• Appello: Chiudiamo i lager per migranti (Il Manifesto, 3/11/1999)

Sono luoghi nascosti, alla periferia delle città, del tutto o quasi del tutto invisibili. Sono luoghi in cui le persone trattenute non hanno commesso alcun crimine. Per questo, sono luoghi di sospensione del diritto.

Uomini, donne, giovani e giovanissimi, provenienti da paesi diversi da quelli dell'Unione europea vengono fermati per strada, sequestrati, internati, sorvegliati, costretti a dormire in container con numerosi altri detenuti, talvolta picchiati, privati della loro libertà senza aver commesso un reato, senza aver subito un processo e, spesso, senza essere messi in condizione di ricorrere all'assistenza legale, che pure la legge prevede. In questi luoghi, al di là di coloro che vi sono detenuti e di coloro che li gestiscono, nessuno può entrare. A differenza di quanto avviene nelle carceri, i parlamentari e, almeno nei fatti, gli avvocati, non vi hanno libero accesso. Non si sa quello che in essi avviene.

Questi luoghi sono stati creati di recente in via Corelli a Milano, in uno spazio cinto da alte mura vicino alla tangenziale est, del tutto isolato e invisibile, a Torino, a Roma, in altre città ancora, e la legge che li ha istituiti prevede che ne sorgano altri in varie parti d'Italia. E' l'articolo 12 della legge 40 del 1998 (ora articolo 14 del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 T.U. sull'immigrazione) che prevede questa aberrazione giuridica. Esso chiama "centro di permanenza temporanea e assistenza" un luogo in cui gli stranieri privi di permesso di soggiorno vengono detenuti con un provvedimento del questore, nel caso in cui non sia possibile provvedere immediatamente alla loro espulsione. Ancor più grave il fatto che questi centri siano stati creati in assenza di un regolamento di attuazione della legge e siano nei fatti sottratti all'autorità giudiziaria (...).

Chiamiamo i "centri di permanenza temporanea e assistenza" Lager, senza per questo confonderli con i nomi tristemente noti dei campi di concentramento di Buchenwald, di Dachau, e tanto meno con quello di Auschwitz e degli altri "campi di sterminio", senza dunque scadere in facili e pericolosi revisionismi, perché l'esistenza anche di un solo "centro" in cui la pratica della privazione arbitraria e illegittima della libertà delle persone diventi la regola segnala un venir meno del sistema dello stato di diritto che non ci può che allarmare. Sono queste, infatti, le caratteristiche con cui sono nati tutti i "campi di concentramento".

Già il ricorso all'eufemismo era una pratica nota a tutti i sistemi in cui l'istituzione dei "campi" era diventata la regola, così come il tentativo di relegare questi luoghi in spazi distanti rispetto al territorio normalmente percepito, praticato e abitato nella vita quotidiana dei cittadini. Non far sapere e non far vedere per non far reagire sono pratiche politiche note a tutti i sistemi totalitari. Ma i "centri" istituiti dalla legge 40 del 1998 sono il sintomo di una concezione politica, comune all'Italia e all'Unione europea, che nella gestione dell'immigrazione tende a creare invalicabili barriere tra coloro che godono dei diritti e coloro che, perché nati altrove, non possono godere nemmeno del diritto alla libertà. Anche questa divisione tra un mondo di persone e un mondo di non-persone, così come il fatto che essa si regga non sugli atti compiuti dai singoli, ma sulla loro nascita, è qualcosa che purtroppo la storia del '900 ci ha drammaticamente insegnato: è stato su questa via che la Germania di Hitler ha iniziato a internare donne, uomini, vecchi e bambini colpevoli di essere nati "altri".

Dopo Auschwitz sappiamo che il primo passo verso il dominio totale è l'uccisione del soggetto di diritto, e sappiamo anche, con le parole di Primo Levi, che "le coscienze possono di nuovo essere oscurate", e che la disattenzione, l'indifferenza, il non vedere e il non voler sapere hanno permesso che ciò accadesse.

I "centri di permanenza temporanea e assistenza" vanno dunque denunciati per quello che sono e di essi deve essere chiesta l'immediata chiusura. A tutti chiediamo di sottoscrivere questo appello, mandando la loro adesione al seguente indirizzo di posta elettronica: semir@libero.it. Ma sottoscrivere un appello non basta. Alle singole persone, agli intellettuali, agli artisti, ai professori e ai docenti universitari chiediamo di aderirvi facendolo conoscere e leggendolo in ogni occasione pubblica, di modo che in tutta Italia si formi un movimento d'opinione per la chiusura dei Lager. Agli avvocati, ai magistrati, chiediamo di denunciare questa legge e creare le premesse per dichiararla incostituzionale. Ai singoli parlamentari, compresi quelli che hanno votato la legge, chiediamo di dar corso a un'interrogazione affinché i Lager vengano aboliti.

***Prime adesioni: Maria Grazia Meriggi, Frediano Sessi, Moni Ovadia, Lisa Ginzburg, Roberto Escobar, Pietro Acquistapace, Demetrio Conte, Enzo Traverso, Eliano Etzel Placchi, Sandro Mezzadra, Marisa Fiumanò, Cooperativa Tangram, Enrico Davolio, Carlo Formenti, Federica Sossi, Gabriella Petti, Livio Quagliata, Cooperativa Grado 16, Danilo Zolo, Augusta Molinari, Salvatore Palidda, Daniela Padoan, Stefano Rosso, Giuseppe Mosconi, Lella Costa, Alessandro Dal Lago, Natale Losi, Paolo Virno, Andrea Danilo Conto, Ulisse Rossanò, Nicolò Rossanò, Laura Disilvestro, Giorgio Ellero, Aroldo De Donato, Francesco Pagnotta, Sara Gandini, Marco Revelli, Paulo Barone

A questo appello aderisce anche il Cestim