Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati
SECONDO RAPPORTO SULL'INTEGRAZIONE DEGLI
IMMIGRATI IN ITALIA
APPROFONDIMENTI
CAPITOLO 3.1
IL MERCATO
DEL LAVORO
3.1.1 L'INTEGRAZIONE
NEL MERCATO DEL LAVORO
Nel primo rapporto sono stati messi in luce i principali aspetti che hanno caratterizzato, fino al 1998, la sempre più elevata presenza di lavoratori immigrati da paesi non membri dell'Unione Europea. Le conclusioni possono essere così brevemente riassunte:
1. il
numero degli immigrati regolarmente occupati come lavoratori dipendenti è via
via cresciuto sino a raggiungere una misura cospicua;
2. il
maggiore contributo alla crescita dell'occupazione regolare degli immigrati è
venuto dalle frequenti regolarizzazioni, poiché gli ingressi regolari per
motivi di lavoro sono stati relativamente pochi ed in gran parte con contratti
stagionali;
3. la
percentuale di immigrati che lavorano in modo non regolare si è pertanto
ridotta di molto, pur restando notevolmente superiore al livello degli
italiani, e sempre più si tratta di immigrati che hanno ottenuto un permesso di
soggiorno che consentirebbe loro di accedere a lavori regolari;
4. la
natura dell'occupazione irregolare degli immigrati è diventata sempre più
simile a quella degli italiani, poiché sono aumentati quelli che lavorano «in
nero» pur potendo avere un'occupazione regolare, in quanto titolari di un
permesso di soggiorno per lavoro, mentre sono diminuiti in misura considerevole
quelli che vi sono costretti perché privi di tale permesso;
5. il
forte aumento degli immigrati occupati regolarmente non è un fenomeno omogeneo,
ma concerne alcune regioni in misura molto maggiore di altre;
6.
l'occupazione regolare continua a segregare le donne nel lavoro domestico,
rimane fortemente dequalificata e diventa sempre più precaria per la riduzione
degli avviamenti a tempo pieno ed indeterminato;
7. le
regioni in cui più forte è la domanda di lavoro regolare per gli immigrati non
sono economicamente omogenee, sicché si delineano sempre più nettamente dei
modelli territoriali di inserimento nei settori economici: da quelli
industriali del Nord-Est e delle regioni centrali a quelli terziari delle
regioni, come la Lombardia e il Lazio, in cui prevalgono le grandi metropoli;
8. per
la peculiare composizione della disoccupazione italiana, lungi dall'essere in
concorrenza con le persone in cerca di lavoro, gli immigrati in molte attività
hanno sostituito una forza lavoro locale cui era venuto meno il ricambio da
parte delle nuove generazioni e in altri casi si sono verificate situazioni di
complementarità, per cui la disponibilità di immigrati a svolgere i compiti più
pesanti ha consentito l'occupazione di lavoratori italiani in compiti più
consoni alle loro aspirazioni.
A
distanza di un anno queste tendenze risultano in larga misura confermate da
quanto accaduto nel corso del 1999 e dalla disponibilità di nuovi dati e di
nuove ricerche, che hanno contribuito ad approfondire l'analisi dell'inserimento
degli immigrati nel mercato del lavoro italiano. Tuttavia, interessanti segni
di novità emergono e saranno puntualmente messi in luce.
1. L'occupazione dipendente regolare continua a crescere
Anche
nel 1998 e nel 1999 sono aumentati gli immigrati occupati in aziende o in
famiglie che hanno regolarmente versato i contributi previdenziali. Grazie ai
dati forniti dall'Inps, la tabella 1 mostra per questi anni un tasso di
crescita intorno al 6% annuo, simile a quello del 1997. (1) A parte la consueta avvertenza che questi dati
sottostimano l'occupazione dipendente regolare degli immigrati, poiché non
tengono conto di coloro per i quali le imprese non hanno versato il contributo
aggiuntivo dello 0,5%, abolito soltanto con la nuova legge entrata in vigore di
fatto a fine 1999, (2) due osservazioni
sono importanti.
Tab. 1. Lavoratori non UE occupati regolarmente alle
dipendenze. In migliaia
|
1991 |
1992 |
1993 |
1994 |
1995 |
1996 |
1997 |
1998 |
1999 |
Industria
manifatturiera |
40 |
43 |
40 |
46 |
53 |
77 |
86 |
95 |
97 |
Edilizia |
13 |
16 |
14 |
13 |
14 |
21 |
21 |
23 |
24 |
Servizi |
26 |
33 |
34 |
36 |
41 |
58 |
63 |
68 |
72 |
Lavoro
domestico |
36 |
54 |
59 |
52 |
67 |
121 |
111 |
103 |
110 |
Agricoltura |
|
|
|
10 |
12 |
26 |
42 |
52 |
60 |
Totale |
115 |
146 |
147 |
157 |
187 |
303 |
323 |
341 |
363 |
Fonte:
Caritas [1992‑1995]; Istat [1998]; Inps. I dati in corsivo sono stimati.
In primo luogo, il fatto che dopo il fortissimo aumento del 1996 in occasione della regolarizzazione l'occupazione regolare abbia continuato a crescere, sia pure nel 1997 e nel 1998 in misura di poco inferiore al volume dei nuovi ingressi per motivi di lavoro [Ministero dell'Interno 2000], mostra che il fenomeno del ritorno al lavoro irregolare dopo l'emersione in occasione della regolarizzazione è stato tutto sommato limitato e comunque di molto inferiore a quanto accaduto dopo la precedente regolarizzazione del 1990‑'91. Ciò è confermato anche dall'andamento dei permessi non rinnovati. Secondo i dati forniti dal Ministero dell'Interno, nel 1992 i permessi non rinnovati raggiunsero il livello record di 160.000, mentre nel 1998 si attestarono sui 85.000, lo stesso normale livello degli anni precedenti. Si può ragionevolmente pensare che l'eccezionale numero di permessi non rinnovati nel 1992 fosse dovuto all'impossibilità per molti immigrati privi di un lavoro regolare di rinnovare il permesso biennale ottenuto grazie alla regolarizzazione del 1990, che non prevedeva la dichiarazione di un rapporto di lavoro tra i requisiti. Tale fenomeno non si è verificato
in
misura significativa dopo la regolarizzazione del 1996. E’ vero che questa
regolarizzazione era più selettiva, poiché richiedeva di dichiarare un'offerta
di lavoro, ma si può pensare che, comunque, ciò sia stato segno di un più
consistente inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro regolare.
In
secondo luogo, indubbiamente il numero dei lavoratori dichiarati dalle imprese
nel 1999 non tiene conto dell'ultima regolarizzazione, che si è avviata con la
presentazione delle domande a fine 1998, ma si è conclusa con la concessione
dei permessi solo nel corso del 2000. Infatti, si può stimare che siano state
accolte 164.000 domande cui avrebbe dovuto corrispondere un'offerta di lavoro
dipendente da parte di un'impresa o una famiglia e quindi un versamento
contributivo. (3) L'eccezionale durata
della procedura amministrativa (spesso protrattasi più di un anno), oltre ad
aver costretto i presentatori delle domande a proseguire nel lavoro nero, può
avere in non pochi casi impedito che l'offerta di lavoro si sia tradotta in
effettiva assunzione. Ma ciò non toglie che l'impatto della regolarizzazione del
1998-2000 sull'occupazione dipendente regolare dovrebbe esser stato
altrettanto importante di quella del 1996. In attesa dei dati dei contributi
versati all'Inps nel 2000, un significativo indice, come già nel 1996, è
costituito dal forte incremento dei nuovi libretti di lavoro: nel 1999, a
regolarizzazione non ancora conclusa, ne sono stati rilasciati circa 80.000 in
più rispetto ai due anni precedenti.
Il
crescente inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro regolare nel 1999
è confermato dal nettissimo aumento del flusso degli avviamenti al lavoro
registrati dagli uffici di collocamento: quasi il 24% in più del 1998 (vedi la
tabella 2), mentre coloro che restano iscritti al collocamento per la prima
volta dal 1992 diminuiscono, sia pure appena del 5%. Anche questi dati non
tengono direttamente conto dell'ultima regolarizzazione, così come era già
accaduto per quella del 1996, poiché in entrambi i casi la procedura di
assunzione passava attraverso gli uffici provinciali del lavoro e non gli
uffici locali di collocamento e quindi non era rilevata tra gli avviamenti. Va
detto, inoltre, che la diversa composizione settoriale degli avviamenti
rispetto agli occupati registrati dall'Inps si spiega in due modi:
‑
molti lavoratori possono essere stati avviati anche più volte a un lavoro di
breve durata, cosicché tra gli avviamenti risultano sottorappresentati i
settori, come l'industria manifatturiera, in cui le occupazioni stagionali ed a
tempo determinato sono molto meno frequenti;
‑
le assunzioni per lavoro domestico, anche al di fuori delle sanatorie, sono
registrate sempre più solo in parte dagli uffici di collocamento tra gli
avviamenti. Quanto al leggero declino anche nei posti di lavoro registrati
dall'Inps dopo il 1996, esso può indicare o una saturazione del mercato o una
crescente immersione nell'irregolare oppure essere il frutto di un apparente
boom nel 1996, quando farsi assumere come domestico/a costituiva un modo per
regolarizzarsi risparmiando sui contributi da versare. (4)
Tab. 2. Lavoratori non UE avviati per settore economico.
In migliaia
|
1991 |
1992 |
1993 |
1994 |
1995 |
1996 |
1997 |
1998 |
1999 |
Agricoltura |
17 |
16 |
17 |
22 |
21 |
28 |
39 |
41 |
5 1 |
Industria
ed edilizia |
59 |
52 |
31 |
38 |
49 |
57 |
75 |
75 |
91 |
Lavoro
domestico |
18 |
21 |
131 |
14 |
171 |
71 |
9 |
101 |
8 |
Altri
servizi |
181 |
19 |
11 |
12 |
14 |
20 |
29 |
36 |
50 |
Totale |
1261 |
124 |
85 |
100 |
M, |
129 |
172 |
180 |
223 |
Fonte:
ministero del Lavoro.
Anche
nel 1999 il contributo degli ingressi regolari per motivi di lavoro alla
crescita dell'occupazione dipendente regolare è stato molto limitato, pur
avendo segnato un significativo aumento rispetto agli anni precedenti. Benché,
in assenza del regolamento di attuazione, nel 1999 non siano state ancora
adottate le procedure previste dalla nuova legge sull'immigrazione, bensì quelle
più restrittive previste dalla legislazione del 1986 e andate a regime nel
1992, il numero di autorizzazioni all'ingresso per lavoro, che per anni aveva
oscillato intorno a 20.000, dopo aver superato i 27.000 nel 1998, cresce oltre
i 36.000 nel 1999, con un aumento di circa un terzo ogni anno. Nel primo
rapporto si era rilevato come la consistenza di quest'unico canale di ingresso
legale per i lavoratori immigrati apparisse ancora meno rilevante considerando
la sua peculiare composizione. Tuttavia negli ultimi due anni sono avvenuti
importanti mutamenti.
Infatti,
come mostra la tabella 3, anche nel 1999 le autorizzazioni hanno interessato
quasi solo due situazioni: il lavoro domestico e la provincia di Trento, con
contratti di lavoro stagionali in agricoltura e nel turismo. Ma questa
peculiare concentrazione, (5) pur
restando cospicua, appare in progressiva riduzione: la quota di autorizzazioni
nella Regione Trentino‑Alto Adige, che aveva superato il 70% nel 1996,
era già diminuita al 50% nel 1998 ed ora scende sotto il 44% nel 1999. Quanto
al lavoro domestico, già sceso al 23% nel 1997 e nel 1998, nel 1999 non va
oltre il 19%. Con quasi il 15% nel 1999 cominciano, invece, ad assumere un
discreto peso le autorizzazioni per lavorare nell'industria e nelle
costruzioni, in particolare nel Nord-Est. Un primo segnale premonitore della
forte crescita della domanda che si manifesterà nel 2000, come si vedrà. Per le
altre occupazioni e nelle altre regioni, pur con una netta tendenza
all'aumento, continua a trattarsi di poche centinaia di nuovi ingressi l'anno,
per lo più a tempo determinato.
Tab. 3.
Autorizzazioni all'ingresso per motivi di lavoro
|
1992 |
1993 |
1994 |
1995 |
1996 |
1997 |
1998 |
1999 |
Totale |
31.629 |
23.088 |
22.474 |
24.246 |
16.619 |
20.739 |
27.203 |
36.454 |
Uomini |
14.621 |
11.125 |
12.086 |
14.152 |
11.200 |
13.235 |
17.4241 |
22.765 |
Donne |
17.008 |
11.963 |
10.388 |
10.094 |
5.419 |
7.504 |
9.779 |
13.68 |
Tipo di contratto |
|
|
|
|
|
|
|
|
Permanente |
20.848 |
16.351 |
11.775 |
11.966 |
4.411 |
7.447 |
10.703 |
14.884 |
a
tempo |
10.781 |
6.737 |
10.669 |
12.280 |
12.208 |
13.292 |
16.500 |
21.570 |
(di
cui Trento) |
|
(4.862) |
|
(9.990) |
(11.227) |
(10.981) |
(13.024) |
(15.040) |
Settore
economico |
|
|
|
|
|
|
|
|
Agricoltura
|
1.659 |
2.788 |
5.777 |
7.578 |
8.880 |
8.449 |
13.070 |
16.999 |
(di
cui Trento) |
(1.178) |
|
|
(7.418) |
(8.656) |
(7.620) |
(10.635) |
(11.990) |
Industria
e costruzioni |
3.183 |
1.479 |
941 |
1.050 |
927 |
2.258 |
2.796 |
5.179 |
(di
cui Veneto) |
(981) |
|
|
(277) |
(235) |
(698) |
(1.033) |
(2.010) |
lavoro
domestico |
21.828 |
14.555 |
12.420 |
10.712 |
2.591 |
4.816 |
6.183 |
6.795 |
Turismo
|
3.398 |
3.285 |
2.876 |
3.762 |
3.353 |
4.299 |
3.952 |
5.960 |
(di
cui Trento) |
(2.474) |
|
|
(2.808) |
(2.707) |
|
(2.442) |
(3.171) |
altri
servizi |
295 |
1.561 |
981 |
457 |
1.135 |
868 |
917 |
1.521 |
(%
Trento) |
13,6 |
23,2 |
|
43,6 |
70,3 |
54,6 |
50,6 |
43, 6 |
(%
Trento senza domestici) |
43,8 |
62,7 |
|
78,1 |
83,5 |
71,1 |
64,7 |
52,6 |
Fonte:
ministero del Lavoro
2. Una leggera ripresa dell'occupazione irregolare?
Nel primo rapporto, si
osservava che, parallelamente alla forte crescita dell'occupazione regolare,
dal 1995 al 1998 si era andata riducendo molto, pur restando alta, la
percentuale di immigrati che lavorano nell'economia sommersa. E, inoltre, che
l'occupazione irregolare degli immigrati tendeva a cambiare natura, diventando
sempre più simile a quella degli italiani, poiché, grazie alla frequente
successione delle regolarizzazioni, aumentavano quelli che lavorano «in nero»
pur potendo avere un'occupazione regolare, in quanto titolari di permesso di
soggiorno per lavoro, mentre diminuivano quelli che vi sono costretti perché
privi di tale permesso. Il 1999 sembra, invece, indicare un'inversione di
questa tendenza, come rivelano i risultati delle ispezioni condotte dal
Ministero del lavoro presentati nella tabella 3, dove si vede che la percentuale
degli occupati irregolari, assestata da tre anni intorno al 31‑33%,
risale oltre il 38% e, almeno rispetto al 1998, tale ripresa sarebbe dovuta in
larga misura ai lavoratori irregolari senza permesso di soggiorno per motivi di
lavoro.
Tab. 3. Percentuale di irregolari tra i lavoratori
dipendenti non UE
|
1993 |
1994 |
1995 |
1996 |
1997 |
1998 |
1999 |
Senza
permesso |
16,8 |
27,6 |
12,9 |
15,7 |
11,2 |
8,8 |
12,2 |
Con
permesso |
31,5 |
29,2 |
24,2 |
15,9 |
22,7 |
22,5 |
26,1 |
Totale |
48,3 |
56,7 |
37,1 |
31,6 |
33,8 |
31,2 |
38,3 |
Fonte:
ministero del Lavoro
Tuttavia,
se si considerano i limiti strutturali di questi dati (6)
occorre essere molto più prudenti. Infatti, nel 1999 il numero delle ispezioni
cresce di quasi il 50%, con una molto maggiore concentrazione nel Lazio e nelle
regioni meridionali e nelle imprese che occupano pochi immigrati. (7) Mentre non è possibile controllare
quest'ultimo effetto, la tabella 4 permette di controllare quello di
composizione dovuto alla diversa ripartizione territoriale delle ispezioni.
Tab. 4. Percentuale di irregolari tra i lavoratori
dipendenti non UE per area socio‑economica
|
Percentuale
di irregolari |
di cui
senza permesso di soggiorno |
di cui
con permesso di soggiorno |
|||||||||
|
1996 |
1997 |
1998 |
1999 |
1996 |
1997 |
1998 |
1999 |
1996 |
1997 |
1998 |
1999 |
Nord‑Ovest
|
50,5 |
51,3 |
51,2 |
41,5 |
27,3 |
20,2 |
14,8 |
14,2 |
23,2 |
31,1 |
36,3 |
27,4 |
Lombardia |
50,5 |
30,5 |
47,6 |
38,1 |
14,3 |
9,0 |
6,8 |
10,7 |
36,2 |
21,5 |
40,8 |
27,3 |
Nord‑Est |
14,6 |
20,3 |
9,4 |
22,5 |
5,9 |
8,5 |
3,2 |
7,5 |
8,7 |
11,8 |
6,2 |
15,0 |
Centro |
26,1 |
39,6 |
41,2 |
37,3 |
13,9 |
10,2 |
9,8 |
13,2 |
12,2 |
29,4 |
31,4 |
24,1 |
Lazio |
47,4 |
39,5 |
n. d. |
56,9 |
21,1 |
5,2 |
n. d. |
9,0 |
26,3 |
34,3 |
n. d. |
47,9 |
Sud |
32,2 |
33,3 |
42,9 |
52,3 |
20,6 |
12,3 |
18,4 |
17,7 |
11,6 |
20,9 |
24,4 |
34,6 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Italia |
31,6 |
33,8 |
31,2 |
38,3 |
15.7 |
11.2 |
8,8 |
12,2 |
15,9 |
22,7 |
22,5 |
26,1 |
Fonte:
ministero del Lavoro
Come si
può vedere, soprattutto considerando l'andamento su due‑tre anni, nelle
diverse aree socio‑economiche i segni di un'inversione di tendenza nel
1999 sono molto più incerti, se non addirittura inesistenti. Forse l'unico dato
rilevante è l'aumento della presenza di irregolari con permesso di soggiorno
nel Lazio, nelle regioni meridionali e in quelle dell'Italia nord‑orientale.
Ma ciò è in accordo con la tendenza di lungo periodo. Quanto alla distinzione
tra lavoratori irregolari con e senza permesso di soggiorno, occorre aggiungere
che nel 1999 si è verificata una situazione che ha reso tale distinzione di
difficile interpretazione. Infatti, come considerare gli immigrati che alla
presentazione della domanda di regolarizzazione avevano ottenuto una ricevuta,
che non li autorizzava al lavoro, ma li preservava dal decreto di espulsione e
consentiva loro persino di uscire dall'Italia e rientrarvi? La lunghezza delle
procedure di esame delle domande ha reso molto diffusa questa posizione, con il
risultato di perpetuare l'occupazione irregolare di immigrati che non possono
certo restare a lungo senza lavoro. Resta, però, un mistero burocratico come
gli ispettori del lavoro abbiano considerato e classificato gli immigrati colti
a lavorare irregolarmente che fossero in possesso di tale ricevuta. (8)
Una
positiva inversione di tendenza è, invece, segnata dalla riduzione di
quell'area da cui provengono più facilmente gli immigrati che lavorano «in
nero» pur possedendo un permesso di soggiorno che li autorizzerebbe ad
un'assunzione regolare. Infatti, come mostra la tabella 5, nel 1999 non
soltanto per la prima dal 1992 diminuiscono gli immigrati che rimangono
iscritti al collocamento, ma in particolare diminuiscono, sia pure di poco, gli
iscritti di lungo periodo (oltre 12 mesi), che dal 1996 erano aumentati con un
ritmo eccezionale. Si può pensare che il forte aumento degli avviamenti nel
1999 abbia interessato anche gli immigrati iscritti da più lungo tempo al
collocamento, che peraltro sono relativamente pochi se si escludono gli avviati
con contratti inferiori alle 20 ore settimanali o ai quattro mesi, che non
vengono cancellati. E’, infatti, ragionevole generalizzare le conclusioni cui
sono giunti per il Veneto Anastasia, Gambizza e Rasera [2000], secondo i quali
la stragrande maggioranza degli immigrati iscritti al collocamento hanno una
bassa anzianità effettiva di disoccupazione, in quanto sono in genere in
transizione da un lavoro all'altro e quindi non costituiscono se non per una
modesta frazione un'offerta «aggiuntiva» di lavoro.
Tab. 5. Lavoratori non UE iscritti al collocamento al 31
dicembre. In migliaia
Anzianità
di iscrizione |
1991 |
1992 |
1993 |
1994 |
1995 |
1996 |
1997 |
1998 |
1999 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
sino a
3 mesi |
270 |
26 |
32 |
32 |
34 |
52 |
52 |
51 |
54 |
da 3 a
12 mesi |
37 |
31 |
26 |
30 |
34 |
53 |
67 |
72 |
62 |
oltre
12 mesi |
20 |
15 |
18 |
25 |
30 |
42 |
61 |
83 |
80 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Totale |
84 |
72 |
76 |
87 |
98 |
147 |
180 |
206 |
196 |
Fonte:
ministero del Lavoro
Alla
luce dei risultati delle ispezioni condotte dal ministero del Lavoro non sembra
agevole tentare un aggiornamento al 1999 delle stime avanzate nel primo
rapporto per dare un'idea dell'ordine di grandezza delle posizioni lavorative
(regolari ed irregolari) occupate dai lavoratori immigrati, siano essi
dipendenti o indipendenti. Tuttavia, i primi risultati dell'incrocio tra gli
archivi contributivi dei lavoratori non UE e l'archivio dei permessi di
soggiorno per motivi di lavoro [Inps 2000] sono troppo interessanti per non
rischiare una nuova stima, pur con tutta la prudenza che il caso richiede.
Infatti, su circa 830.000 cittadini da paesi non UE in possesso di permesso di
soggiorno per motivi di lavoro a febbraio 2000 l'Inps è riuscita ad abbinare
quasi 400.000 posizioni contributive, basandosi sugli archivi a fine 1997.
L'Inps dichiara che a costoro vanno aggiunti circa 26.000 lavoratori
assicurabili presso altri enti e stima che occorre aggiungere altri 60.000
lavoratori entrati in Italia per lavoro nel 1998 e nel 1999. In realtà, molti
di costoro sono entrati con contratti stagionali, quindi pare prudente ridurre
questa stima a 30.000. Tuttavia, per arrivare a febbraio 2000, quando l'ultima
regolarizzazione si è quasi conclusa, occorre aggiungere coloro che si sono
regolarizzati per lavoro: si tratta di poco più di 160.000 immigrati, circa
l'80% dei quali si può molto grossolanamente stimare abbiano perfezionato
l'offerta di lavoro presentata e quindi attualmente abbiano una posizione
contributiva. Si raggiunge così un totale di circa 585.000 lavoratori immigrati
con un'occupazione regolare, una cifra che risulta in linea con le
supposizioni avanzate dall'Inps stessa alla presentazione di un sito web
diretto ad informare gli immigrati sui problemi contributivi [Emsden 2000].
Su
questa base e sempre tenendo conto dei risultati delle ispezioni, è stata
costruita una stima per fine 1999 ‑ inizio 2000. Come si può vedere dalla
tabella 6, le differenze sono abbastanza piccole rispetto alla stima tentata
nel primo rapporto per fine 1998, cercando di tener conto della
regolarizzazione appena avviata. Ciò è motivo di conforto, anche se è bene
ripetere ancora una volta che si tratta di valori del tutto approssimativi. E'
bene anche ricordare che la ripresa dell'area irregolare‑illegale si
fonda sui risultati delle ispezioni condotte dal Ministero del lavoro, di cui
si sono rilevati i limiti strutturali e quelli specifici per il 1999.
Tab. 6.
Immigrati per posizione lavorativa e presenza
1994 |
Occupazione |
||
Soggiorno |
Regolare |
Irregolare |
Totale |
Legale |
211.000 |
138.000 |
349.000 |
Illegale |
--- |
341.000 |
341.000 |
Totale |
211.000 |
479.000 |
690.000 |
1996 |
Occupazione |
||
Soggiorno |
Regolare |
Irregolare |
Totale |
Legale |
391.000 |
166.000 |
557.000 |
Illegale |
--- |
182.000 |
182.000 |
Totale |
391.000 |
348.000 |
739.000 |
1998 |
Occupazione |
||
Soggiorno |
Regolare |
Irregolare |
Totale |
Legale |
564.000 |
260.000 |
824.000 |
Illegale |
--- |
100.000 |
100.000 |
Totale |
564.000 |
360.000 |
924.000 |
1999 |
Occupazione |
||
Soggiorno |
Regolare |
Irregolare |
Totale |
Legale |
585.000 |
245.000 |
830.000 |
Illegale |
--- |
115.000 |
115.000 |
Totale |
585.000 |
360.000 |
945.000 |
3. Le differenze regionali continuano ad acuirsi all'interno dei settori
Nel
primo rapporto si dava gran rilievo al fatto che il crescente inserimento degli
immigrati nel mercato del lavoro regolare non fosse affatto un fenomeno
omogeneo sul piano territoriale, ma concernesse alcune regioni in misura molto
maggiore di altre. Tutti i dati concordano nell'indicare che questa tendenza si
è ulteriormente accentuata nel corso del 1999.
Cominciano
con l'andamento dei lavoratori avviati dal collocamento in tutti i settori,
agricoltura inclusa. Come si può vedere dalla figura 1, nel 1999 sono ancora
aumentati, come avveniva senza interruzioni dal 1994, gli avviamenti in tutte e
tre le grandi aree (Nord‑Est, Centro e Lombardia) in cui già si
concentrava la stragrande maggioranza delle assunzioni regolari: oltre il 70%
sino al 1998, quasi il 75% nel 1999. E se consideriamo solo il Nord‑Est e
le regioni centrali, dove si concentra la domanda di lavoro operaio nelle
piccole imprese industriali, la percentuale è ancora del 53% sino al 1998 e
sale oltre il 55% nel 1999. Nel 1999 in Veneto un'assunzione su dieci concerne
un immigrato, e per il lavoro operaio non qualificato siamo ormai ad
un'assunzione su cinque [Veneto Lavoro 2000].
Figura 1. Lavoratori non UE avviati dal collocamento per
area regionale
Immagine pag. 175
La
tendenza dell'occupazione regolare degli immigrati a concentrarsi nelle aree
economicamente più dinamiche, dove l'offerta di lavoro locale non riesce a
soddisfare le esigenze della domanda, è confermata dalla distribuzione
territoriale dei lavoratori dipendenti denunciati all'Inps dalle imprese
industriali e di servizi. Come si può vedere dalla tabella 7, in Lombardia e
nelle regioni dell'Italia nord‑orientale e centrale si concentra nel 1999
ben l'82% dell'occupazione dipendente nelle imprese industriali e di servizi,
mentre sino al 1998 la percentuale si attestava sull'80-81 %.
Tab.7.
Lavoratori non UE occupati regolarmente alle dipendenze nelle imprese
industriali e di servizi (valori percentuali)
|
1995 |
1996 |
1997 |
1998 |
1999 |
Nord‑Ovest |
9,5 |
10,1 |
9,6 |
9,7 |
9.9 |
Lombardia |
27,6 |
27,3 |
27,4 |
26,7 |
26,7 |
Nord‑Est |
27,2 |
25,2 |
26,2 |
26,9 |
28,1 |
Centro |
26,3 |
26,7 |
26,7 |
27,4 |
27,2 |
Lazio |
5,6 |
5,6 |
5,8 |
5,5 |
4,8 |
Sud |
3,8 |
5,0 |
4,3 |
3,7 |
3,3 |
Italia |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
Fonte:
Inps
Una
simile tendenza interessa anche il lavoro domestico degli immigrati e delle
immigrate, anche se in questo caso le aree di maggiore concentrazione
territoriale sono, almeno in parte, diverse. Come mostra la tabella 8, nel 1999
in Lazio e Lombardia, ove ovviamente prevalgono le metropoli di Roma e Milano,
si concentra quasi il 55% degli immigrati occupati come domestici, mentre nel
1994 la percentuale superava di poco il 48%. Aggiungendo le regioni dell'Italia
centrale, si raggiunge quasi il 66% nel 1994 ed il 73% nel 1999.
Tab. 8. Lavoratori domestici non UE per area
territoriale (valori percentuali)
|
1994 |
1995 |
1996 |
1997 |
1998 |
Nord‑Ovest |
8,6 |
9,0 |
8,6 |
8,6 |
9,4 |
Lombardia |
20,2 |
21,6 |
23,2 |
23,9 |
24,3 |
Nord‑Est |
7,6 |
7,5 |
5,7 |
5,9 |
6.4 |
Centro |
17,5 |
16,4 |
15,2 |
16,0 |
18,1 |
Lazio |
28,2 |
26,6 |
25,7 |
29,6 |
30,6 |
Sud |
18,0 |
18,9 |
21,5 |
16,0 |
11.2 |
Italia |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
100, 0 |
100,0 |
Fonte:
Inps
Contrariamente
a quanto visto per l'occupazione nell'industria e nei servizi, che in appena
cinque anni è quasi raddoppiata, questa tendenza alla concentrazione
territoriale nel lavoro domestico avviene in un quadro di sia pur leggero
declino a partire dal 1996. In realtà, come si può vedere dalla figura 2,
questa tendenza si deve quasi soltanto all'andamento negativo delle regioni
meridionali e soprattutto della Sicilia. Ciò si può spiegare vuoi con il
ritorno al sommerso, vuoi con un fittizio «picco» nel 1996 in occasione della
regolarizzazione, quando dichiarare un'offerta di lavoro domestico fu un modo relativamente
poco costoso per avere un permesso di soggiorno per chi era ai margini del
mercato dei lavoro. L'arresto della crescita del lavoro domestico nelle aree in
cui è più diffuso sembra comunque indicare una certa stabilità in questo
settore (forse dovuta alla saturazione della domanda), cui si contrappone una
crescente domanda da parte delle imprese industriali, edili e di servizi. Un
simile scenario trova conferma da quanto risulta dal confronto tra gli esiti
delle due regolarizzazioni del 1996 e del 1998‑'99 a Milano.
Figura 2
Immagine a pag. 177
La
tendenza alla concentrazione territoriale dei lavoratori immigrati avviene
anche, come è ben noto, grazie alla loro elevata mobilità verso le regioni ove
vi sono maggiori possibilità di trovare un'occupazione regolare. Il confronto
tra la regione ove è stato rilasciato il permesso di soggiorno per lavoro e
quella in cui l'immigrato è occupato consente di dare un'idea più precisa di
questo fenomeno [Inps 2000]. All'inizio del 2000, tra i lavoratori immigrati
per cui l'Inps è riuscito ad abbinare permesso di soggiorno e posizione
contributiva, poco meno della metà lavorava in una regione diversa da quella in
cui aveva ottenuto il permesso. Ma questa percentuale scende parecchio sotto il
40% nel Nord‑Est, in Emilia e nelle Marche, cioè nelle regioni di
maggiore attrazione per i lavoratori immigrati, mentre sale oltre il 60% e
persino oltre il 70% nelle regioni meridionali, che offrono scarse opportunità
occupazionali causando una forte mobilità territoriale. (9)
4. La struttura dell'occupazione regolare per genere, livello di
qualificazione e tipo di contratto di lavoro
Nel primo rapporto si è messo in luce come le donne
immigrate fossero sempre più sfavorite rispetto ai maschi nell'avviamento al
lavoro regolare. Infatti, come mostra la tabella 9, mentre la percentuale di
donne tra gli avviati rimane praticamente costante dal 1992 al 1999 intorno al
20‑23%, quella tra coloro che, non trovando lavoro, restano iscritti al
collocamento cresce ininterrottamente da poco più del 20% nel 1992 sino a quasi
il 37% nel 1999. Ed è proprio il 1999 a segnare una brusca accelerazione nel
divario tra i maschi e le femmine per quanto riguarda le probabilità di trovare
un lavoro dipendente regolare. E' probabile, tuttavia, che tale fenomeno sia
dovuto in larga misura alla netta riduzione, per meri motivi normativi e
statistici, degli avviamenti al lavoro domestico, che ovviamente riguardano in
netta prevalenza le donne.
Tab. 9. Percentuale di donne tra gli iscritti al
collocamento e gli avviati
|
1992 |
1993 |
1994 |
1995 |
1996 |
1997 |
1998 |
1999 |
Iscritti
al collocamento |
20,2 |
24,0 |
28,0 |
30,3 |
28,9 |
30,3 |
33,7 |
36,8 |
Avviati
dal collocamento |
23,9 |
23,1 |
23,1 |
22,2 |
19,4 |
18,5 |
19,6 |
20,5 |
Fonte:
ministero del Lavoro
In
compenso, nel 1999 le donne immigrate sono state avviate in maggior misura ad
attività non di lavoro domestico. Infatti, pur continuando a costituire la
stragrande maggioranza dell'occupazione domestica non UE registrata dall'Inps
(poco meno del 75% nel 1994 e il 77% nel 1998), la percentuale di donne avviate
come lavoratrici domestiche è scesa dal 20% del 1996 e del 1997 al 17% nel 1998
e addirittura al 12% nel 1999. Occorre, però, ricordare che le assunzioni come
domestico/a passano sempre meno attraverso gli uffici di collocamento. Perciò,
più significativo è l'andamento del tasso di avviamento (10) in attività diverse da quelle domestiche, che
nel 1999 sale fin quasi al 56% dal 46‑47% degli anni precedenti. Dunque,
contrariamente a quanto rilevato nel primo rapporto, sembra che per le donne
immigrate si stia finalmente avviando quel processo di desegregazione
occupazionale che era stato peraltro segnalato da indagini qualitative.
Nel
1999 la qualificazione professionale dei lavori regolari cui sono avviati gli
immigrati resta sostanzialmente immutata. Infatti, come mostra la tabella 10,
la percentuale di immigrati avviati come operai generici rimane sullo stesso
livello, di poco superiore al 77%, così come quella degli operai qualificati e
degli specializzati. Unica novità è l'aumento della percentuale degli immigrati
avviati come impiegati, che per la prima volta supera la soglia del 2%. Quindi,
poiché livelli di qualificazione superiori per il lavoro operaio erano già
stati raggiunti in anni precedenti, non è possibile parlare di una tendenza
significativa ad una maggiore qualificazione delle occasioni di lavoro per gli
immigrati, anche se non si hanno informazioni sulle eventuali carriere interne degli
ormai molti immigrati che si sono stabilmente inseriti nelle aziende italiane.
Tab. 10.
Lavoratori non UE avviati per qualifica del lavoro (valori percentuali)
|
1991 |
1992 |
1993 |
1994 |
1995 |
1996 |
1997 |
1998 |
1999 |
Operaio
generico |
81,0 |
79,2 |
76,7 |
76,9 |
75,8 |
74,5 |
75,4 |
77,5 |
77,3 |
Operaio
qualificato |
15,7 |
17,3 |
19,2 |
19,7 |
19,8 |
19,8 |
19,4 |
17,9 |
17,9 |
Operaio
specializzato |
1,8 |
1,7 |
2,3 |
2,0 |
3,1 |
4,0 |
3,7 |
2,9 |
2,7 |
Impiegato |
1,6 |
1,7 |
1,8 |
1,4 |
1,2 |
1,7 |
1,4 |
1,8 |
2,1 |
Totale |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
Fonte:
ministero del Lavoro
Per
quanto riguarda, infine, la consistenza dei rapporti di lavoro, prosegue anche
per gli immigrati la tendenza alla riduzione delle occupazioni «tipiche», cioè
a tempo pieno ed indeterminato. Come si può vedere dalla tabella 11, nel 1999
vi è un ulteriore netto aumento della percentuale di avviamenti con rapporti a
tempo determinato, che sfiora ormai il 50%, mentre continuano ad avere
scarsissimo peso i contratti di formazione e lavoro e restano del tutto assenti
gli avviamenti come apprendisti, nonostante l'innalzamento dell'età utile che
avrebbe potuto aprire maggiori possibilità per gli immigrati, tra cui i
giovanissimi sono relativamente poco presenti (solo un quinto degli avviati,
infatti, ha meno di 24 ami).
Tab. 11.
Lavoratori non UE avviati per tipo di contratto (valori percentuali)
|
1991 |
1992 |
1993 |
1994 |
1995 |
1996 |
1997 |
1998 |
1999 |
Permanente |
59,6 |
62,6 |
57,5 |
52,4 |
51,1 |
36,5 |
38,2 |
37,8 |
35,9 |
A
tempo determinato |
23,3 |
19,8 |
27,9 |
32,2 |
34,3 |
54,2 |
43,9 |
46,8 |
48,7 |
Part
time |
10,3 |
13,2 |
10,4 |
11,0 |
9,8 |
3,8 |
12,1 |
10,9 |
11,3 |
Formazione
lavoro |
6,9 |
4,4 |
4,3 |
4,4 |
4,8 |
5,6 |
5,8 |
4,6 |
4,1 |
Totale |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
Fonte:
ministero del Lavoro
5. Distribuzione settoriale e modelli territoriali di inserimento
lavorativo
Nel
1999 sia l'andamento delle posizioni contributive registrate dall'Inps sia
quello degli avviamenti confermano quanto già osservato nel primo rapporto: da
qualche anno ormai la distribuzione per grandi settori dell'occupazione
dipendente regolare degli immigrati si è assestata su scala nazionale. Come
mostrano le figure 3 e 4, che ovviamente misurano l'occupazione dipendente
degli immigrati da diversi punti di vista, dal 1997 il peso relativo delle
grandi aree occupazionali presenta cambiamenti minimi. Per quanto riguarda i
lavoratori dipendenti registrati dall'Inps, le percentuali oscillano per
l'industria manifatturiera intorno al 27%, per l'edilizia al 7%, per i servizi
al 20%, per il lavoro domestico al 30% e per l'agricoltura al 16% (vedi anche
la tabella 1). (11) Quanto agli
avviamenti, dal 1997 restano praticamente stabili le percentuali
dell'agricoltura sul 22%, dell'industria (edilizia compresa) sul 41 % e dei
ristoranti e pubblici esercizi sull'11 %. Invece, alla riduzione della
percentuale avviamenti al lavoro domestico (dal 5% al 3%) si contrappone l'aumento
degli altri servizi (dal 17 al 22%). Ma si deve ricordare che per il lavoro
domestico nuove disposizioni hanno consentito alle famiglie di assumere senza
passare dagli uffici collocamento.
Figura 3. Lavoratori non UE avviati dal collocamento per
settore economico
Immagine pag. 180
Figura 4. Lavoratori dipendenti non UE registrati
dall'Inps per grandi settori
Immagine pag. 180
La recente
disponibilità di dati Inps ha consentito una più dettagliata analisi della
distribuzione settoriale per i lavoratori immigrati dipendenti da aziende
industriali e di servizi (vedi anche Cer [2000]). Come si può vedere dalla
tabella 12, nell'industria manifatturiera predomina nettamente il settore
metalmeccanico (che sfiora ora il 24%) e nei servizi il commercio e la
ristorazione (ormai oltre il 29%). Da soli questi due settori raggiungono nel
1999 ben più della metà di tutta l'occupazione degli immigrati nelle imprese
industriali e di servizi. E la loro posizione dominante va crescendo poiché
insieme hanno coperto oltre il 60% dell'occupazione aggiuntiva dal 1991 al 1995
ed oltre il 56% dal 1995 al 1999. Tra i settori minori, significativo è il
forte incremento in termini relativi dei trasporti. Colpisce, invece, la
contrazione, persino in valori assoluti, dei servizi di pulizia, che indagini
locali ed i risultati dell'ultima regolarizzazione (almeno per Milano, vedi
capitolo 3.1 appendice A ) segnalano come un settore che si sta molto
etnicizzando, ma è possibile che non poche imprese di pulizia siano state
classificate dall'Inps nelle attività commerciali.
Tab. 12. Lavoratori non UE dipendenti da imprese
industriali e di servizi per settore economico
Settore |
valori assoluti |
distribuzione percentuale |
variazioni percentuali |
distribuz. % degli incrementi |
||||||
|
1991 |
1995 |
1999 |
1991 |
1995 |
1999 |
1995-1991 |
1999‑1995 |
1995-1991 |
1999-1995 |
Edilizia |
13.081 |
13.579 |
24.385 |
16,4 |
12,6 |
12,6 |
3,8 |
79,6 |
1,8 |
12,7 |
Abbigliamento,
tessile |
4.257 |
5.380 |
10.535 |
5,3 |
5,0 |
5,5 |
26,4 |
95,8 |
4,0 |
6,0 |
Alimentare |
2.881 |
3.283 |
5.841 |
3,6 |
3,0 |
3,0 |
14,0 |
77,9 |
1,4 |
3,0 |
Carta,
editoria |
870 |
1.013 |
1.876 |
1,1 |
0,9 |
1,0 |
16,4 |
85,2 |
0.5 |
1,0 |
Chimica,
gomma, pelli |
6.130 |
9.654 |
16.785 |
7,7 |
9,0 |
8,7 |
57,5 |
73,9 |
12,5 |
8,4 |
Legno,
mobili |
3.384 |
4.253 |
8.146 |
4,3 |
3,9 |
4,2 |
25,7 |
91,5 |
3,1 |
4,6 |
Meccanica,
metallurgia |
18.629 |
24.831 |
46.001 |
23,4 |
23,0 |
23,8 |
33,3 |
85,3 |
22,0 |
24,8 |
Altre industrie |
4.104 |
4.989 |
7.375 |
5,2 |
4,6 |
3,8 |
21,6 |
47,8 |
3,1 |
2,8 |
Commercio,
ristorazione |
19.045 |
29.903 |
56.340 |
23,9 |
27,7 |
29,2 |
57,0 |
88,4 |
38,5 |
31,0 |
Servizi
di pulizia |
3.496 |
4.110 |
2.880 |
4,4 |
3,8 |
1,5 |
17,6 |
‑29,9 |
2,2 |
‑1,4 |
Trasporti |
2.414 |
4.703 |
10.539 |
3,0 |
4,4 |
5,5 |
94,8 |
124,1 |
8,1 |
6,8 |
Altri
servizi |
1.293 |
2.120 |
2.339 |
1,6 |
2,0 |
1,2 |
64,0 |
10,3 |
2,9 |
0,3 |
Totale |
79.584 |
107.818 |
193.042 |
100,0 |
100,0 |
100,0 |
35,5 |
79,0 |
100,0 |
100,0 |
Fonte: Inps
Si è
già detto che questa sostanziale stabilità nella distribuzione settoriale, a
fronte di una crescente concentrazione territoriale, si spiega con il fatto che
le regioni in cui più forte è la domanda di lavoro regolare per gli immigrati
non sono economicamente omogenee e quindi «utilizzano» la nuova forza lavoro in
modi profondamente diversi. Nel primo rapporto si erano delineati i diversi
modelli territoriali di inserimento lavorativo degli immigrati utilizzando sia
i dati sugli avviamenti per il 1997, sia quelli Inps (rielaborati dall'Istat)
sui dipendenti dalle imprese e dalle famiglie sempre nel 1997. Le tabelle 13 e
14 presentano un aggiornamento degli stessi dati al 1998‑1999.
Tab. 13. Lavoratori non Ue avviati per settore ed area
socio‑economica. 1999 Distribuzione percentuale
|
Agricoltura |
Industria
ed edilizia |
Lavoro
domestico |
Pubblici
esercizi |
Altri
servizi |
Totale |
Nord‑Ovest |
14,9 |
46,2 |
2,7 |
11,2 |
25,0 |
100,0 |
Lombardia |
7,9 |
46,2 |
2,5 |
10,4 |
33,0 |
100,0 |
Nord‑Est |
20,2 |
44,4 |
2,1 |
12,7 |
20,7 |
100,0 |
Centro |
23,6 |
42,6 |
4,1 |
11,7 |
18,0 |
100,0 |
Lazio |
25,6 |
21,8 |
2,5 |
3,2 |
46,9 |
100,0 |
Mezzogiorno |
56,1 |
19,0 |
8,8 |
6,9 |
9,1 |
100,0 |
Italia |
22,8 |
40,6 |
3,7 |
10,8 |
22,2 |
100,0 |
Fonte:
Ministero del lavoro
Tab. 14. Settori dei lavoratori dipendenti non UE.
Distribuzione percentuale
|
Agricoltura |
Industria |
Edilizia |
Lavoro
domestico |
Servizi |
Totale |
Nord‑Ovest |
9,2 |
26,3 |
11,7 |
30,7 |
22,2 |
100,0 |
Lombardia |
5,7 |
31,8 |
5,9 |
31,0 |
25,6 |
100,0 |
Nord‑Est |
22,0 |
39,7 |
7,9 |
8,5 |
21,8 |
100.0 |
Centro |
15,4 |
33,0 |
9,0 |
22,2 |
20,5 |
100.0 |
Lazio |
7,3 |
3,1 |
3,0 |
71,6 |
15,0 |
100,0 |
Mezzogiorno |
38,3 |
7,6 |
2,8 |
39,7 |
11,6 |
100,0 |
Italia |
14,9 |
27,7 |
7,0 |
29,7 |
20,7 |
100,0 |
Fonte:
Rielaborazione su dati Inps 1998 per lavoro domestico ed agricoltura, 1999 per
gli altri settori.
Gli
esiti confermano la tipologia presentata, che ha trovato conforto anche da un
recente studio statistico che ha messo in relazione, a livello provinciale, i
tipi di avviamento al lavoro degli immigrati con le variabili di contesto del
mercato del lavoro [Gallina 1999]. Possiamo, così, rapidamente riprenderla:
1. Nel
modello industriale del Nord‑Est e delle regioni centrali (dall'Emilia
alle Marche) prevale nettamente la domanda di lavoro proveniente dalle piccole
imprese manifatturiere. Importante nel Nord‑Est è anche la domanda di
lavoro che proviene dall'agricoltura, per lo più stagionale, mentre il lavoro
domestico assume un certo rilievo solo nelle città dell'Italia centrale
(Bologna, Firenze).
2. Il
modello metropolitano, proprio delle conurbazioni di Milano e Roma, ma presente
anche in città medio‑grandi del Centro‑Nord, si caratterizza per la
forte domanda che proviene dalle famiglie per il lavoro domestico e di cura e
dai servizi necessari alla qualità della vita urbana (dalla ristorazione alle
pulizie). La Lombardia, per la sua complessa composizione socio‑economica,
comprende realtà simili, oltre che a questo modello, anche al primo.
3.
Infine il modello meridionale si articola in due sotto‑modelli: nelle
grandi e medie città è presente quasi soltanto la domanda di lavoro domestico
da parte delle famiglie, mentre nelle aree rurali la domanda di lavoro proviene
per lo più dall'agricoltura stagionale di raccolta o da quella stabile delle
serre, della pastorizia o della pesca.
6. Previsioni e domanda di lavoratori immigrati: un'accelerazione nel
2000?
Nell'estate
1999, troppo tardi per dame più di un cenno nel primo rapporto, sono stati
pubblicati i risultati dell'indagine Excelsior (12)
sulle assunzioni previste dalle imprese private dell'industria e dei servizi.
Per il biennio 1999‑2000, ormai in piena espansione economica, l'indagine
prevede una crescita dell'occupazione del 2,2%, quasi tutta concentrata nelle
imprese piccole e piccolissime, e soprattutto mette in luce che ben un terzo
delle figure professionali che le imprese dichiarano di ricercare è di
difficile reperimento. Tra i lavoratori che le imprese dicono di non riuscire a
trovare non vi sono soltanto gli specialisti di alto livello, ma in misura
nient'affatto secondaria anche gli operai comuni, quelli che debbono sopportare
i compiti più faticosi e dequalificati, e gli operai specializzati, che debbono
unire capacità tecniche e personali alla disponibilità a condizioni di lavoro
gravose per ambiente e contesto lavorativo. Ciò spiega perché quasi il 7% delle
imprese (oltre l'8% nell'industria, con punte oltre l'11% nella metalmeccanica
e nella gomma‑plastica) preveda di poter assumere lavoratori immigrati.
Nel
complesso per il biennio 1999‑2000 le imprese hanno previsto di poter
assumere circa 200.000 lavoratori immigrati, quasi un quarto del totale delle
nuove assunzioni. Come opportunamente sottolinea Zanfrini [2000] nel presentare
i risultati dell'indagine, si tratta di disponibilità e/o propensioni delle
imprese ad assumere lavoratori non comunitari, quindi le valutazioni potrebbero
essere sovrastimate. Tuttavia, dall'indagine sono esclusi i fabbisogni di lavoratori
stagionali, che sono importanti non solo in agricoltura, ed è esclusa anche la
domanda di lavoro domestico e di assistenza da parte delle famiglie. I settori
ove maggiormente si concentra la domanda sono l'industria metalmeccanica (il
17%), i servizi operativi alle imprese (oltre il 16%, da intendersi per lo più
come servizi di pulizia e facchinaggio), le costruzioni (quasi il 16%), ma
rilevante (oltre la soglia del 5%) è anche la percentuale di altri settori: i
trasporti, i servizi sanitari e alle persone, l'industria dell'abbigliamento e
del cuoio e pellami. Naturalmente la distribuzione del livello di
qualificazione è orientata verso il basso. Il peso delle mansioni manuali
specializzate (quasi il 27%) appare cospicuo soltanto perché comprende un 7% di
muratori. Gli addetti ai servizi di pulizia, i commessi, i camerieri e gli
addetti ai servizi di assistenza alle persone raggiungono il 26%, gli operai
industriali con un livello di qualificazione medio non arrivano al 22% e il
personale non qualificato al 19%. Le professioni non manuali, come era
ovvio attendersi, non vanno oltre il 7%.
Tuttavia,
l'aspetto più importante da rilevare è che in alcuni settori, in alcune regioni
e per alcune professioni la quota di immigrati che le imprese prevedono di assumere
raggiunge livelli critici, che si spiegano soltanto con l'estrema difficoltà
che ormai piccole e piccolissime imprese, sia industriali sia di servizi,
incontrano nel reperire lavoratori italiani. (13)
La percentuale degli immigrati sul totale delle persone di cui si prevede
l'assunzione sfiora il 35% nelle regioni del Nord‑Est, supera il 44% nei
servizi di pulizia alle imprese, raggiunge il 40% nelle costruzioni e supera il
30% in parecchi altri settori: dall'industria del legno all'abbigliamento, dal
cuoio e pellami alla gomma e materie plastiche, fino ai servizi sanitari
privati. Quanto alle figure professionali, siamo oltre il 50% per il personale
non qualificato nell'edilizia e nell'industria manifatturiera (con punte oltre
il 55% per i manovali e gli addetti ai servizi di pulizia), quasi al 50% per
tutte le mansioni qualificate delle costruzioni (muratori, elettricisti,
carpentieri, idraulici), sul 47% per gli operatori di macchine utensili e quasi
al 46% per gli addetti ai servizi di assistenza alle persone [Zanfrini 2000].
Nelle piccole imprese del Veneto, il potenziale di assunzioni di immigrati
raggiunge il 90% nelle costruzioni e sfiora il 70% nell'industria
manifatturiera [Veneto Lavoro 2000].
Ciò
spiega perché tra le organizzazioni imprenditoriali del Nord‑Est siano
andate crescendo sia le pressioni per aumentare le quote di nuovi ingressi, sia
le iniziative per stabilizzare e qualificare i lavoratori immigrati. (14) Entrambe queste iniziative, però, incontrano
molte difficoltà. Gli interventi per favorire l'accesso ad un'abitazione
trovano ostili le comunità locali, che, chiuse nel loro localismo, vorrebbero
gli immigrati relegati all'interno delle fabbriche ed invisibili nella società.
D'altro canto, i corsi di formazione professionale sono poco frequentati dagli
immigrati, molti dei quali o hanno progetti migratori a breve scadenza e non
sono interessati a un investimento formativo o hanno elevati livelli di istruzione
ed aspirano ad uscire dal lavoro operaio, anche qualificato.
Che
nelle imprese italiane, soprattutto in quelle industriali e nelle regioni più
dinamiche, gli immigrati soddisfino ormai fabbisogni strutturali, consentendo
ad interi settori di evitare situazioni di crisi, è un'opinione largamente
consolidata tra gli esponenti delle associazioni imprenditoriali, come risulta
da un'ampia indagine recentemente condotta per la Fondazione Agnelli [Sciarrone
e Santi 2000].
La carenza di
lavoratori italiani, che spingerebbe le imprese a prevedere di assumere una
gran quantità di immigrati per i posti di lavoro meno qualificati, sembra,
però, in contrasto con quanto risulta da un'analisi dell'andamento dei tassi di
disoccupazione per professione [Istat 1999]. Dal 1993 al 1999, l'aumento della
disoccupazione tra gli italiani ha comportato un netto peggioramento delle
professioni relative al personale non qualificato rispetto a quelle a più
elevato livello di qualificazione, con un ampliamento delle disuguaglianze. Secondo
lo studio, questo fenomeno può essere dovuto, oltre che ad una caduta della
domanda di lavoro per le mansioni a bassa qualifica, anche ad un aumento
dell'offerta dei lavoratori disponibili a tali mansioni, dovuto alla crescente
presenza degli immigrati. Perciò, le imprese non
ricorrerebbero
agli immigrati in mancanza di lavoratori locali; al contrario, vi sarebbero
lavoratori italiani anche per lavori di basso livello, ma subirebbero la
concorrenza degli immigrati e resterebbero più a lungo disoccupati.
Tuttavia,
due osservazioni mettono in discussione questo quadro. In primo luogo,
l'analisi dei tassi di disoccupazione è stata svolta a livello nazionale,
mentre è largamente probabile che il peggioramento della situazione di mercato
del lavoro dei lavoratori meno qualificati riguardi soprattutto le regioni
meridionali. Nelle regioni centro‑settentrionali, e segnatamente nel Nord‑Est,
la ripresa economica era già avviata nel 1999 e il mercato del lavoro era
prossimo alla piena occupazione, in particolare per il lavoro manuale, il più richiesto dalle piccole imprese industriali ed edili, su cui questa
ripresa si fonda. E sono queste le aree che più prevedono di assumere
immigrati. In secondo luogo, lo stesso studio in un paragrafo precedente mette
in luce l'esistenza in Italia di un serio mismatch tra una domanda di lavoro
che resta poco qualificata ed un'offerta, soprattutto giovanile, sempre più
qualificata. Poiché una quota rilevante di lavoratori italiani ha un titolo di
studio più elevato di quello richiesto dal lavoro svolto, è possibile che chi
perda un lavoro dequalificato resti più a lungo alla ricerca di un nuovo posto,
nella speranza di trovarlo più adeguato alle proprie aspirazioni professionali.
Dunque, il crescente tasso di disoccupazione di costoro può essere dovuto a un
elemento che non ha nulla a che fare con la supposta concorrenza dei lavoratori
immigrati. Occorre, tuttavia, osservare che una larga disponibilità di lavoro
poco qualificato, grazie alla presenza degli immigrati, può aver innescato il
ben noto ciclo perverso dei lavori cattivi, per cui le caratteristiche delle
attività più povere di contenuto professionale degradano sempre più invece di
migliorare per risultare accettabili anche dai lavoratori locali con più
elevate aspirazioni.
A
conferma della forte segmentazione del mercato del lavoro italiano, Villosio e
Venturini [2000] non solo rilevano come gli immigrati siano da sempre
localizzati in prevalenza nelle aree territoriali e settoriali a maggiore
domanda di lavoro, ma anche come la relazione inversa tra presenza di immigrati
e livello di disoccupazione sia andata accentuandosi nel corso del tempo. Più
in particolare, grazie ad una complessa analisi econometria, Villosio e
Venturini [2000] mostrano che di concorrenza tra immigrati e lavoratori
italiani ve ne sia molto poca. Infatti, nel caso di disoccupati italiani
giovani e senza esperienza di lavoro, la presenza di immigrati potrebbe aver
determinato un debole effetto di piazzamento, probabilmente limitato alle
regioni meridionali, subito dopo la regolarizzazione del 1991, mentre più
recentemente l'immigrazione non risulta influire in misura significativa sulle
opportunità occupazionali degli italiani. Anzi nel 1997 nel Centro‑Nord
emerge un effetto di complementarietà. Per quanto riguarda i disoccupati con
alle spalle esperienze di lavoro, l'effetto della presenza di immigrati sul
mercato del lavoro sembra sempre prevalentemente di tipo complementare,
soprattutto nel Centro‑Nord. Infine, per gli occupati, la
regolarizzazione del 1996 sembra a prima vista causare una certa competizione
tra i lavoratori stranieri e gli italiani, in particolare quelli giovani e poco
istruiti nel Centro‑Nord. Ma ulteriori approfondimenti non confermano
tale relazione. Tutto ciò non esclude, tuttavia, che la grande
disponibilità di una forza lavoro mobile quale quelle degli immigrati abbia
contribuito a ridurre la mobilità interna dal Mezzogiorno ad alta
disoccupazione verso le regioni dei Centro‑Nord da qualche tempo prossime
al pieno impiego. L'alternativa tra ricorso agli immigrati oppure ai giovani
meridionali è stata recentemente posta nel dibattito di politica del lavoro a
livello regionale ed anche nazionale, a volte trascurando che le due vie
possono in larga misura non escludersi, se si tiene conto della qualità dei
posti di lavoro vacanti nelle aree più sviluppate.
Merita,
infine, di essere segnalato che per la prima volta è stato affrontato anche in
Italia il problema della discriminazione subita dai lavoratori immigrati, non
pochi dei quali sono in possesso di titoli di studio medio‑alti e
svolgono attività lavorative di livello molto basso, con un processo di sotto‑inquadramento
ben maggiore di quanto accade per parecchi giovani italiani. Purtroppo il
livello di istruzione dei lavoratori immigrati viene largamente sottostimato
dalle rilevazioni degli uffici di collocamento, sia perché non è facile far
riconoscere un titolo ottenuto in un paese lontano e poco conosciuto, sia
perché l'immigrato non ha alcun interesse a dichiarare una laurea o un diploma,
quando sa bene che ciò potrebbe addirittura costituire un ostacolo
all'assunzione come lavoratore manuale. Per avere informazioni più
attendibili siamo perciò costretti [Zanfrini 1999; Reyneri 1999] a passare in
rassegna e rielaborare le non molte indagini locali che raccolgono informazioni
oltre che sul lavoro degli immigrati, anche sul loro livello di istruzione. La
più recente di queste indagini, pur fondata su un campione non rappresentativo,
fornisce risultati significativi [Ambrosini 2000]. Tra oltre 2.000 immigrati
intervistati in quattro città (Torino, Genova, Brescia e Modena), meno del 25%
dichiara un'istruzione inferiore agli otto anni, mentre quasi il 47% si colloca
tra i 9 e 13 anni ed oltre il 28% dichiara almeno 14 anni di scolarizzazione.
La
scarsa presenza, almeno finora, di processi di mobilità occupazionale nel
lavoro dipendente è destinata a porre seri problemi di discriminazione, una
volta che la presenza degli immigrati si sia consolidata e comincino a
manifestarsi le legittime aspirazioni ad attività lavorative consone alle
proprie competenze. Quanto meno gli immigrati sono in concorrenza con i
lavoratori italiani, perché svolgono le cattive mansioni che nessun giovane
italiano vuole, tanto è più probabile che vi sia una discriminazione nei loro
confronti. Questo è il contrappasso di fronte al quale l'Italia si troverà tra
qualche anno, come già segnalato nel primo rapporto.
Tornando
all'attualità, le previsioni Excelsior forniscono anche indicazioni per la
programmazione dei flussi annui di ingresso, che secondo la nuova legge è
affidata a un decreto del Presidente del Consiglio e non è più soggetta al
vincolo dell'indisponibilità di lavoratori italiani al momento della singola
autorizzazione all'ingresso. Assumendo, come gli stessi autori dell'indagine
hanno suggerito, che le nuove assunzioni possano essere soddisfatte soltanto
per la metà con immigrati già presenti in Italia, si deduce che le imprese
industriali e dei servizi avrebbero bisogno, a breve termine, di un flusso di
ingresso annuo di circa 50.000 lavoratori. A questi ingressi vanno aggiunti i
flussi per l'agricoltura e per il lavoro domestico. Ciò spiega perché la quota
annuale fissata in 63.000 si sia esaurita già a metà 2000, anche perché ha
funzionato bene la procedura dell'ingresso alla ricerca di lavoro garantito da
uno sponsor (per lo più un parente o un amico), cui erano riservati 15.000
ingressi. Si è allora aperta un'accesa discussione, con riflessi politici,
sulle dimensioni della domanda di lavoro rimasta insoddisfatta e sulla
necessità di nuovi ingressi.
La
questione non è di facile soluzione né sul piano sostanziale, né su quello
procedurale. Innanzi tutto è ovviamente impossibile programmare un mercato del
lavoro così come un sistema economico, tanto più quando la domanda di lavoro
per gli immigrati è in larghissima maggioranza espressa da piccole imprese o
dalle famiglie, che nei loro processi di assunzione si fanno per lo più guidare
da reti di conoscenze personali. Inoltre, se è vero che i mercati del lavoro
sono, per definizione, locali e la loro gestione è stata recentemente affidata
alle amministrazioni regionali e provinciali, i lavoratori immigrati sono
estremamente mobili sul territorio così come tra i settori economici. (15) Pertanto, la decisione sulle quote
di nuovi ingressi non può che essere presa a livello nazionale. L'unico
livello, tra l'altro, in cui si può tenere conto dei rapporti con i paesi di
emigrazione, di una politica di prevenzione degli ingressi irregolari e delle
direttive comunitarie, inevitabilmente destinate a diventare sempre più
penetranti in questo campo.
Ciò
richiede una stretta collaborazione tra le autorità di governo (Presidenza del
Consiglio e ministero del Lavoro) e le amministrazioni locali. Collaborazione
da realizzarsi anche a livello locale, poiché, mentre i servizi per l'impiego
per tutti i lavoratori, senza distinzione di nazionalità, sono ormai gestiti da
province e regioni, la richiesta e il rilascio delle autorizzazioni all'ingresso
dei lavoratori non comunitari sono compiti rimasti affidati alle direzioni
provinciali del ministero del Lavoro. Dopo decenni di centralismo, l'Italia si
è data la più decentrata e federalista organizzazione delle politiche del
lavoro e dei servizi per l'impiego che esista in Europa. Ciò rafforza
l'esigenza della cooperazione tra organismi locali e centrali che devono
promuovere, coordinare e indirizzare le politiche del lavoro. La stesura di un
Piano nazionale per l'occupazione, annualmente richiesta dall'Unione Europea,
ha messo in luce l'ovvia esigenza di uno stretto coordinamento tra le politiche
del lavoro ai diversi livelli territoriali. L'altrettanto ovvia esigenza di
favorire la mobilità territoriale dei lavoratori impone che le informazioni
raccolte da un servizio locale per l'impiego siano disponibili a tutti gli
altri servizi locali, in qualunque regione si trovino. E' questa la ragione che
sostiene la realizzazione del Sil, (16)
di cui si attende l'imminente entrata in funzione. La questione dei flussi di
ingresso dei lavoratori immigrati costituisce il terzo momento di una
necessaria collaborazione inter‑istituzionale. Ed è anche a questo fine
che il ministero del Lavoro sta predisponendo una banca dati unitaria (anagrafe
informatizzata), anche per ovviare al fenomeno, spesso verificatosi, di regioni
che esauriscono rapidamente la quota di autorizzazioni al lavoro dall'estero e
di altre che ne usufruiscono solo in piccola parte [Anastasia, Gambuzza e
Rasera 2000].
7. Conclusioni
Nell'introduzione
sono state riassunte le tendenze che hanno finora caratterizzato l'inserimento
degli immigrati nel mercato del lavoro italiano. Anche per un fenomeno ad alto
tasso di mutamento quale l'immigrazione, a distanza di un solo anno i segni di
novità non possono essere molti. Ma ve ne sono.
Innanzi
tutto, prosegue la crescita dell'occupazione regolare degli immigrati, grazie
anche al fatto che si è di molto ridotto il fenomeno del ritorno al lavoro
irregolare dopo l'emersione in occasione di una regolarizzazione. Inoltre,
anche prima dell'attuazione delle procedure stabilite dalla nuova legge, sono
aumentati gli ingressi regolari per motivi di lavoro. Ed il rapido esaurimento
delle richieste di ingresso attraverso l'innovativa procedura dello sponsor
così come le quote riservate ai paesi con cui sono stati stabiliti accordi di
immigrazione fanno pensare che una politica di prevenzione possa dare qualche
risultato. Ciò non esclude, naturalmente che una percentuale non piccola di
immigrati continui a lavorare in nero. Ad impedire una più rapida contrazione
dell'occupazione irregolare può, però, aver contribuito la lunghezza delle
procedure dell'ultima regolarizzazione, per cui molti immigrati sono rimasti in
una situazione anomala per più di un anno dal momento della presentazione della
domanda a quello del rilascio del permesso di soggiorno.
Quanto
alla distribuzione territoriale e settoriale, mentre si acuisce la
concentrazione nelle regioni a più alto sviluppo economico e ormai in situazione
di pieno impiego, vi sono segnali di una stabilizzazione della domanda di
lavoro proveniente dalle famiglie per il lavoro domestico o di assistenza,
mentre va crescendo sempre più l'occupazione in edilizia, nell'industria
manifatturiera e nei servizi urbani di basso livello. Soprattutto se si
considerano le previsioni di assunzione a breve termine, in non poche aree
dell'Italia nord‑orientale e centrale la presenza di lavoratori immigrati
ha raggiunto una dimensione tale che la caratterizza come un elemento
essenziale e strutturale dell'assetto economico locale. Nelle fabbriche di
Treviso o Vicenza come nelle stalle di Cremona o Modena senza gli immigrati
interi cicli produttivi entrerebbero in grave crisi. E altrettanto ne
soffrirebbe la qualità della vita di molte famiglie a Milano e Roma. Il lato
negativo non è certo dato dalla concorrenza con i disoccupati italiani, che
continua a non esistere, ma dal fatto che gran parte di questi vantaggi sono
legati ad una condizione di precarietà, che rende gli immigrati disponibili a
qualunque lavoro. Una condizione inevitabilmente destinata a scomparire per chi
si integra nella società italiana.
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«Programmare» per competere. I fabbisogni professionali delle imprese italiane e
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Unioncamere e Fondazione Cariplo‑Ismu.
Note:
1) I nuovi dati forniti dall'Inps hanno permesso anche di correggere le stime presentate nella tabella 1 del primo rapporto, in particolare per il lavoro domestico e l'agricoltura dal 1994 al 1997.
2) Uno studio citato nel primo rapporto ha stimato, per gli anni dal 1991
al 1993, un numero di lavoratori nati in paesi a forte pressione emigratoria
più che doppio rispetto a quanto rilevato nell'archivio delle imprese non
agricole. E' probabile, peraltro, che questa valutazione fosse per eccesso e
che, inoltre, il fenomeno, dovuto alla scarsa informazione delle imprese, si
sia ridotto dal 1996 e non riguardi il lavoro domestico, dato il gran rilievo
dei lavoratori e delle lavoratrici non UE in tale settore. In ogni caso, questa
discrasia è destinata a scomparire con il progredire dell'incrocio degli
archivi contributi con quello dei permessi di soggiorno per lavoro, di cui sono
già disponibili i primi risultati, come si dirà più avanti.
3) A questa stima si giunge applicando alle 193.000 domande accolte in totale la percentuale di quelle per lavoro subordinato rilevata su quelle accolte entro gennaio 2000 [Caritas Roma 2000].
4) Quest'ultima interpretazione sarebbe suffragata dal fatto che, secondo
i dati recentemente forniti dall'Inps, la «punta» raggiunta dai lavoratori
domestici regolari nel 1996 fu dovuta essenzialmente ai maschi africani,
tradizionalmente poco disposti a tali lavori, in particolare in Sicilia, ove
più precario è sempre stato l'inserimento lavorativo degli immigrati.
5) Anche in questo caso si rinvia al primo rapporto per una spiegazione
del fenomeno.
6) L'attività di controllo degli Ispettorati del lavoro non solo è scarsa
per carenze di organico, ma è anche erratica in quanto dipende da fattori
istituzionali ed organizzativi, per cui in alcune regioni è intensa e in altre
quasi inesistente, almeno sino al 1998.
7) Ciò risulta dalla netta caduta della percentuale di immigrati
sull'occupazione totale delle imprese ispezionate.
8) Questa situazione è stata sanata solo da una circolare del Ministero
del lavoro del settembre 2000.
9) In provincia di Treviso negli ultimi anni il 15‑20% degli
immigrati avviati per la prima volta risulta proveniente dal Centro‑Sud
[Anastasia, Gambuzza e Rasera 2000].
10) Dato dal rapporto tra il numero degli avviamenti annui e quello dei
lavoratori rimasti iscritti alla fine dell'anno, il tasso di avviamento
costituisce una misura della probabilità di trovare un lavoro regolare per gli
immigrati iscritti al collocamento.
11) Le leggere differenze rispetto al primo rapporto si devono alla
revisione dei dati.
12) L'indagine è stata condotta da Unioncamere e Ministero del lavoro ed
è disponibile in cd‑rom.
13) Anche se per il Veneto Anastasia, Gambuzza e Rasera [2000] sospettano
che in qualche caso il vero motivo stia nel calmierare le eccessive richieste
salariali dei lavoratori locali.
14) Articoli che illustrano questi problemi compaiono frequentemente sul
quotidiano della Confindustria: da ultimo, si può ricordare Pasqualetto
[2000].
15) Né è pensabile limitarne la mobilità territoriale, poiché l'effetto
sarebbe soltanto quello di ricreare irregolarità, come mostra la lezione dei
paesi (la Spagna, ad esempio) che hanno rilasciato permessi di lavoro limitati
ad una data regione.
16) Il servizio informazioni lavoro è una grande banca dati, cui
dovrebbero confluire in tempo reale tutti gli archivi delle persone in cerca di
occupazione e dei posti di lavoro vacanti raccolti dai servizi locali per
l'impiego, in modo da consentire la loro consultazione su tutto il territorio
nazionale.