I DIRITTI DELLE MINORANZE e la loro protezione

La storia dimenticata dell'autonomia culturale


Balcani, Irlanda del Nord, Paesi baschi, Caucaso, Africa, Indonesia, ecc.: i conflitti che caratterizzano il periodo attuale riguardano sempre più spesso la questione delle minoranze e dei loro diritti. Se non trovano risposte soddisfacenti spesso sfociano in esigenze di secessione. Non c'è altra soluzione che questa proliferazione di stati, portatrice di instabilità e quindi di scontri a catena? L'autonomia personale costituisce senza dubbio un modello ricco di potenzialità per il futuro. La storia d'Europa ne offre parecchi esempi che meritano riflessione.

di Yves PLASSERAUD*

 

Le mescolanze di popoli differenti sono sempre esistite, ma in questa fine del XX secolo sono diventate particolarmente diffuse per l'esistenza di milioni di rifugiati, sfollati e lavoratori migranti dispersi nel mondo intero. Dal Sudafrica alla Birmania, dal Medioriente, ai Balcani, al Caucaso sono innumerevoli gli intrecci etnici e culturali.
In queste condizioni, anche con una reale volontà politica, è sempre più irrealistico voler garantire a tutti anche solo un minimo di diritti culturali. Come, in particolare, offrire accesso all'insegnamento nella propria lingua a individui sparsi in mezzo a popolazioni diverse?
Qualche anno fa si è constatata la difficoltà di un'impresa del genere in Bosnia, dove tutti i progetti - anche quelli detti di"cantonizzazione" - sono falliti per l'impossibilità di star dietro alla dispersione degli interessati. Da molto tempo circolano a questo proposito idee diverse e, benché le possibilità di realizzazione siano assai scarse nelle regioni dove sarebbero più necessarie, è interessante qui esaminarne alcune. Poiché l'idea di uno statuto personale per ogni individuo, indipendentemente dai suoi spostamenti, è molto antica.
Nell'Europa centrale (1) dopo le grandi invasioni del V secolo il diritto consuetudinario germanico dei nuovi arrivati ha convissuto per parecchi secoli col diritto romano, finché, con la sedentarizzazione dei diversi gruppi, il diritto privato non si è infine unificato.
L'idea della personalità delle leggi si è mantenuta a lungo sotto forma di autoamministrazione di certe popolazioni dal particolarismo marcato. Così i Sassoni di Transilvania (nell'odierna Romania) ottennero nel 1486 dal re d'Ungheria Mattia I Corvino un regime d'autonomia per la loro"nazione"; la Costituzione transilvana era fondata sull'unione di tre nazioni: unio trium nationorum. (2) In Europa alla fine del Medioevo, i sovrani, a seconda del loro interesse del momento, concedevano a volte agli ebrei garanzie revocabili senza preavviso. Lo statuto degli ebrei polacchi nei primi tempi dell'immigrazione ashkenazita illustra bene questo tipo di politica. Quando arrivavano nel Regno della Vistola (la Polonia dell'epoca) agli ebrei si concedevano una serie di privilegi, di cui si pensava godessero nel paese d'origine.
I termini dello statuto concesso nelle sue terre dal Duca Boleslav di Kalisz nel 1264, secondo il modello dell'editto di Magdeburgo (3), sono emblematici a questo proposito. Serviranno peraltro da modello a diversi statuti posteriori.
In base alla sua religione e alla sua"origine etnica" la comunità ebraica veniva riconosciuta come corpo sociale particolare organizzato in comuni (in ebraico kehilot) che godevano di autonomia interna.
Considerati come proprietà del principe (servi camerae), gli ebrei potevano essere giudicati solo da un suo rappresentante. Qualsiasi attacco a persone o a beni ebraici era considerato come un attacco al patrimonio del sovrano.
Nel 1334 il re Casimiro III (Casimiro il Grande) estese questo regime a tutto il Regno. Nel 1388 Vytautas di Lituania (4) seguì il suo esempio. Questa tecnica per attrarre immigranti perseguiva anche secondi fini, essendo infatti frequente lo sfruttamento dei"protetti".
Il"metodo della spugna", suprema raffinatezza, consisteva nell'attirare ufficialmente gli ebrei perseguitati altrove con vantaggi e garanzie molto diffusi. Quando poi questa comunità diventava prospera e danarosa veniva spogliata dei suoi beni e interessi ed espulsa. Dopodiché si proponeva agli ebrei di tornare riacquistando i beni e i privilegi di cui erano stati spogliati in precedenza...
Un'altra risposta alla questione delle minoranze religiose è quella data dal sistema ottomano dei"millets" (comunità degli appartenenti a una religione diversa dall'islam). In un universo musulmano in cui religione e società civile sono un tutto unico le autorità di Costantinopoli, sottoposte a pressioni costanti da parte delle potenze occidentali, dovevano trovare un regime accettabile per i soggetti ottomani non musulmani, ma appartenenti al"popolo del Libro". Dato che il musulmano possedeva, secondo il diritto coranico, uno statuto personale che nessuno spostamento poteva alterare, era naturale che godessero di uno statuto analogo i protetti dell'islam, i dhimmis.
Tale statuto, soprattutto a partire dal secolo XVIII, secondo il regime detto delle"capitolazioni", permise ai cristiani di godere di regimi giuridici particolari, applicati sotto l'egida degli stati occidentali (in particolare della Francia fino al 1923, data della creazione della Repubblica turca di Ataturk).
Torniamo in Europa centrale e, nel contesto delle rivoluzioni del 1848, alle riflessioni del cosiddetto"Tocqueville ungherese", Jozef Eötvös (1813-1871). Ministro del governo democratico ungherese nel 1848 e futuro artefice del compromesso austro-ungherese del 1867, questo barone illuminato è un precursore del pensiero occidentale circa l'applicazione concreta del principio delle nazionalità. Preoccupato di render compatibile questo principio con l'ordine europeo del Congresso di Vienna, evitando lo sfaldarsi degli imperi, egli è uno dei primi, forse il primo, ad aver pensato al sistema dell'autonomia personale.
Nella sua opera La questione delle nazionalità (1856), stabilendo per primo un parallelo tra religione e nazionalità, vede l'appartenenza a una nazionalità (identificata da una lingua) come un diritto puramente individuale con carattere soggettivo. Nel contesto dell'epoca tale laicizzazione dello stato tuttavia non porterà l'autore ungherese a proporre un sistema costituzionale fondato su questo riconoscimento.
Solo più tardi, a Vienna, queste idee si applicheranno concretamente a livello politico. In Karl Marx e ancor più in Friedrich Engels (5), nei rari testi dedicati esplicitamente a questa materia, la questione nazionale si pone molto dopo quella della classe. La nazione, formazione ritenuta temporanea e propria solo di una certa fase dello sviluppo del capitalismo, non poteva che essere subordinata agli interessi storici del proletariato mondiale: i proletari, si sa, non hanno patria! Malgrado questa convinzione, i fondatori del marxismo non mancarono di essere influenzati dalla scottante questione nazionale che tuttavia presero in considerazione secondo un'ottica molto strumentale. La lotta di emancipazione delle nazionalità era vista al massimo come un contributo al risveglio delle coscienze delle masse. Distinguevano i grandi"stati-nazioni" ritenuti"suscettibili di sviluppo" dalle piccole"nazioni senza storia" (Geschichtslose Nationen), destinate a sparire, come i cechi, i bretoni o i balti. Ritenevano utile solo l'esistenza di grandi compagini statali centroeuropee (tra le quali al primo posto la Germania) in quanto la costruzione di un mercato capitalistico unificato, secondo loro, era uno dei presupposti per la nascita di condizioni rivoluzionarie.
Poiché l'obiettivo tattico era la distruzione dei"focolai di reazione" e soprattutto degli imperi russo e britannico, Karl Marx e Friedrich Engels furono spinti talora a sostenere"piccoli" nazionalismi in Russia (polacchi, balti) e, verso la fine del secolo XIX, Engels riconosce che l'autonomia, ovvero l'indipendenza, delle unità nazionali è spesso presupposto di un'azione rivoluzionaria efficace. Questa concezione, a prezzo di una certa vaghezza dottrinale, sarà peraltro quella della II Internazionale fondata a Parigi nel 1889.
Data la struttura multietnica dell'Impero e un certo clima danubiano di libertà intellettuale, i socialisti austro-ungheresi per primi approfondirono lo studio dei rapporti tra la questione sociale e quella nazionale. Retti da una legge fondamentale (elaborata in base a un progetto del 1849) il cui articolo 19 già allora diceva"Tutti i popoli dello stato sono uguali in diritto e ogni popolo dispone del diritto inalienabile di coltivare la propria nazionalità e la propria lingua,...", (6) gli austromarxisti adottarono ben presto un'impostazione originale in materia.
Il primo socialdemocratico ad aver delineato un insieme teorico della questione nazionale è l'austriaco Karl Kautsky (1854-1938), che, a differenza dei"padri fondatori", formulò nel 1887 la sua tesi osservando soprattutto la situazione britannica. Seguendo una linea storico-economica, adottò una posizione pragmatica, a metà strada tra gli internazionalisti intransigenti e i fautori dell'indipendenza nazionale. Ma le personalità di maggior rilievo in questo campo restano Karl Renner e Otto Bauer.
Il giurista moravo Karl Renner (1870-1950) riserva un posto eminente alle nazioni deplorando che, contrariamente alle Chiese, non godano in seno alla monarchia austro-ungarica di alcuna esistenza giuridica propria e debbano organizzarsi in partiti politici. Disdegnando la dottrina"atomista centralista" (7) predominante, propone di dividere l'impero d'Austria in un certo numero di province corrispondenti quanto più possibile ai limiti etnici e all'interno delle quali l'elemento nazionale predominante avrebbe prevalso sugli altri gruppi in campo linguistico."La ripartizione interna delle nazionalità - rileva Karl Renner - dovrebbe avvenire naturalmente in base alla densità della popolazione: i connazionali di una diocesi locale o di una circoscrizione formerebbero un comune nazionale, cioè una corporazione di diritto pubblico e privato, con diritto di decreto e d'imposta e dotata di fondi specifici.
Un certo numero di comuni uniti dal territorio e dalla cultura costituirebbero un distretto nazionale avente gli stessi diritti corporativi. Il totale dei distretti formerebbe una nazione. Anche la nazione sarebbe soggetto di diritto pubblico e privato. (8)" Nell'ambito di questo"Nationalitätenbundesstaat" (9), le minoranze, costituite in"associazioni nazionali" di individui, godrebbero per parte loro di una"autonomia culturale personale extraterritoriale" (10).
Ignorando il determinismo linguistico di Renner, il sociologo Otto Bauer (1880-1938) estende il campo d'applicazione potenziale del sistema alle"nazioni senza storia" e persino al proletariato sradicato.
Autore nel 1907 di un'opera fondamentale dal titolo La questione delle nazionalità e la socialdemocrazia, egli si dedica particolarmente alla cultura delle"minoranze proletarie" generate dalle migrazioni interne delle masse operaie, che si oppongono a qualsiasi assimilazione forzata. Tuttavia, come Renner, Bauer prende con forza le distanze dai"separatismi", in particolare quello ceco e quello ebraico che, secondo lui, esprimono un'ideologia antiassimilazionista contraria all'unità della classe operaia. Ma in seno all'Internazionale socialista, Lenin è decisamente ostile a ciò che chiama i"campanilismi", benché una delle sue preoccupazioni sia riconciliare il proletariato russo e quello dei popoli dell'impero che lottavano per liberarsi (11). Nel 1898, al congresso del Partito operaio socialdemocratico di Russia (Posdr) egli si oppone a coloro che sarebbero poi diventati i menscevichi (12), fautori dell'autonomia culturale delle minoranze, riconoscendo il diritto all'autodeterminazione di queste ultime. Al congresso socialdemocratico di Russia (1903), che segna la rottura tra bolscevichi e menscevichi (13), Lenin peraltro farà adottare il principio del diritto all'autodeterminazione territoriale (punto 9) come principio fondamentale del partito (14), ponendo fine alle speranze degli extraterritorialisti.
Nata in un mondo urbano strutturato, la coscienza politica operaia ebraica s'è sviluppata fino all'ultimo decennio del secolo XIX come reazione al razzismo diffuso da un lato e al sionismo crescente dall'altro.
Lo scopo era allora quello di ottenere diritti sociali"normali" per i lavoratori ebrei. Tuttavia molto presto alcuni denunciarono il carattere utopico del sogno assimilazionista. Fin dal 1894 Martov (Yuri O. Tsederbaum) ne dimostra per primo gli ostacoli. Per gli ebrei, afferma, lotta sociale e lotta di liberazione nazionale devono avanzare di pari passo, in quanto la natura dei rapporti di produzione del mondo ebraico dell'Est non potrà mai dar vita a una struttura sociale completa dotata di una vera classe operaia (15).
Due tesi a confronto Come creare una situazione rivoluzionaria? Due tesi si confrontano.
Per i"territorialisti" la condizione è l'esistenza di un territorio nazionale e quindi l'autodeterminazione e la creazione di uno stato ebraico. Per i bundisti e gli altri"extraterritorialisti" l'intreccio nella regione delle"nazioni senza storia" e il fatto che gli ebrei nell'insieme non prevedono di emigrare rende irrealistica quest'ultima ipotesi. Dato che per gli ebrei la nazionalità si confonde con la lingua e la cultura, è questo l'orientamento che seguono a partire dal 1905 (VI congresso del Posdr): la cultura sarà la patria a-territoriale degli ebrei e lo yiddish, lingua delle masse, la leva per la loro lotta nazionale. La dottrina austro-marxista d'autonomia culturale extraterritoriale sembrava tale da fornire una soluzione giuridica.
Purtroppo, secondo Renner stesso, questo sistema non va bene né per le diaspore né per le minoranze sparse. Gli ebrei sono quindi a priori esclusi da un tale schema. Bisognerà modificare dunque la dottrina di Renner per adattarla al popolo dell'Yiddishland. I capi del Bund e del partito Serp seguono questa riflessione (16) e invocano la fondazione di un partito multinazionale e la federalizzazione del Posdr su base nazionale. Altre organizzazioni, in particolare l'Organizzazione operaia socialdemocratica armena, militano nello stesso senso. Secondo i dirigenti del Bund la Russia deve, come l'impero austroungarico, diventare una federazione di popoli autonomi, tuttavia l'autonomia riguarda solo le province multietniche.
Il nazionalismo dei bundisti e di altri militanti ebrei,"territorialisti" o no (Poale Tsion, Serp) li renderà sempre sospetti ai responsabili dell'Internazionale. Le loro idee sono invece piuttosto ben accolte dalla base in quanto la loro rivendicazione si fonda in realtà - e questo è forse il contributo fondamentale dei socialisti ebrei di Russia alla dottrina dell'austro-marxismo - su una cultura religiosa e sociale forgiata da secoli di autonomia all'interno dei"kehilot".
Sono proprio questi elementi, a cui gli austro-marxisti non avevano pensato, che avrebbero permesso di applicare alle comunità ebraiche i principi dell'autonomia personale.
È nel 1916 che, integrando ai lavori degli austro-marxisti il contributo"russo" di Simon Dubnov, Vladimir Medem formulerà la dottrina del Bund in modo sintetico:"Prendiamo il caso di un paese composto da diverse nazionalità, per esempio polacchi, lituani ed ebrei. Ognuna di queste nazionalità dovrebbe creare un movimento separato. Tutti i cittadini appartenenti a una data nazionalità dovrebbero aderire a un'organizzazione speciale che organizzi assemblee culturali in ogni regione e un'assemblea culturale generale per tutto il paese.
Le assemblee speciali dovrebbero esser dotate di poteri finanziari particolari, ogni nazionalità avrà il diritto di riscuotere tasse presso i propri membri oppure sarà lo stato a distribuire dal suo fondo generale una parte proporzionale del proprio bilancio a ognuna delle nazionalità. Ogni cittadino del paese apparterrà a uno di questi gruppi nazionali, ma potrà personalmente scegliere a quale movimento nazionale aderire e nessuno potrà esercitare un controllo sulla sua decisione. Questi movimenti autonomi si svilupperanno nell'ambito delle leggi generali adottate dal Parlamento del paese; ma saranno autonomi nel proprio ambito e nessuno avrà il diritto di intromettersi negli affari degli altri." (17) Abbandonando così la tradizionale confusione tra stato e nazione, Medem propone per le regioni con popolazione mista un federalismo nazionale fondato sull'autonomia delle istituzioni sociali. Vede la Russia suddivisa in"associazioni nazionali" di individui costituite in base a una libera scelta personale. Immagina, dopo l'autorganizzazione dei gruppi nazionali dispersi in base a un"catasto nazionale", la costituzione di"corporazioni di diritto pubblico", persone giuridiche dotate di istituzioni e competenze. Elevata in questo modo a"diritto pubblico soggettivo" l'appartenenza nazionale, la nazione stessa diventerà una"persona morale di diritto pubblico". Questo stato multinazionale - che il professore di diritto francese Stéphane Pierré-Caps ha chiamato la multinazione (18) - in base ai consueti principi del federalismo, avrà la responsabilità della difesa, delle relazioni internazionali, dell'economia e delle finanze. La gestione degli affari nazionali (fondamentalmente culturali) toccherà alle"corporazioni nazionali".
Quanto alle zone con popolazione omogenea, i teorici del federalismo personale tornano alla concezione classica di corrispondenza tra amministrazione statale e amministrazione nazionale (principio della autodeterminazione territoriale), mentre il consiglio di distretto agisce da solo. Questa commistione di federalismo personale e di federalismo territoriale costituisce il carattere originale dei princìpi che stiamo esaminando.
A partire dal 1925 diverse personalità, tra cui il baltico-tedesco Paul Schiemann, saranno ardenti propagandisti dell'autonomia culturale in seno al Congresso europeo delle nazionalità (partner della Società delle nazioni) che si riunisce annualmente. Si riscontrano grandi progressi ma, dal 1933 in poi, il dilagare dei nazionalismi viene a distruggere ogni speranza in materia di diritti delle minoranze (19).
I critici dell'autonomia personale gridano sempre all'utopia. Eppure una storia purtroppo dimenticata parla a favore di un riesame di queste dottrine. In Russia ai tempi dell'impero e poi dopo il trionfo dei bolscevichi, le idee di autonomia personale sparirono completamente.
In Austria, invece, il pensiero degli austro-marxisti trovò ascolto persino a destra tra coloro che si preoccupavano della sopravvivenza di quel miracolo permanente costituito dall'Austria-Ungheria. Professore di diritto internazionale e ultimo cancelliere dell'Impero, lo stesso Heinrich Lammasch vedeva una possibilità di sopravvivenza dell'impero solo nel riconoscimento del principio di una libera associazione delle nazionalità.
Timide applicazioni di questo principio peraltro ci furono prima della Grande Guerra. Così nel 1905-1906 fu introdotto parzialmente un sistema di autonomia personale in Moravia: vi era stato creato infatti un catasto elettorale nazionale per l'elezione di due curie nazionali (tedesca e ceca) destinate a dividersi la dieta di Brno.
Il dispositivo funzionò in modo soddisfacente e fu esteso ulteriormente al campo scolastico.
L'autonomia culturale fu poi sperimentata, di nuovo con successo, in Bukovina (20) nel 1910 tra tedeschi, ebrei, polacchi, rumeni e ruteni (21). Dopo questi inizi incoraggianti nel 1914 si doveva introdurla in Galizia (Polonia), ma la guerra decise altrimenti. Dopo il conflitto tuttavia l'idea risorse; da un lato il 3 gennaio 1918 con il riconoscimento, da parte dell'effimera Rada (parlamento) centrale ucraina, dell'autonomia personale dei popoli ebraico, polacco e russo (si notava l'influenza del partito sionista di sinistra Poale-Tsion e del suo animatore Ber Borokhov) e dall'altro con il Commissariato per le questioni tedesche della Repubblica (ungherese) dei consigli di Bela Kun. Si ritrovano d'altronde le stesse idee nel progetto presentato dalla delegazione ungherese alla Conferenza di pace il 20 febbraio 1920 per mitigare il trauma provocato dalla ineluttabile suddivisione del Regno danubiano. Esperienze positive ma fugaci Tra le due guerre gli avvenimenti più interessanti si ebbero negli stati baltici. Il primo episodio riguarda la Lituania. Nel periodo tormentato attraversato dal nuovo stato le"kehilot" preesistenti poterono autorganizzarsi secondo il principio dell'autonomia personale in base a una legge del 21 ottobre 1920. Questo sistema purtroppo doveva sparire con l'insediamento di un potere autoritario a Kaunas nel 1926. (22) A questi stessi principi s'ispirava a Riga, all'inizio di questo secolo, il grande saggista e uomo politico germano-baltico Paul Schiemann.
Come gli austro-marxisti Schiemann considerava che, se la tolleranza religiosa e la separazione tra chiesa e stato avevano in passato calmato gli animi, la separazione tra stato e nazione poteva metter fine al nazionalismo che, secondo lui, costituiva il male supremo.
Dopo una lunga ricerca propose un sistema amministrativo molto completo, fondato essenzialmente sui principi sopra descritti (23) per la comunità tedesca della Lettonia. Organizzata come corporazione di diritto pubblico, tale comunità era chiamata a gestire da sé i propri interessi in campo culturale. Purtroppo l'evoluzione politica interna e il contesto internazionale della repubblica baltica (Urss, Germania nazista) non permisero l'attuazione di questo sistema (24).
È la terza repubblica baltica, l'Estonia, che ebbe il merito di creare e di far funzionare un regime completo e operativo di autonomia culturale personale. La legge del 12 febbraio 1925 permetteva infatti alle minoranze che lo desideravano di raggrupparsi al livello locale per farsi rappresentare a livello dello stato da un Consiglio culturale centrale di ogni nazionalità - la soglia era fissata a 3.000 membri per permettere agli ebrei di beneficiare di questo sistema. Dettaglio originale: nelle regioni in cui era territorialmente minoritaria anche la popolazione di origine estone poteva organizzarsi secondo questo principio. Uno dei padri della legge estone, il dottor Ewald Ammende, fu anche tra gli ideatori del Congresso europeo delle nazionalità.
Questo sistema fu applicato in modo soddisfacente ai tedeschi e agli ebrei; purtroppo, malgrado gli sforzi di un altro autore della legge, il professor Mikhail Anatolievic Kurcinski, i russi non riuscirono mai a organizzarsi per beneficiarne (25).
Alla fine di questo veloce excursus sulla storia di un concetto ricco qual è quello di autonomia personale è lecito chiedersi per quale motivo sia così dimenticato dagli storici contemporanei. La risposta è semplice: originario dell'Europa centrale fu spiazzato dall'onnipresenza del"socialismo reale" alla sovietica. Ad Ovest la questione delle minoranze nazionali fu abbandonata a vantaggio dei diritti dell'uomo e in generale non ci si prese neppure la briga di andare a frugare negli archivi non tradotti (26). Gli eventi recenti, dal Caucaso alla Bosnia, ridanno tutta la loro attualità alle dottrine che si ricollegano alle minoranze disperse.
note:
* Dottorato in legge, presidente del Gruppo per i diritti delle minoranze, Parigi.
(1) Leggere Istvan Bibo, Histoire des petites nations d'Europe centrale, Albin Michel, Parigi, 1993.
(2) Le due altre nazioni erano l'Ungheria e gli Szeklers (nome di un'importante minoranza di Romania, chiamati anche i siculi).
(3) In questa città di Saxe-Anhalt (ex Repubblica democratica tedesca), diventata nel 962 sede di un arcivescovado consacrato all'evangelizzazione degli slavi, l'editto del 1183 regolava lo statuto degli ebrei garantendo loro un certo numero di franchigie.
(4) Sul sistema polacco della"società di cittadinanza" in generale, leggere Jerzy Klokzowsic"Le traditions de citoyenneté en Pologne et dans la République polono-lituano-ruthène" in Chantal Delsol, Michel Maslovski, Histoire des idées politiques de l'Europe centrale, PUF, Parigi, 1998, pag. 229 e s.
(5) Vedere soprattutto Georges Haupt, Michael Lowy e Claudie Weill, Les Marxistes et la question national, L'Harmattan, Parigi, 1997.
(6) Sul regime delle nazionalità in seno alla doppia monarchia, leggere Jean-Paul Bled,"L'Autriche-Hongrie: un modèle de pluralisme national", in André Liebich e André Reszler, L'Europe centrale et ses minorités: vers une solution européenne, PUF, Parigi, 1993, pag. 25 e s.
(7) Sistema in cui, come in Francia, gli individui si ritrovano soli di fronte allo stato.
(8) Claudie Weill, L'Internationale et l'Autre; les relations interethniques dans l'Europe de l'Est, Arcantère, Parigi, 1987, pag.94.
(9) Stato federale delle nazionalità.
(10) Questa idea era stata già avanzata nel 1889, al Congresso di Brunn, dallo sloveno Kristan Etbin. Molti anni più tardi, nel 1918, Renner, diventato primo cancelliere della Repubblica austriaca, incaricava l'eminente giurista Hans Kelsen di preparare una Costituzione secondo questi principi; il progetto resterà senza seguito.
(11) Su questo tema, vedere Andreas Kappeler, La Russie, empire multiethnique, Institut d'études slaves, Parigi, 1994.
(12) Oppositori dei bolscevichi, riuniti dietro Lenin, i menscevichi propugnavano una rivoluzione in due tempi: prima di tutto, la socialdemocrazia doveva accelerare la caduta dello zar e catalizzare la rivoluzione, per dotare il movimento socialista di un impianto legale. L'infrastruttura concepita sulla base dei modelli occidentali di sindacati, associazioni e organizzazioni regionali avrebbe dovuto educare la classe operaia e condurla alla coscienza di massa necessaria per il completamento della rivoluzione socialista.
(13) La maggioranza dei bundisti passò allora dalla parte dei menscevichi.
(14) Sulla questione degli austro-marxisti nel loro insieme, leggere George Haupt, Michael Lowy e Claudie Weill, op.cit.
(15) Al posto di quella, si sviluppa un Lumpenproletariat, (un proletariato straccione) passivo e servile.
(16) Nel 1904, Vladimir Medem pubblicò la sua opera fondamentale, Social-dèmocratie et question nationale, che precede dunque la famosa opera di Otto Bauer, La Question des nationalités et la social-dèmocratie (1907).
(17) Henri Minczeles, Histoire gènèral du Bund, Austral, Parigi, 1996, pp.279-280.
(18) Stéphane Pierré-Caps, La Multination. L'avenir des minorités en Europe centrale et orientale, Odile Jacob, Parigi, 1995.
(19) Jozsef Galantai, Trianon and the Protection of minorities, Corvina, Budapest,, 1992, p.119 e s.
(20) Regione del nord della Romania. Austriaca nel 1910, fu divisa tra l'Ucraina, la Romania e l'Austria durante il periodo tra le due guerre e si trova attualmente a cavallo tra l'Ucraina e la Romania.
(21) Branca occidentale del popolo ucraino. La Rutenia è appartenuta all'Ungheria, poi alla Cecoslovacchia (1919), di nuovo all'Ungheria (1938) e infine all'Urss (1945).
(22) Cfr. Michael Garleff"Die kulturelle Selbstverwaitung des nationalen Minderheiten in den baltischen Staaten", in Boris Meissner, Die Baltische Nationen, Estland, Lettland, Litauen, Markus, Colonia, 1991, pag.
87 e s.
(23) Anders Henriksson, The Tsars Loyal Germans. The Riga German Community social changes and the Nationality Question, Columbus University Press, New York, 1963.
(24) Cfr. su questo punto H. Kause, Paul Schiemann (1876-1944),"Die Balten und ihre Zeitgeschichte: Zu Schiemanns 100. Geburtstag, am 29 März 1976", in Jahrbuch des Baltischen deutschtums, 1976, Luneburg (1975), nonché i lavori di John Hiden dell'Unità di ricerca baltica dell'Università di Bradford, non ancora pubblicati.
(25) Smith, David, Retracing Estonia's Russian: Mikhail Kirchinskii and Interior Cultural Authonomy, Nationalities Papers, volume 27, n.3, settembre 1999, pag. 455 e s.
(26) Salvo alcune rare personalità poliglotte come Claudie Weill.