da "La Repubblica"

di Domenica 8 Ottobre 2000

Gli stranieri cambiano il Belgio

Immigrati alle urne, si teme l'ondata di destra Elezioni amministrative aperte a tutti i residenti, una novità che riaccende il conflitto tra fiamminghi e francofoni dal nostro inviato

PAOLO RUMIZ -BRUXELLES -

Elezioni roventi oggi in Belgio. Elezioni locali, ma decisive per la politica del Paese. Il governo di sinistra non dovrà solo fronteggiare il boom annunciato dell'ultradestra fiamminga e l'insofferenza anti-immigrati cavalcata dallo Haider locale, Filip Dewinter. Dovrà anche fare i conti col parallelo riaccendersi di una guerra di trincea dimenticata: quella tra Fiandre e terre francofone. Una, beffa per il Paese che otto mesi fa è stato il primo a scagliarsi sull'Austria e reclamare le sanzioni contro Haider. Oggi che l'Austria è assolta dall'Europa, la piccola patria bilingue del Nord si sveglia gabbata due volte. Col virus austriaco dentro casa, e il rischio teorico di dover chiedere sanzioni contro se stessa. Del Belgio si scrive quando scoppiano scandali, storie di pedofilia o diossina. Che audience possono fare gli scricchiolii di un Paese di dieci milioni di abitanti, retto da un Re timido, schiacciato tra i giganti dell'Ue, noto per le praline al cioccolato e le birre alla ciliegia? Nessuna. Ma Bruxelles è anche la capitale d'Europa, il cuore delle sue istituzioni. E allora ti accorgi che talvolta non è il Belgio, è la Casa Comune a scricchiolare. E che, dopo la storia austriaca, è la stessa Unione dei Quindici a trovarsi immersa nella febbre delle Heimat. Anche perché a riattizzarla, per una perfida nemesi, sono proprio i cugini comunitari e i funzionari della burocrazia Ue. Ecco come. Succede che qui, per la prima volta, possono votare anche i cittadini europei residenti, e questi europei - la cui partecipazione al voto è imposta dal trattato di Maastricht - bastano a sovvertire i delicati equilibri linguistici del Paese. Basta uscire di un millimetro dal "Grande Ring" brussellese, viaggiare tra le villette dei ricchi Comuni residenziali attorno alla metropoli, tutti a maggioranza fiamminga, per accorgersi che quelle poche migliaia di italiani, tedeschi o spagnoli - spesso eurocrati, quindi francofoni e quindi estranei alla cultura delle Fiandre - diventano improvvisamente un problema. Possono ribaltare giunte in bilico e sfondare il muro etnico che chiude a tenaglia la Capitale d'Europa. Il Belgio ha tentato fino alla fine di rimandare questo scomodo voto allargato, imposto dal trattato di Maastricht: davvero il colmo per la Nazione che ospita il governo dell' Ue. Ora, il Paese delle praline si trova quasi disarmato di fronte a questa nuova guerra di posizione che ridà fiato agli estremisti dell'etnìa. Una guerra felpata e implacabile, che espone soprattutto gli italiani. I quali, con quasi 45 mila nuovi elettori, sono di gran lunga i primi tra le comunità iscritte al voto. Qui tutto è etnicamente sdoppiato: ministeri, partiti, sindacati. La gestione della cosa pubblica costa, di conseguenza, il doppio: il condominio è una voragine che inghiotte migliaia di miliardi. In un'Europa dove il passaggio delle frontiere si nota solo da un "bip" del cellulare, transitare in Belgio dalle zone francofone a quelle fiamminghe svela divisioni surreali. I confini veri hanno almeno la terra di nessuno: qui niente, nessun diaframma. Di colpo, negli uffici pubblici non si parla che olandese, di colpo l'arancione diventa il colore dominante, di colpo - nel Paese più cablato del mondo - le trasmissioni bilingue della tv regionale di Bruxelles scompaiono dai teleschermi. "Il bello è che per terra non c'è nessuna linea", sorride l'italiano Gianni Copetti, funzionario di lungo corso all'Ue. Il Belgio non è la Svizzera, con le valli a dividere naturalmente gli uomini. Non è l'Ulster o il Paese Basco, dove la violenza si respira nei bar. "Fiamminghi e francofoni non si odiano affatto, la gente ne ha le scatole piene; negli uffici si lavora assieme senza problemi", sbotta Sébastien de Raet, candidato per i socialisti alle comunali. Ma allora, dove nasce la divisione? "È alimentata dall'esterno, dalla politica e anche dalla Chiesa, per interessi economici precisi". Quali? La cintura etnica che chiude la capitale, spiega Luis Coen candidato socialista nel Comune di Wemmel, diventa un filtro economico; "consente alla ricchezza di uscire, ma blocca la povertà dentro la metropoli". Funziona così: turchi, indiani o polacchi abitano a Bruxelles per andare a lavorare in Fiandra. Gli eurocomunitari, invece, abitano nelle ville della cintura fiamminga per lavorare a Bruxelles. La quale implode, con gli extracomunitari oltre il trenta per cento: unica capitale al mondo ad avere lo sviluppo bloccato dalla sua periferia. Il contrasto con Bruxelles è impressionante. Nella capitale gli immigrati son quasi la metà degli abitanti e la gestione del potere si fa da sempre in condominio. Un laboratorio avanzato della multiculturalità: con marocchini e congolesi neo-naturalizzati che si presentano alle elezioni e sorridono dai manifesti sulle vetrine. Ma Bruxelles non è il Belgio. E quando ad Anversa entri nel tendone da birra dove Filip Dewinter - il fosco tribuno del "Vlaams Blok" - tuona contro Islam, immigrati ed eurocrati davanti a una folla estatica, di colpo capisci perché il Belgio si è agitato tanto contro Haider. Fiutava già l'Austria in casa. In un Paese che - dopo l'invasione nazista - vive nel terrore dei demoni dell' etnìa, gli altri partiti hanno subito costruito attorno a Dewinter un cordone sanitario, accordandosi per eliminare dalla campagna elettorale ogni accenno all'immigrazione. Risultato: l'isolamento, come per Haider, è diventato pubblicità. E Dewinter si è ritrovato in mano il monopolio del tema, ineludibile, della presenza straniera in Belgio. "Eigen Volk eerst!", il proprio popolo prima di tutto! Lo slogan rimbomba nel tendone, dice che, accanto alle trincee di Bruxelles, c'è la battaglia campale di Anversa, la grassa città dei diamanti dove l'Ultradestra del "Blok" può superare il trenta per cento e la Sinistra vivere una Waterloo. "Se si rompe il cordone sanitario - spiega Jean Pierre Stroobants, notista di Le Soir - qualcuno potrebbe essere tentato di governare con loro. Allora sarebbe davvero l'Austria: lo sfondamento del fronte e lo sdoganamento di una Destra che contiene pericolosi nuclei di neonazismo". "Reclamare il rispetto dell'identità non è razzismo", protesta Johan Demal, ex commissario di questura, oggi candidato del Blok in doppiopetto. Spiega: "Gli stranieri che accettano la nostra cultura e le nostre regole sono i benvenuti. Tra i nostri candidati abbiamo anche un libanese, italiani, spagnoli. Ma chi non si adegua deve andarsene". Nella Destra italiana, a chi somigliate? "Alla Lega". "È un partito con l'anima all'estrema destra", commenta Bernard Bukke, giornalista del fiammingo De Standard. Ma, osserva, il suo elettorato è di centro. È solo gente impaurita dalla globalizzazione che ha le scatole piene della classe politica dominante".