EDITORIALE
Storie di padroni normali
LORIS CAMPETTI
da "Il Manifesto" del 06 Agosto 2000

Basta fare un giro nei Balcani o nei paesi nati dall'implosione dell'Unione sovietica per trovane a mazzi di padroncini italiani come quel tale - di cui raccontiamo le gesta qui accanto - che, nel cuore della rossa Romagna, riduce in schiavitù i suoi lavoratori. I mille e mille Mallone Spallazzo che fanno soldi producendo scarpe e tomaie, t-shirt e felpe, possono scegliere: o spremere immigrati (magari clandestini, dunque in nero) in Romagna, in Veneto, in Puglia, nelle Marche, sicuramente "mansueti", di poche pretese, comprati e venduti al supermercato della miseria; oppure trasportare le macchine, le pelli e le stoffe a Timisoara, o a Kiev, o a Sofia, o a Tirana, dove lavorare a qualunque condizione è un lusso. Sono molti che si tengono aperte entrambe le strade. Se in Italia gli immigrati dovessero rialzare la testa, se i sindacati o l'ufficio di igiene dovessero rompere i coglioni con i diritti e l'ambiente di lavoro, allora si chiude baracca e burattini e si trasferisce tutto oltre Adriatico. Poi la sera, contate le tomaie cucite in fabbrica o nelle case da vecchi e bambini a cento lire il pezzo, tutti al Casino Palace di Bucarest a bere e quant'altro, come gli yankee a Cuba al tempo di Batista. Tanto per dare l'idea, solo in Romania sono ottomila le imprese italiane, certo non tutte ma neppure poche simili a quelle di Mallone Spallazzo. Torniamo in Italia. E' vero, non è concepibile che una donna di trent'anni, deportata dall'Ucraina nella campagna di Lugo, terrorizzata di perdere la condizione di lavoratrice-schiava come cucitrice per colpa di una gravidanza, una volta abortito decida di seppellire il feto nel giardino della casa-bottega-lager, rischiando poi la vita per le conseguenze di un aborto, clandestino come il lavoro. Per novecento mila lire al mese, in cambio di qualcosa come sessanta ore di fatica la settimana. E' inconcepibile ma non impensabile. Piuttosto, la sua condizione sta rientrando nella normalità. Se il lavoro è, fino in fondo, una variabile dipendente, e i lavoratori una merce come tutte le altre; se i lacci e lacciuoli strangono l'economia e la concorrenza ci morde il sedere; se la flessibilità totale è un ordine del dio mercato; se tutto questo è legge, in Italia come nel resto della prospera Unione europea o negli Usa, che c'è di strano nella storia di Lugo di Romagna? Immorale è soltanto chi si approfitta ed esagera, come quel padroncino nella rossa Romagna, o immorale è anche la cultura del liberismo più sporcaccione, che obnubila cervelli a sinistra e fa apparire normale financo uno schiavista?