da "LaRepubblica"

del 10/06/00

Immigrati senza patria né tetto

Un Forum dell'Unesco a Parigi con Eco e Le Goffe

di FURIO COLOMBO

 

"Noi siamo il meticcio, lei, io, loro, gli italiani che non sanno come rispondere alla pressione dei nuovi venuti, gli americani che si sono dati una società piena di drammi che però vuole dichiararsi multiculturale", ha risposto Umberto Eco al giovane africano che si era alzato per dire: "Non so chi sono. Al mio paese non appartengo più. Vivo in Francia ma non sono francese. Nessuno mi riconosce. Perciò io non riconosco me stesso". Alain Touraine, il grande maitre della sociologia francese, è intervenuto: "Non sono favorevole alla esaltazione delle differenze. Sono favorevole al diritto di ciascun individuo di regolare quanta differenza e quanta partecipazione, o adesione ad un gruppo, vuole scegliere per la sua vita". Dominique Schnapper, collega di Touraine, attentissima alla "questione donne" all'interno del vasto fenomeno della "migrazione" completa a suo modo il discorso: "Non mi importa la tolleranza. Mi importa il riconoscimento, che riguarda il singolo, chi lo dà e chi lo riceve. Intorno c'è un mondo di scelte culturali e politiche, ma la decisione spetta all'individuo". Aveva detto il giorno prima Jacques Le Goff: "L'Europa è nata meticcia. Nella prima parte della sua storia il fenomeno è avvenuto dal nord verso il sud. Adesso avviene dal sud verso il nord. L'Europa ha sempre resistito, in passato, fino all'esplodere di infinite guerre. E ha sempre ceduto, fino a diventare un tessuto fatto di molti fili diversi". Siamo a Parigi, nel grande auditorio dell'Unesco affollato soprattutto di giovani, al Forum International sur Migrations et Errances (Migrazione e dispersione, si è deciso di tradurre in italiano) organizzato dall'Academie Universelle des Cultures, presieduta dal Nobel Elie Wiesel. L'incontro è una grande tappa in pubblico del lavoro in corso "Forum sulla tolleranza" (tra i responsabili, Jacques Le Goff, Umberto Eco ed io). Come negli interventi pubblicati nel sito, Eco torna a precisare: "Attenzione, stiamo parlando di due fatti diversi. Uno sono gli episodi di immigrazione, più o meno difficili da regolare. L'altra sono le migrazioni, fenomeni epocali che non stanno dentro i limiti delle leggi, neppure se fossero perfette". Ma il problema grande non è mai un alibi per non cercare di fronteggiare il problema piccolo, specialmente quando è sentito in modo drammatico. Tocca a me questa parte, portare nel salone dell'Unesco l'invocazione della politica, un caso concreto, quello di Torino. È l'impatto fra cittadini e nuovi venuti, che avviene a tanti livelli, quello logistico (l'affollarsi in un solo quartiere), quello psicologico (il parlarsi senza capirsi o il non parlarsi affatto), quello religioso (l'integralismo può essere rivendicato come una bandiera politica), quello culturale (quale cultura, la tua o la mia?). Gradatamente il Forum di Parigi dell'Academie des Cultures diventa l'identikit di un problema che mostra subito molte facce, molte ambiguità, poche certezze e un carico di ansia. Chi emigra è solo, non ha mai un paese alle spalle, anche quando non è in fuga. Uno sradicamento non è mai un capolavoro di armonia. Ma non può esserlo neppure il nuovo radicamento. Sono soli gli immigrati. Ma sono soli anche i cittadini, che si trovano all' improvviso parte di un'avventura che non conoscono e non controllano. Arrivano giovani con le mani libere. Non hanno lavoro, perciò vedono il nuovo spazio come uno spazio vuoto, da occupare. Ma in quello spazio persone di generazioni diverse (di solito alquanto più anziane) hanno le mani occupate a mantenere in equilibrio la loro vita. C'erano gli uni e gli altri nel vasto auditorio dell'Unesco di Parigi. Quando parli dal podio, le luci si abbassano, il silenzio è assoluto, ti sembra che sia facile mettere ordine con le parole. Quando si accendono le luci, e inizia il dibattito, la tensione delle voci ti fa capire che il problema è stato osservato da vicino, nel Forum, con passione. Per questo, forse, la frase con cui ha concluso il suo intervento Ariel Dorfman (lo scrittore cileno che stava accanto ad Allende, che è divenuto americano, che è autore apprezzato di teatro, di romanzi, di cinema) forse non è apparsa soltanto bella e poetica. Ha detto Dorfman: "Possedere una lingua, conoscerla bene, saperla usare è un espediente degli esseri umani contro la morte. Finché parli sei vivo. Possedere due, tre lingue, come accadrà ai nostri figli fra poco, sarà una barriera molto più forte. Sarà una garanzia per la vita".