da "La Repubblica"

del 15 sett. 2000

Le mille razze della new economy

La California è il laboratorio mondiale della società multietnica dal nostro inviato

FEDERICO RAMPINI

SAN FRANCISCO - L'Austria ha un partito razzista al governo, contro cui l'Europa si scopre impotente. In Germania imperversa la violenza xenofoba. Londra s'interroga su un futuro in cui i suoi abitanti inglesi saranno minoranza. Ma il futuro esiste già: è la California, laboratorio mondiale della società multietnica. Qui a fine agosto il censimento ha registrato un sorpasso inaudito: gli immigrati sono più numerosi dei "bianchi".

NOI sperimentiamo per primi un nuovo tipo di società - dice Mark Baldassarre del Public Policy Institute di San Francisco - nessuno può servirci da modello". Se la vecchia Europa vuole capire quali sconvolgimenti - economici, sociali, culturali e politici - saranno provocati dalla marea inarrestabile delle migrazioni, deve guardare ciò che accade qui, nel cuore della New Economy. "La California è ormai uno Stato di immigrati - dice William Frey del Population Research Center - e l'immigrazione continuerà ad essere il motore della nostra crescita". Gli europei credono che per gli Stati Uniti questa prova sia facile perché sono dalle origini una nazione di immigrati. Ma l'invasione ha raggiunto in quest'ultimo decennio un livello senza precedenti nella storia: l'immigrazione degli anni Novanta supera quella dell'inizio del Novecento. Solo i lavoratori stranieri (senza contare le famiglie) sono ormai sedici milioni negli Usa, con un balzo del +17% in tre anni. Rappresentano il 12% della popolazione attiva americana, una percentuale superiore ai paesi europei con più extracomunitari come la Germania. Né l'America è immune dai clandestini: cinque milioni. Il paragone con l'immigrazione europea che popolò gli Usa nei secoli passati è fuorviante, perché quella avvenne in una società più repressiva e intollerante verso le minoranze. Oggi invece di tutti gli States il più multirazziale è la California libertaria e di sinistra della New Economy. Qui in dieci anni i latinoamericani - latinos - sono cresciuti del 40% fino a 10,5 milioni e sono un terzo della popolazione. Gli asiatici sono saliti da 3 a 4 milioni. Se si aggiungono neri e indiani d'America, le ex minoranze etniche hanno superato il 50%; ancora dieci anni fa i "bianchi" erano il 57%. A Los Angeles i soli latinos sono una città più grossa di Roma: 4,1 milioni, una delle maggiori metropoli ispaniche del mondo. Presto l'attrazione turistica di San Francisco non sarà più Chinatown ma i quartieri abitati dai discendenti degli europei: gli asiatici sono il 37% della popolazione e hanno superato i "bianchi". Le nuove regole della società multietnica penetrano la vita quotidiana. Il multilinguismo è tra le più appariscenti. Basta telefonare alla Pacific Gas and Electricity o alla AT&T per sentire messaggi registrati in inglese e spagnolo. In tutti gli uffici pubblici compresi i commissariati, si ha diritto all'interprete: non solo cinese o spagnolo ma anche swahili; gli ospedali privati che non garantivano traduttori si sono visti tagliare i finanziamenti. A San Francisco l'Estremo Oriente dilaga: il giornale The Examiner è stato venduto dalla famiglia Hearst (i discendenti di Citizen Kane) al clan dei Fang di Chinatown; sono asiatici il procuratore generale e 14 consiglieri comunali; il più importante museo cittadino (rifatto da Gae Aulenti) è di arte orientale; i fortissimi studenti cinesi indiani e coreani fanno razzìa di borse di studio nelle facoltà scientifiche di Berkeley e Stanford. Questo modello ha una forza travolgente. La California riesce a combinare un'opulenza svizzera e una demografia messicana. Negli Usa è lo Stato con la più forte crescita della popolazione, salita in dieci anni da 29 a 33 milioni di abitanti. Grazie agli stranieri, non sa cosa siano denatalità e crisi demografica, le sindromi depressive che colpiscono la vecchia Europa. Non è casuale se la New Economy - come tutte le ondate d'innovazioni degli ultimi trent'anni - è nata qui. Il crogiuolo multirazziale offre condizioni ideali per una rivoluzione industriale: ci sono i superlaureati indiani in informatica, carpiti al Politecnico di Bangalore; e c'è la manovalanza messicana che scava per interrare le fibre ottiche di Internet. I californiani sanno che l'apertura delle frontiere è la chiave della loro leadership mondiale. All'indomani del sorpasso ufficiale degli stranieri, un sondaggio del Mercury News tra gli abitanti (bianchi e ricchi) della Silicon Valley dà 77% favorevoli all'immi- grazione. Com'è lontano Haider, visto da Palo Alto. Eppure la California non è stata sempre accogliente. All'inizio degli anni Novanta vide crescere movimenti xenofobi culminati con i referendum (falliti) per chiudere i confini. Nessuno dimentica i feroci scontri razziali di Los Angeles nel '92; o le battaglie dei sindacati contro gli immigrati, sgraditi concorrenti sul mercato del lavoro. "Quei conflitti sono sommersi da un'economia florida che offre opportunità per tutti - osserva Paul Saffo, direttore dell'Institute for the Future a Menlo Park. Le tensioni rinasceranno alla prima crisi economica, la gente cercherà capri espiatori". Non è solo la New Economy a imporre rispetto per gli immigrati. Gli stranieri si sono conquistati un peso politico senza precedenti. Lo dimostra la metamorfosi del sindacato, rinato difendendo gli immigrati. Il nuovo segretario della confederazione Afl-Cio (800.000 iscritti in California) si chiama Miguel Contreras. E' di origine messicana e ha reclutato connazionali nei mestieri più umili: braccianti, muratori, camerieri, colf. Lo stesso è accaduto in politica. Mentre tra i "bianchi" cresce l'astensionismo (2,6 milioni di votanti in meno in dieci anni), alle elezioni per il Congresso tra il '94 e il '98 hanno votato 500.000 latinos e 370.000 asiatici in più. Gli immigrati possono tramutarsi in lobby fortissime: oggi sono latinos il vicegovernatore della California Cruz Bustamante, il presidente dell'Assemblea, il segretario del partito democratico locale. E questo è il vero segreto della superiorità californiana (e americana) sulla vecchia Europa. Qui gli immigrati possono rapidamente ottenere diritto di voto e cittadinanza: dopodiché le tensioni etniche rimangono, ma vengono metabolizzate e mediate dal sistema di rappresentanza e dentro le regole della democrazia americana. La nuova forza delle ex-minoranze fa irruzione nell'agenda di governo e stravolge le priorità politiche. La California, che 30 anni fa fu la culla del reaganismo e della destra anti-tasse, oggi s'interroga sulle diseguaglianze. "Se non cambia qualcosa andiamo verso una società sempre più polarizzata - dice Laura Trupin dell'Institute for Health Policy all'università di San Francisco -; la frequenza di famiglie povere tra i neri è il quadruplo che nei bianchi, fra i latinos è tredici volte superiore, e il 33% non ha assistenza sanitaria". L'eccezionale afflusso di immigrati è la spiegazione di un mistero: come mai la California riesce a dominare le classifiche americane della ricchezza, e al tempo stesso ha più abitanti sotto la soglia della povertà (il 28,7% contro il 26,8% nella media Usa). O l'altro paradosso, per cui nel decennio-boom della New Economy il salario minimo californiano è sceso da 7,5 a sette dollari l'ora. Sta alla politica evitare che la crescita tumultuosa di una società multirazziale sfoci in una crisi. Terreno cruciale è la scuola, termometro e generatore delle diseguaglianze. All'università in California ci arriva il 64% dei giovani asiatici (un altro primato), il 46% dei "bianchi", il 36% dei neri e il 15% dei latinos. O gli elettori danno alla scuola i mezzi per integrare, oppure diventerà esplosiva a lungo andare la convivenza tra una maggioranza di giovani semianalfabeti poveri, e una minoranza di ricchi bianchi anziani. Ma le politiche egualitariste hanno dei limiti: serpeggia nella neo-minoranza bianca il risentimento contro le "corsie preferenziali" che a parità di voti favoriscono all'università neri e immigrati. Il modello californiano ha durezza e fascino. La sua formidabile capacità di attrazione, che ne fa una calamita di tutte le energie del Pacifico e del Sudamerica, è nell'estrema mobilità sociale che offre a tutti. Alla panetteria Eppler's sulla Market Street di San Francisco, il proprietario Chin Taun ribatte a chi parla di sfruttamento degli immigrati: "I sei dollari l'ora che dò ai miei garzoni sembran pochi, ma io gli insegno il mestiere e un po' di inglese, loro mi lasciano per lavorare altrove". Come osserva Seema Nayyar di American Demographics, qui il fatto di trovarsi in una certa fascia sociale in questo decennio non vuol dire esserci ancora nel prossimo: ecco un'altra grande differenza dall'Europa. Dal suo pensatoio sul futuro a Menlo Park, conclude Paul Saffo: "Se ci fossimo chiusi come gli europei, i cervelli sarebbero andati altrove che nella Silicon Valley. Nell'èra della globalizzazione, il mondo intero deve invidiare questa favolosa California, e adeguarsi alla nostra straordinaria varietà etnia".