da " La Repubblica"

18 gennaio 2001

Il paradosso italiano sull'immigrazione

di GIOVANNA ZINCONE

NEL 2000 il numero di immigrati regolari in Italia è aumentato di circa 250.000 unità. Il dato è stato già riportato dai media, che hanno sottolineato la sua ingombrante dimensione. Gli ingressi insomma sembrerebbero un po' troppi, e il governo italiano ci viene presentato come un vecchio portinaio di manica larga. Sappiamo però che queste persone non sono entrate tutte insieme lo scorso anno. Molti erano già qui come irregolari e sono stati semplicemente messi in regola in seguito al provvedimento di regolarizzazione del 1998, che ha avuto tempi lenti. Per capire quanta immigrazione davvero nuova sia entrata legalmente lo scorso anno occorre sommare l'incremento dei permessi per ragioni familiari (circa 63.000) alle quote programmate di permessi per motivi di lavoro, che erano stati 63.000 all'inizio dell'anno, con un'aggiunta di 20.000 stagionali a luglio, quindi in tutto 146.000 persone. La nostra legge non pone un tetto annuo ai ricongiungimenti, perché il nostro ordinamento considera l'unità familiare un bene prezioso anche per gli stranieri. Va notato però che, sempre secondo la nostra legge, almeno una parte dei ricongiunti (si devono escludere ovviamente vecchi e bambini) si può trasformare immediatamente in forza lavoro, da quando la legge Turco-Napolitano ha abolito il precedente obbligo di non lavorare per un anno. Questo significa che, se vogliamo valutare l' entità della nuova iniezione di lavoro straniero verificatasi in Italia nel 2000, ai permessi di lavoro ufficiali va aggiunta una parte dei ricongiungimenti. Gli imprenditori italiani la hanno giudicata, comunque, un'iniezione fiacca. Si capisce quindi che giudichino negativamente una proposta identica fatta dal governo per il 2001. Confindustria dice che servirebbero almeno altri 120.000 lavoratori stranieri. Gli immigrati sono dunque pochi. Proiezioni demografiche da tempo note ci dicono che in Italia calerà drasticamente in futuro la popolazione in età lavorativa. Nel 2020 ci sarà una diminuzione del 14% della fascia di età tra i 20 ed i 59 anni, e un calo ancora più brusco (-35%) si avrà per la componente più giovane, tra i 20 ed i 39 anni. Si potranno compensare queste carenze facendo partecipare di più le donne al mercato del lavoro, introducendo tecnologie che risparmiano attività umana, innalzando l'età pensionabile, tuttavia le carenze ci sono e si manterranno, specie in alcuni settori. Gli immigrati quindi non solo sono pochi, ma con questi tassi di affluenza saranno pochi. L'opinione pubblica italiana tuttavia non la pensa così: ritiene che siano troppi, eppure è consapevole del fatto che sono necessari. Secondo un sondaggio Commissione per l'integrazione-Ispo, gli italiani sanno che i lavoratori immigrati servono alle imprese (52%), sanno che gli stranieri si prestano a fare mestieri che loro non vogliono fare (70,9%), e ciò nonostante sono decisamente contrari all'ampliamento dei flussi (80,9%), perché, per l'appunto, gli immigrati sono troppi (68,4%).  COME valutare queste percezioni? Gli immigrati in Italia non sono certo "troppi" in termini relativi, se ci confrontiamo con altri paesi. Secondo gli ultimi dati comparati disponibili, gli stranieri sono più del 4% in Olanda, intorno al 9% in Germania, intorno al 7% in Francia. In Svizzera gli stranieri rappresentano più del 19% dei residenti, e il referendum popolare del settembre 2000 ha respinto la proposta di porre una soglia massima al 18%. La Svizzera ha superato la sindrome schizofrenica per cui "servirebbero più immigrati, ma sono già troppi". L'Italia ancora no, perciò considera eccessiva un' immigrazione ufficialmente di poco superiore al 2%. Secondo l' ISTAT gli stranieri residenti in Italia sarebbero circa 1.340.000 persone al 1 gennaio 2000, di cui poco più di 1.100.000 provenienti dai paesi a forte pressione migratoria. Includendo i minori, iscritti sul passaporto dei genitori, che quindi ufficialmente non compaiono, si arriverebbe così a circa 1.520.000 residenti stranieri. L'Italia è divenuta molto in fretta un paese di immigrazione e fa difficoltà ad adattarsi. Del resto anche i paesi - come la Germania - che hanno accettato con quaranta anni di ritardo di essere diventati un paese di immigrazione, perfino la Francia che paese di immigrazione lo è dalla fine dell'Ottocento sono attraversati da forti tensioni. Possiamo pensare che la resistenza italiana ad accettare nuovi arrivi sia dovuta all'eccesso di ingressi clandestini, disordinati, ingovernabili, e che sia dovuta ancor più alle continue notizie di crimini o comportamenti irresponsabili dovuti ad immigrati. La realtà invia seppur deboli segnali che danno, sia la clandestinità sia la criminalità immigrata in diminuzione, ma la percezione di paura inopinatamente aumenta. Se clandestinità e criminalità fossero le sole origini della resistenza dell'opinione pubblica italiana all'immigrazione, se fosse la pura razionalità a indirizzare le nostre posizioni, allora dovremmo riscontrare una decisa domanda di allargamento dei flussi legali. In termini razionali, infatti, aprire il portone principale costituisce una mossa necessaria, anche se non risolutiva, per scoraggiare ingressi clandestini dalla finestra. E' una mossa che dà gratis e senza rischi quello che i contrabbandieri di uomini fanno pagare salato, quindi intacca i loro profitti. Il fatto è che il timore della criminalità, il fastidio per flussi clandestini incontrollati costituiscono le ragioni principali, ma non esclusive della tentazione a chiudere. Dietro la sazietà di immigrati c'è un disagio più profondo e non detto. Anche gli illuminati cosmopoliti, i sornioni metropolitani si scoprono sorpresi e turbati dall' impatto dell'immigrazione sul loro spicciolo vivere quotidiano, sul quadro ampio del panorama urbano. Sarebbe strano il contrario: sono finiti dentro un evento potente e sorprendente.  L'IMMIGRAZIONE trasforma inevitabilmente il nostro habitat. Una verdura aliena compare sui banchi del mercato preferito: cavoli lunghi in forma di lattuga, rugose rape verdi, funghi piccoli, troppo neri e segreti. Osserviamo con curiosità, vorremo sapere cosa farne, e intanto temiamo di non trovare più i prodotti cardine delle nostre abitudini culinarie: il pomodoro rosso e tondo da farcire con il riso, per esempio. Cambiano le insegne dei negozi, cambiano i segni. I materiali adoperati sono nostri in veste dimessa: modeste plastiche, colori inetti. Spaventano i possibili successi di un esotismo fatto in serie, in stile e senza stile. Cambiano gli attori del palcoscenico quotidiano: è diverso l'aspetto fisico delle persone che girano per strada, sono diversi gli abiti, le risate, i gesti, le maniere. Qualche volta sono migliori, comunque sono diversi. La palese schizofrenia degli italiani è deprecabile, ma comprensibile. E' una sindrome diffusa anche nei paesi di origine degli immigrati. In Marocco, ad esempio, paese da cui viene la nostra prima comunità, i soldi, le valute pregiate che escono dalle tasche dei turisti sono considerate utili e necessarie, e però sconcertano i bermuda strizzati delle finte bionde, irrita la contrattazione arrogante del benestante, la smodatezza nel bere. I turisti sono necessari sì, ma sono anche troppi. Non si offenda dunque l'immigrato marocchino se l'animo italiano è - come il suo, e per ragioni simili - diviso. Credo che dobbiamo semplicemente imparare tutti a convivere con i nostri habitat modificati. E' un'attività faticosa, ma vitale, necessaria alla sopravvivenza delle comunità umane, specie di quelle affacciate sul Mediterraneo, specie in questo secolo segnato, come e più del precedente, dal movimento.