tecnica e professionale dovrà tenere conto non solo delle richieste dei singoli, ma anche delle esigenze del mercato. La realizzazione di tale connubio scongiurerebbe il fallimento registrato in passato da una serie di corsi organizzati da Enti ed associazioni con l’ausilio talora anche dei fondi europei

 

7.      l’incentivazione alla partecipazione dei corsi è un altro punto focale di una strategia di questo genere. Il tasso di abbandono delle lezioni resta alto. Una soluzione possibile potrebbe essere quella adottata dai CTP di alcune città e regioni del nord Italia, che hanno provveduto a retribuire i partecipanti compensando così le perdite derivanti dalle ore di potenziale lavoro o reperendo per loro alloggi difficili da reperire sul mercato immobiliare

 

8.      interazione e valorizzazione delle culture restano comunque gli obiettivi prioritari di una strategia che possa dirsi non solo possibile, ma anche necessaria. I maggiori successi sono stati registrati proprio da quei CTP che hanno reso protagonisti coloro che frequentavano i corsi. A Ladispoli, vicino Roma, ad esempio, gli immigrati hanno tenuto delle lezioni per i coetanei italiani.

 

 

 

 

Altre occasioni di interscambio si dovranno, poi, creare AL DI FUORI DELL’AMBIENTE SCOLASTICO. Infatti, la cultura non è compito esclusivo della scuola, ma richiede il coinvolgimento di tutti gli Enti locali. Alcune Istituzioni ed alcuni Enti locali hanno avviato progetti ufficiali di feste multiculturali, un segnale forte di quella volontà di inclusione che tutte le Amministrazioni dovrebbero promuovere.

 

 

Ricapitolando, quello dei sogni possibili è un libro ad almeno sette capitoli

·         più risorse per alfabetizzazione e certificati riconosciuti

·         maggiore informazione sulle opportunità di informazione ed interazione tra immigrati ed Enti locali

·         una formazione professionale rispondente alle richieste del mercato del lavoro

·         qualificazione del corpo docenti

·         valorizzazione delle culture di origine degli immigrati

·         interazione degli immigrati con le famiglie italiane

·         avvio di una raccolta sistematica della produzione mediatica multiculturale

 

 

 

 

Non a caso li abbiamo definiti sogni possibili. Diventeranno realizzabili soltanto se saranno poste le premesse di una regolarizzazione del fenomeno dell’immigrazione. Le leggi finora approvate in questo senso hanno avuto il merito di segnare, in Italia, la sconfitta di quanti ritenevano che non fosse necessaria una legge “organica”, ma una serie di interventi settoriali (scuola, sanità, lavoro, ecc.), in grado di mettere l’Italia al passo con un fenomeno non solo inarrestabile e non solo problematico. Molto si è fatto, rispetto anche ad un quinquennio addietro, ma moltissimo resta ancora da fare, a prescindere dai colori politici e nell’esclusivo interesse di una crescita reale, per un verso, e – per l’altro verso – della tutela dei cittadini italiani e degli stessi immigrati che vogliano realmente cogliere l’opportunità di crescita offerta dal nostro Paese.

 

 

E’ necessario. Cioè, approvare in tempi brevi un provvedimento che, però, abbia anche carattere di determinazione e garantisca l’ingresso in Italia solo a coloro i quali abbiano acquisito il rispetto di regole per così dire umanitarie. Uno straniero che accede in Italia accede anche a diritti identici a quelli da noi garantiti ai nostri cittadini, ma deve necessariamente avere anche gli stessi doveri. Purtroppo, le norme attualmente in vigore hanno dimostrato di non poter evitare ad esempio le tragedie del mare e non hanno costituito di fatto un’autentica svolta.

 

 

Qualunque sia la prossima legge anti-immigrazione clandestina dovrà, insomma, garantire la possibilità – o meglio – la realizzabilità a quel libro di cui parlavo poc’anzi. Sogni di noi amministratori, delle associazioni, dei cittadini italiani e degli stessi immigrati. Sogni che costituiscono l’obiettivo degli sforzi di un decennio e che, senza queste premesse governative, purtroppo rischiano di rimanere tali. Nient’altro che sogni.



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