IMMIGRATI: ECCO GLI ERRORI CHE FA L’ITALIA
di Innocenzo Cipolletta ; da "Ventiquattro" suppl. de Il Sole 24 ore di dicembre 2001

Perché la politica dell'immigrazione in Italia appare spesso inadeguata dare risposte efficaci ai problemi dell'integrazione e incapace di cogliere le opportunità che si manifestano? Credo che la causa principale di tale inadeguatezza dipenda dal fatto che l'immigrazione sia considerata essenzialmente come un fenomeno economico, legato alla domanda di lavoro. Lo dimostra il fatto che a occuparsi di immigrazione è in Italia prevalentemente il ministero per il Lavoro e per lo Stato Sociale.

Ma una interpretazione prettamente economicista dell'immigrazione comporta, tra gli altri, tre inconvenienti maggiori: concentra l'attenzione sulla "domanda" di immigrazione piuttosto che sulla "offerta"; conduce, perciò, a politiche errate; non favorisce la soluzione dei problemi di integrazione.

L’attenzione è tutta portata sui bisogni di manodopera del Paese che attira immigrati mentre vengono trascurati o fortemente sottovalutati i fattori e le motivazioni che spingono le persone a lasciare i loro Paesi di origine. Gli stessi fautori dell'immigrazione giustificano tale interpretazione affermando che dobbiamo accettare i lavoratori stranieri perché "ci servono", sia per ragioni demografiche (bassa natalità degli italiani e conseguente futura riduzione della popolazione in età di lavoro) sia per motivi socio-economici (gli italiani si rifiutano di fare "certi lavori", che devono perciò essere fatti da immigrati). L'immigrazione viene quindi considerata una risorsa e non un costo o un dovere per i Paesi ricchi. Anche gli avversari dell'immigrazione fanno discorsi analoghi, giungendo però a conclusioni opposte. Essi contestano la necessità di importare manodopera straniera, affermando che basterebbe far lavorare di più gli italiani. A riprova di ciò sta il bassissimo tasso di partecipazione alla vita attiva degli italiani, specie con riferimento alle donne. Inoltre occorrerebbe pagare meglio i lavori rifiutati dagli italiani per trovare persone disponibili a farli. Se poi avessimo ancora bisogno degli immigrati, basterebbe far muovere i disoccupati del Sud dell'Italia o, al limite, richiamare dall'estero i lavoratori. italiani (o meglio i loro figli) espatriati negli anni passati.

In realtà, entrambe le posizioni sono parziali e trascurano l'unico fatto che conta: l'immigrazione deriva soprattutto da una forte spinta ad abbandonare i Paesi di origine, per fuggire condizioni di miseria o anche persecuzioni odiose da parte di regimi incivili. Anche se non avessimo bisogno di immigrati, questi verrebbero egualmente e sarebbe disumano rifiutarli. Posto poi che la nostra popolazione sta diminuendo, rifiutarli sarebbe anche antieconomico.

Da questa impostazione economicista e lavorista dell'immigrazione derivano (secondo inconveniente) politiche inadeguate. Si pretende di poter determinare il numero degli immigrati sulla base delle esigenze di lavoro in Italia, invece che in funzione della pressione esterna. Qualcuno propone anche che siano le Regioni a farlo, come se l'immigrato non avesse poi diritto a muoversi da una regione a un'altra una volta che è in Italia. Si pensa di poter scegliere gli immigrati sulla base della provenienza e della professionalità. Si confezionano norme ad hoc per gli immigrati, tipo i contratti di lavoro a termine con annesso visto di soggiorno legato al posto di lavoro.

Questa impostazione genera squilibri a causa dell'eccessiva selezione dell'immigrazione (solo maschi per l'industria, solo donne per i lavori domestici, solo persone in età di lavoro...). Produce segregazione e precarietà nei rapporti sociali e lavorativi. Induce a forti oscillazioni di domanda di immigrazione, con il rischio di dover mettere in opera azioni di espulsione a ogni fase negativa del ciclo economico, quando si riduce la domanda di manodopera;

Politiche errate per l'immigrazione conducono (terzo inconveniente) a difficili processi di integrazione sociale e civile. Se l'immigrato è solo un lavoratore, la sua presenza è tollerata durante il lavoro e mal sopportata fuori del lavoro. La politica dell'abitazione si riduce, nel migliore dei casi ai dormitori vicino ai luoghi di lavoro. Senza essere inserito in una comunità articolata, l'immigrato avrà una difficile vita sociale. Non si integrerà se non avrà alcuni diritti civili fino a quello di cittadinanza, sia pure con specifiche regole per ottenerlo.

In realtà l'immigrazione è "anche", e non "solo", un fenomeno economico. Essa è prevalentemente un fenomeno umano e sociale che ci accompagnerà nei prossimi anni. Le politiche per l'immigrazione non devono essere affidate al ministero del Lavoro e devono tenere più conto della spinta a lasciare i Paesi di origine che della domanda di manodopera nel nostro. Occorre aumentare l'accoglienza del nostro Paese, per consentire agli immigrati di inserirsi nella nostra società, senza per questo perdere la nostra e la loro identità. Un problema difficile da affrontare, ma non impossibile e che trova a livello territoriale molte e articolate risposte da parte della società civile: istituzioni, comunità religiose, sindacati, associazioni; di imprese, volontariato... Sono queste risposte multiple che vanno promosse ed estese, più che una politica centrale per l'immigrazione fatta di statistiche e di burocrazia.