da "IL CORRIERE DELLA SERA"

di Sabato 30 Settembre 2000

Arizona, un cowboy «cattura» i clandestini

di GOFFREDO BUCCINI-NEW YORK

A volte anche le mosche si tengono alla larga dal suo M-16. Quando il sole tinge di fuoco la Sierra Madre e l'aria brucia a 45 gradi sulla pelle, la nera canna del fucile automatico di Roger Barnett diventa una minaccia rovente per le zampe degli insetti e per le illusioni dei messicani che dalla Sonora salgono a nord, ubriachi di paura, polvere e sete. Roger sta di guardia, piantato a gambe larghe dietro il filo spinato che circonda il suo ranch di 22 mila acri a Douglas, contea di Cochise, cinturone di confine dell'Arizona meridionale. In cinquantasette anni di vita lui non ha mai fatto grandi differenze tra insetti e messicani. «Immondizia», mormora, accarezzando Mikey, il cane che lo accompagna a caccia. Perché Roger è un cacciatore: di clandestini. Negli ultimi due anni ne ha acciuffati, talvolta pestati, spesso sequestrati e infine consegnati all’Immigrazione quasi quattromila. Sporcano, dice. «Invadono la mia proprietà. Io pago le tasse. Sono solo un ragazzo che si difende da un’invasione». Ma, per i paranoici del Ku Klux Klan e gli altri maniaci della purezza ariana, è un eroe, un simbolo. Prima dell'estate, il 13 maggio, si sono riuniti tutti a Sierra Vista, a mezz'ora di jeep, sulla statale 90: i cavalieri del nono distretto del «Gran dragone imperiale» e i militanti di gruppi come la «Coalizione per la difesa dei confini» o «I guardiani del vicinato». Tutti a battere le mani al caro vecchio Roger: «Siamo con te! Se il governo non ferma l’invasione degli ispanici, sarà un massacro!». Lui prova a schivare: «Io non li ho visti quelli del Klan, non sono stato un razzista, finora». Finora? «Per quanto tempo una persona deve inghiottire melma prima di diventare un razzista?», chiede. E racconta ringhioso di «recinti abbattuti, bottigliette di plastica abbandonate, pannolini, stracci, lattine che rovinano i pascoli al bestiame». Sì, sono queste le misere tracce di un popolo di fantasmi che attraversa il confine ogni notte pagando ai passatori, i «coyote», 800 dollari a testa per arrivare a Phoenix. C'è chi dice siano un milione, chi 3 milioni l'anno: donne e bambini senza tetto, ragazzi senza lavoro, in fuga da bidonville ad appena tre ore di marcia, dalle «fabbriche del sudore» che a Nogales sfornano scarpe da ginnastica per le corporation americane, da una vita tirata coi denti a due dollari al giorno. Così Roger Barnett è un uomo occupatissimo. Assieme al fratello Donald e a pattuglie di «volontari» spesso in mimetica, afferra ogni mattina binocoli, cani e carabine e corre «a combattere l'invasione», inseguendo le orme di quei fantasmi spesso sopravvissuti a due giorni di deserto: «Il mio record è 174 acchiappati in un week-end ». Acchiappati? «Sì, io non li giustizio. Non sono un vigilante come dicono». Certo, c'è sempre «da ammorbidire qualcuno che prova a fare il duro...». Ma la pietà non gli è d’intralcio: «Questa non è gente affamata. Gli affamati stanno in Bangladesh o in Etiopia. Questi ai piedi portano le Nike». Corteggiato per mesi dalle tv americane, Barnett s'è fatto furbo: chiede mille dollari per un giretto guidato nella proprietà, con l’emozione della caccia compresa nel prezzo. E' diventato un caso ora che il governo messicano ha assunto a Tucson un gruppo di legali per accusarlo di rapimento e violazione dei diritti civili. L'avvocato Jesus Romo Vejar promette: «In un mese saremo pronti con la denuncia. Stiamo raccogliendo le testimonianze di quelli che sono stati aggrediti e sequestrati da Barnett, da suo fratello Donald e da altri come loro. Loro credono di essere come lo sceriffo Wyatt Earp, pensano di dover ripulire il mondo. In realtà sono molto ignoranti e molto spaventati». Le probabilità di un incidente internazionale sono cresciute da quando il nuovo presidente messicano, Vicente Fox, ha proposto a Clinton un accordo sull'immigrazione: 250 mila visti l’anno garantiti dagli Stati Uniti, per dare uno sfogo legale alla pressione sui confini, in cambio di una mano più pesante, a sud del Rio Grande, contro i trafficanti di clandestini. Roger Barnett è una spina di cactus conficcata in questa trattativa. Parla come in un film di Clint Eastwood: «Seee, può scoppiare uno stramaledetto incidente internazionale. Ben venga! I messicani sono dannati delinquenti». Da tre o quattro anni va sempre peggio da queste parti. Da quando gli agenti dell'Immigrazione hanno alzato la guardia e i reticolati a San Diego ed El Paso, il popolo dei disperati si raccoglie ad Agua Prieta, oltreconfine, e si affida ai vecchi corrieri che ripercorrono i «sentieri della cocaina» usati negli anni Ottanta. Soltanto nel corridoio che taglia le 80 miglia di frontiera della contea di Cochise, caldo e sete hanno ucciso 45 clandestini durante l'estate. Barnett, deciso a murare quel corridoio, che passa in pratica sotto le sue finestre, ama dire frasi come «se devo prendere una vita, la prenderò». Poi giura di non aver mai sparato a nessuno. Ma dai recinti dei ranch parte qualche colpo, eccome. Il raduno del 13 maggio sembra aver galvanizzato i pistoleros da Yuma fino a Laredo. Quindi il 14 maggio è stato ammazzato Eusebio de Haro, 22 anni. E una settimana dopo Angel Palafox, 20 anni, è stato ferito a fucilate da due cavalieri vestiti di nero. E' probabile che Barnett venga preso persino più sul serio di quanto pensi dai suoi stessi ammiratori. E' stato per anni vicesceriffo della contea e lo sceriffo Larry Dever è un suo vecchio amico: «Roger non fa nulla di illegale. Lui e gli altri rancher o sarebbero pazzi se non fossero pronti a difendersi da soli». Così, nel nome della legge, Bob Park, capo della «Coalizione per la difesa dei confini», aiutato dai fratelli Barnett, pianta davanti al suo ranch cartelli d'avvertimento: «Contea di Cochise, zerbino per clandestini e spacciatori messicani: ora basta!». La contea è cambiata infatti, ora sa di trincea: nel '94 gli agenti di frontiera a Douglas erano 58, adesso sono 450. Cinque anni fa molti ranchero ospitavano spesso per una notte o due le famiglie messicane di passaggio, ora i poliziotti minacciano d’arresto chi offre a un clandestino una borraccia d’acqua. E, finché il Messico sarà solo un serbatoio di braccia sottocosto per le corporation , Roger avrà guerra e fama garantite. I «coyote» di Agua Prieta hanno messo perfino 10 mila dollari di taglia sulla sua testa: «Per questo ho sempre un’arma con me». Tuttavia non ci sono armi sufficienti a proteggerlo dalle centinaia di ragazzi, punk, studenti, giovani cattolici, di Tucson e di Nogales, che già a fine maggio si sono riuniti lungo il confine per prendere a pernacchie i razzisti, bruciare uniformi dell'Immigrazione, ripulire i ranch da cartacce e lattine. Gli stessi ragazzi che torneranno a dicembre, a manifestare per i diritti civili, e che intanto continuano a dare da bere agli assetati in barba agli sbirri: «Se una legge è cattiva devi seguire il cuore». Loro, forse, potrebbero provare a dirglielo, al vecchio Barnett, di non fare più lo stupido: perché la fisima di bloccare con un fucile milioni di paria in marcia verso la speranza, in fondo, non è poi così diversa dall’idea di arginare un’alluvione con un tappo. G