da La Repubblica

22 Aprile 2001

AFFARI & POLITICA

Sempre più immigrati e l'Italia crescerà

di GIUSEPPE TURANI

E' tempo di revisione delle previsioni di crescita. Il che, detto in parole più chiare, significa che tutti stanno cercando di spiegarci che cresceremo meno di quanto pensavamo fino a qualche mese fa. L'economia diventa più magra. E questo per via della crisi americana e, un po', anche della pigrizia europea. E' il momento, allora, di ritirarci in casa e di cominciare a piangere? O, visto che siano sotto elezioni, è il momento di passare il comando a Berlusconi, così ci penserà lui? Nessuna di queste cose. L'economia, ormai lo abbiamo imparato, ha i suoi alti e bassi e, in genere, si tratta di trend mondiali, contro i quali un singolo paese può fare ben poco (per non dire niente) e meno che mai un uomo solo (anche se il Cavaliere ostenta una sua frequentazione con Dio, sempre che non sia lui stesso Dio). Per capire come andranno le cose basta scorrere l'ultimo rapporto di Prometeia, che esamina l'andamento delle varie economie (compresa quella italiana) fino al 2006. Il primo confronto che si può fare è quello fra l'area euro e quella americana. Si vede che nel 2001 gli Stati Uniti cresceranno la metà dell'Europa (e qui si sente che gli manca il Berlusconi a quelli di Washington). Nel 2002 l'America sarà ancora dietro all'Europa, come crescita. E solo nel 2003 le due grandi aree saranno alla pari. Insomma, la crisi americana è così profonda che, finita dietro l'Europa, impiegherà da qui al 2003 per arrivare a un tasso di crescita (2,8 per cento) uguale a quello del Vecchio Continente). Dopo, certo, gli Stati Uniti correranno più svelti, perché sono l'impero che sono e perché sono anche più flessibili e più svelti. Ma, insomma, ogni tanto finiscono anche loro nei guai e per tirarsene fuori impiegano anche tre anni, cioè mille giorni. Il che dimostra che tutto il mondo è paese. Nell'arco dei prossimi tre anni, comunque, sarà l'Europa a essere in testa, come velocità di crescita economica. Se questi tre anni fossero usati per varare qualche buona riforma (per rendere più snella l'economia dell'area euro), forse le cose poi potrebbero andare meglio. Insomma, se esiste un «caso Eurolandia», si tratta di un caso in prospettiva. Per ora non ci si può lamentare della crescita europea. Data la stagione un po' grigia nella quale ci troviamo, l'Europa fa fin troppo. Ma, se non esiste un caso Europa, non esiste nemmeno un caso Italia. Se scorriamo le previsioni di Prometeia dal 2001 al 2006, vediamo che l'Italia cresce meno della media europea di appena lo 0,1 per cento, ogni anno. Nel 2004 l'Europa cresce del 3,2 per cento? L'Italia cresce del 3,1 per cento. nel 2002 l'Europa cresce del 2,5 per cento? E l'Italia cresce del 2,4 per cento. Insomma, siamo indietro dello 0,1 per cento. Un soffio. Anzi, se si tiene conto che nell'area euro il nostro è il paese che deve convivere, ancora, con un debito pubblico mostruoso (che ogni anno si porta via decine di migliaia di miliardi come spesa per interessi) forse andiamo fin troppo bene. E infatti si vede che fra il 2001 e il 2006 la crescita italiana si aggira stabilmente fra il 2,4 e il 3,1 per cento all'anno. E questo senza trovate e invenzioni berlusconiane. Semplicemente facendo ogni anno quello che va fatto. Il che, tradotto in posti di lavoro, significa che contro una disoccupazione (anno 2000) del 10,6 per cento nel 2006 si passa a una disoccupazione del 7,7. Di fatto c'è una diminuzione di tre punti percentuali. E questo vuol dire altri 700800 mila posti di lavoro, se non di più. Anzi, sotto un certo aspetto si può dire che va fin troppo bene. Avere infatti poco più del 7 per cento di disoccupazione come dato medio nazionale, significa che il Centro Nord (dove già adesso mancano lavoratori) sarà ancora più stressato. E non a caso tutti i ricercatori seri spiegano che i limiti alla crescita italiana derivano proprio dalla mancanza di lavoratori nelle aree chiave del paese. E qui non ci sono tante soluzioni: bisogna importare (alla faccia di Bossi) mano d'opera straniera. Senza lavoratori che vengono da fuori, la crescita italiana è costretta a stare sotto la linea del 3 per cento. E' una questione di matematica. In una campagna elettorale in cui non si discute di niente, capisco che questo problema viene ignorato. Ma è del tutto evidente che la maggior crescita italiana dei prossimi dieci anni non dipende tanto dall'applicare le ricette del signor Reagan o Aznar quanto dall'avere una buona, ottima, politica dell'immigrazione. Ci servono lavoratori stranieri (come dicono anche gli industriali) e ci serve una politica che li integri in modo pacifico e corretto, civile. Senza creare grosse scosse nelle comunità in cui andranno a inserirsi. E si può dubitare che Bossi, Rauti, Formigoni e il resto del Polo siano le persone più adatte per avviare sui giusti binari l'ondata immigratoria che ci toccherà gestire se vogliamo avere una crescita più brillante e più dinamica. Un'ultima, buona, notizia, infine. Anche così, cioè senza ulteriori spinte in avanti, da qui al 2006 il reddito disponibile delle famiglie italiane è destinato a crescere in media del 1214 per cento. Il che significa un aumento della qualità della vita di oltre il 10 per cento nell'arco di appena cinque anni. Insomma, non siamo dei missili, ma non siamo nemmeno un paese alle corde. Siamo un paese che ha già fatto sparire la disoccupazione da più di metà del territorio nazionale e che nei prossimi cinque anni farà ancora meglio (con l'aiuto di qualche buon immigrato) e che sta per aumentare la sua qualità della vita in modo significativo.