Se questi sono uomini
SAN BENEDETTO DEL TRONTO - La piaga dell'immigrazione clandestina. Sicilia, morti sei immigrati

di Tonino Armata
 
Per passare da uomo a bestiame, ci vuole pochissimo. Basta imbarcarsi in 100 sopra una barca lunga come un camion. E' il passaggio inverso, da bestiame a uomo, l'impresa impossibile. Riavere un'identità, un nome, un'età quando si approda, quando il carico fitto dai corpi infreddoliti, stremati, si scioglie e prova a chiedere aiuto voce per voce, storia per storia, diritto per diritto.
Sull'ennesima carretta arrivata l'8 agosto del 2004, ennesimo "giorno del grande esodo" secondo la facile iperbole che dichiariamo alla nostra cosa, 28 erano già morti finiti in mare durante la traversata dalla Libia alla Sicilia. Un quarto del carico. Un quarto del carico, si diceva: perché quanto all'identità, cioè agli esseri umani che corrispondevano ai tonfi dei corpi nell'acqua nera, è già arduo darne una ai vivi, figuriamoci ai morti.
Il legno fradicio si spezza sotto il peso di quei disperati. Cola a picco in un attimo. Un'ora dopo aver salutato le coste tunisine in 75 finiscono in mare. Per 11 c'è una cima e la prora di una motovedetta. Altri 47 sono tecnicamente dispersi, consegnati nei bilanci ufficiali a una fine che in assenza di cadaveri rimane incerta ma drammaticamente prevedibile. Le ricerche, dopo una notte e un giorno, restituiscono soltanto 17 corpi. Chi si è salvato racconta di un viaggio breve dalle coste sabbiose di Chott Meriem nel distretto di Sousse, a 150 chilometri da Tunisi, per puntare su Lampadusa.
Non è più il “Canale di Sicilia”, ormai è il “Canale della morte”. Negli ultimi anni, nelle acque territoriali italiane ed in quelle vicine, nel canale che collega il punto da dove partono i clandestini a quello dove dovrebbero arrivare, sono state censiti, ufficialmente 1.167 morti tra immigrati che tentavano di raggiungere le coste europee. E giovedì 17 marzo 2005, ancora vittime, ancora tragedie. Sei corpi sono stati recuperati nel mare di Ragusa a 16 miglia dalla costa, altri  immigrati, che si trovavano sulla stessa imbarcazione, non sono stati recuperati. A buttarli in mare sono stati gli stessi scafisti, spaventati dal passaggio di una motovedetta della Finanza. E’ questo il tragico bilancio nel Canale di Sicilia dove appena le acque si calmano un po’ riprende in grande stile il traffico dei clandestini, un traffico gestito dai mercanti d’uomini nelle coste libiche e nell’isola di Malta.
L'immigrazione dev'essere soprattutto questo spavento, per noi inimmaginabile: non riuscire più a dire di sé, avere un racconto (e che racconto) e non trovare né lingua, né orecchie, per raccontarlo. Essere all'arrivo dopo averla scampata, solo uno del mucchio, merce indesiderata.
Intuire che ogni eventuale diritto (o briciola di diritto) si regge sul concetto di persona, d’individuo, e annaspare nel numero vago e indistinto di un problema, quello dei "clandestini". Così vago e indistinto, quel numero, che mentre il Ministro dell'Interno Pisanu lancia l'allarme sul cataclisma sociale e antropologico imminente, paventando "due milioni di clandestini alle porte", il suo sottosegretario Mantovano annuncia che nei primi sei mesi di quest'anno gli sbarchi sono dimezzati rispetto al 2003, e ridotti di un quarto rispetto al 2002: da dodicimila a ottomila a tremila cinquecento. Forse i milioni diventano migliaia, e viceversa, con speciale disinvoltura, proprio quando i conti non si fanno più con le persone, con gli individui, ma con "la piaga dell'immigrazione clandestina".
Così vago e indistinto, questo numero, e così innominate le storie e le vite di quei vivi e di quei morti, che il neo-ministro delle Riforme Calderoli (uno che ogni volta che parla comunica disagio e imbarazzo) non trova di meglio, commentando questa tragedia mediterranea, che propone "nuove regole d'ingaggio" per la nostra marineria contro i navigli in arrivo, come se si stesse giocando a battaglia navale, o come fosse una guerra vera, con qualcuno che ci vuole invadere e distruggere. Le parole di Calderoli cadono, al solito, contro oggetti non identificati (roba da matti).
Ciascuno portatore muto d’incredibili storie, mezza Africa attraversata su camion sgangherati, mezzo mare scavalcato a dorso di barche pazzesche, la morte di stenti o di malattia di quello che ti respira accanto, l'arrivo in una terra della quale non sai niente, non le leggi, non la lingua, non il modo con il quale ti chiedono chi sei e dove vai.
Tanto difficile è, per gli immigrati clandestini, ritornare uomo e smettere d’essere bestiame, che alcuni di loro non sapranno mai di avercela fatta, sia pure virtualmente: per quattordici degli arrivati sulla terzultima nave, quella dei finti sudanesi, il Tribunale di Roma (nel disinteresse generale) ha dichiarato illegittima l'espulsione perfino nei termini di quella strettoia che è la legge Bossi-Fini. Avevano diritto di restare, quei quattordici, ma non lo sapranno mai perché erano già stati rimpatriati in gran fretta.
Persone pazienti, qui in Italia, erano riuscite a dare loro un nome, una nazionalità e un diritto a personam. Troppa grazia per chi è rassegnato a non contare nulla, a non raccontare nulla e non essere raccontato.
 
 
P.S. C'è un altro mondo che bussa alle porte del benessere. Un mondo di persone giovani, in età di lavoro, ma senza un'occupazione. Pronte, dunque a salire sul primo barcone rabberciato in rotta verso le coste della speranza. Da qui ai prossimi dieci anni saranno tra i 750 milioni e il miliardo i giovani (dai 16 ai 35 anni) che non troveranno lavoro nei loro paesi e che si metteranno in cammino. Sarà questo, insomma, il potenziale flusso migratorio del prossimo decennio stando ai dati forniti dalla Commissione per l'immigrazione internazionale, organismo insediato nel 2003 a Ginevra dal segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan.          


venerdì 01 aprile 2005, ore 10:29




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