Il paradosso degli Immigrati: il mercato li vuole, la gente no.

di GUIDO BOLAFFI

Da "Il Corriere della sera" del 23 maggio 2000

 

Nove sbarchi di clandestini sulle coste della Calabria negli ultimi cinque mesi, quattro solo nell'ultima settimana. Centinaia le donne e i bambini. E' sempre allarme immigrazione sulle coste del Sud, dove ieri sono stati individuati i cadaveri di cinque albanesi che apparterrebbero ai clandestini dispersi dal 4 maggio scorso nel canale di Otranto dopo la collisione del gommone su cui erano imbarcati e una motovedetta della polizia. Fino ad oggi le vittime recuperate a seguito di quell'incidente sono otto. C'è una ragione capace di spiegare il paradosso in base al quale in Europa il bisogno economico degli immigrati cresce allo stesso ritmo del loro rifiuto politico? Un fenomeno ormai di rilevanza assoluta, non solo perché investe simultaneamente aree del vecchio continente storicamente tra loro assai distanti per tradizioni politiche e culturali ma soprattutto perché rischia di intralciare pericolosamente la ripresa dell'economia europea che dopo anni di stagnazione e basso sviluppo ha bisogno oggi di forza lavoro fresca e qualificata spesso introvabile nei mercati dell'occupazione nazionali. Dalla Danimarca alla Grecia, dalla Baviera al nostro ricco Nordest più incalza la domanda del mercato alla disperata ricerca di nuovi addetti stranieri, più forfe si fa la reazione di un diffuso senso comune impersonificato in movimenti e partiti anti immigrati. Una sorta di doppio stato d'animo perfettamente rappresentato dagli ultimi atti del governo spagnolo. A poche settimane dal varo di una legge per molti versi addirittura più liberale della Turco-Napolitano, il governo Aznar, forse per rassicurare la sua pubblica opinione, ha deciso un programma di investimenti (230 miliardi) per blindare tecnologicamente le sue frontiere con il Nord Africa. Una contraddizione resa ancor più inquietante dall'osservazione in base alla quale è come se nell'attuale contingenza il peso e la capacità di convincimento dei settori tradizionalmente più influenti dell'economia, interessatissimi a regole di maggiore apertura ai confini non riuscissero a fare presa sulla società e, soprattutto, sulle sue componenti popolari, peraltro importantissime in "termini elettorali.

Poiché il rifiuto e le tensioni , che da sempre hanno accompagnato l'arrivo degli immigrati sono stati, salvo casi isolati, generalmente circoscritti a ristretti ambiti locali, il fatto che essi abbiano oggi guadagnato l'onore di questione geopolitica metanazionale significa che non ci troviamo di fronte a una replica di quanto già visto in passato. La questione ha infatti a che fare con un doppio fenomeno: le caratteristiche nuove dell'immigrazione contemporanea e il grave ritardo culturale e istituzionale dell'Europa. E che cosi stiano le cose lo dimostra anche il fatto che se dovessimo stare agli insegnamenti del passato quando le tensioni interetniche nascondevano in genere una feroce competizione tra poveri avremmo davvero qualche difficoltà a spiegare i problemi di oggi, che riguardano invece proprio le aree del continente più ricche. Dove dunque le radici di tanto contrasto ?

L'immigrazione attuale, soprattutto nella sua componente più visibile, non è più quella di un tempo, all'apparenza solo economica ed in gran parte regolare, ma figlia del crollo traumatico delle società dell'est comunista, del feroce smembramento dell'ex Jugoslavia (con in più l'appendice albanese) e di un gigantesco mercato degli ingressi clandestini. Processi che hanno travolto regole e istituzioni pensate per un passato che non esiste più e che hanno portato a diretto contatto con le nostre società gruppi di individui essa diversi dalle antiche masse di emigranti contadini, carichi di bisogni e con poche richieste. Un cambio di natura fondamentale, perché accompagnato con la crescita senza limiti nel buco nero balcanico di ogni tipo di violenza soprattutto verso donne e minori che mai la storia dell'immigrazione aveva conosciuto. Con in più l'aggravante di scontrarsi con remote e istituzioni europee anch'esse frutto di un passato da tempo tramontato, quando ogni nazione considerava legittimo e possibile gestire da sola il controllo dei propri confini. Un processo che potremmo definire di mondializzazione zoppa in base alla quale I'Europa, a differenza delle grandi terre d emigrazione d'oltreoceano, si è trovata a diventare terra di nuova immigrazione sono la pressione di eventi politici e senza avere istituzioni comuni in grado di farvi fronte. Uno squilibrio grave che inquieta le pubbliche opinioni spingendole, in assenza Di alternative, a cercare rimedio spesso peggiori di mali.