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"I confini del patto"di Guido Bolaffi

Giovanna Zincone

Il libro di Guido Bolaffi, I confini del patto (Einaudi, pagg. 129, lire 18.000), tratta di immigrazione in modo asciutto, acuto e informato. Lo fa quindi nello stile intellettuale dell'autore, che costituisce una delle poche apprezzabili eccezioni nel panorama caliente e scombinato del dibattito politico italiano sull'argomento. E' difficile per me recensirlo perché condivido buona parte delle sue tesi. Mi è decisamente impossibile non sottoscrivere le opinioni e le argomentazioni presentate da pagina ventuno a pagina venticinque. Infatti quelle pagine sono felicemente trasmigrate, quasi intatte, dalla mia introduzione al Secondo rapporto sull'integrazione degli immigrati in Italia, un volume che ho consegnato al governo agli inizi di dicembre e che uscirà fra breve in libreria. Sono poche pagine che portano dati e argomenti in favore di una maggiore tolleranza nei confronti delle nuove minoranze immigrate. Come direbbe Tintin, noto personaggio dei fumetti belgi, «c'est mon opinion et je la partage», sono le mie idee e di solito le condivido. Meglio trattare delle idee di Bolaffi. In particolare del suo libro mi è piaciuto il suggerimento di smetterla di porsi il problema se l'immigrazione sia utile o inutile e di cominciare invece a chiedersi: «per chi?». Riprendendo le tesi di George Borijas, il principale economista del settore, Bolaffi fa osservare che le immigrazioni, oltre a comportare un incremento di ricchezza per i paesi che le utilizzano, producono anche una notevole ridistribuzione. I vantaggi riguardano i datori di lavoro, inclusi coloro che usano i servizi forniti dagli immigrati, ad esempio i servizi domestici; costoro infatti possono pagare di meno ed utilizzare in modo più flessibile una manodopera abbondante e disponibile. La ridistribuzione può giocare invece a sfavore dei lavoratori nazionali meno qualificati e competitivi, che non sono disposti ad accettare condizioni di lavoro pesanti e salari leggeri. Per riprendere una distinzione classica l'immigrazione avvantaggia tanto più i paesi di arrivo nel loro complesso e colpisce tanto meno i lavoratori locali, quanto più la sua forza lavoro risulta «complementare» e non «competitiva» rispetto alla forza lavoro nazionale, quanto più riempie vuoti, professionalità e disponibilità mancanti, quanto meno svuota posti di lavoro occupati dai cittadini. Le ricerche di Venturini e Villosio hanno dimostrato che in Italia abbiamo più complementarità che competitività, cioè più stranieri che ricoprono mansioni per le quali mancano italiani, che stranieri che «rubano» il posto agli italiani. Questo avviene anche perché, almeno nell'economia formale, i salari e le condizioni di lavoro degli immigrati sono molto simili a quelli dei nazionali, quindi non sono i minori costi a motivarne l'assunzione di stranieri, ma la mancanza di personale. Le cose cambiano quando si passa all'economia informale, al sommerso. Qui - osserva Bolaffi - a guadagnare ci sono in primis le élite dei paesi di provenienza, che possono servirsi delle rimesse per puntellare «traballanti conti economici pubblici», che possono lucrare chiudendo un occhio sulle irregolarità e le illegalità che si accompagnano all'emigrazione clandestina o a presunti visti turistici. Non so quanto le rimesse servano ai conti pubblici o piuttosto alla contabilità nazionale e agli investimenti privati, né so quanto si possano definire «élite» le piccole burocrazie degli uffici consolari e locali; comunque l'osservazione è centrata: l'immigrazione irregolare giova a molti nei paesi di origine e a molti nei paesi di arrivo e giova pure ai clandestini, perché le loro alternative di vita, se non emigrassero, sarebbero comunque peggiori. Se accettiamo la tesi che l'immigrazione giova quanto più colma vuoti e quanto più colma vuoti strategici, allora - sostiene Bolaffi - anche l'Italia deve partecipare alla corsa per accaparrarsi professioni e qualifiche mancanti, inclusi i soliti informatici. Più in generale a me sembra che l'Italia potrebbe adottare - come fanno i paesi di antica immigrazione - il sistema dei punteggi: un sistema che premi la professione, l'istruzione, la giovane età, ma anche l'avere già familiari in Italia e quindi le maggiori opportunità di integrazione. Purtroppo il sistema dei punteggi richiederebbe un'amministrazione più efficace in patria e nelle nostre sedi all'estero. E proprio il libro di Bolaffi ci ricorda la difficoltà generale di amministrare l'immigrazione. C'è una grande garbuglio di competenze disperse ed intrecciate sulle quali varrebbe la pena di mettere un po' di ordine. Il coordinamento si potrebbe affidare ad un ministero dell'Immigrazione. Si tratterebbe di una soluzione simbolicamente importante, vorrebbe dire che la questione è presa sul serio, senza trascuratezze o attacchi di panico. Ma Bolaffi non la giudica una scelta praticabile in Italia, non pensa che i potenti ministeri degli Esteri e dell'Interno siano disposti a mollare competenze in favore del nuovo nato. L'autore nutre inoltre una profonda, forse eccessiva, sfiducia nelle capacità dei suoi simili, cioè dei pubblici amministratori. Propone quindi di delegare ad agenzie esterne importanti funzioni come la compilazione delle liste di chi vuole immigrare in modo da evidenziarne le competenze, sull'esempio di quanto il ministero del Lavoro sta facendo in Albania con la collaborazione dell'Oim, l'organizzazione internazionale delle migrazioni. Le chances che la riforma della pubblica amministrazione prosegua, la possibilità che questo settore aumenti la sua capacità di attrarre personale competente, come ha già cominciato a fare, la stessa introduzione di un ministero o di un'Agenzia dell'immigrazione capaci di farsi rispettare dai fratelli maggiori, dipenderanno molto dalla forza dei prossimi governi, dall'autorità dei presidenti del consiglio, dalla loro determinazione ad agire in questo campo minato. L'osservazione vale anche per la saggia proposta di Bolaffi di trattare l'immigrazione con atteggiamenti ed in sedi bipartisan, cioè con accordi ed in organismi che includano maggioranza e qualche rappresentate dell'opposizione. Si tratta di una proposta che avevo avanzato senza successo al momento di accettare l'incarico di presidente della Commissione per l'Integrazione. L'introduzione di politiche e di organismi bipartisan sull'immigrazione devono partire da un governo di fresca nomina; se chiesti da un governo in scadenza, rischiano di somigliare a canotti di salvataggio. Sono strategie praticabili da parte di un esecutivo che possa esercitare abbastanza disciplina sui suoi seguaci per poterli privare di qualche risorsa a favore dell'opposizione, sono politiche che può permettersi solo una coalizione di maggioranza abbastanza ampia e stabile da non dover meschinamente sfruttare i disagi e le resistenze che l'immigrazione porta sempre con sé. Mi auguro che queste condizioni si presentino nel prossimo futuro, ma ho qualche dubbio che ciò accada.