da "La Repubblica"

del 10/08/00

LE ARMI E LA RAGIONE

di MIRIAM MAFAI

L'IMMIGRAZIONE non è più una novità, un imprevisto nel nostro paese. Ma ogni giorno ci scuote, ci commuove, ci indigna o ci spaventa a seconda che vengano scaricati dei disgraziati in cerca di asilo politico, delle ragazze destinate al mercato del sesso, dei giovani che alimenteranno i circuiti della criminalità controllati dalle nostre mafie. O che dei clandestini, come è successo ieri, e non per la prima volta, vengano gettati a mare e lasciati affogare da scafisti senza scrupoli. Il fenomeno è ormai in atto da anni. I PRIMI a sbarcare da clandestini furono i miserabili che dai paesi più poveri del Mediterraneo, sedotti dalle immagini della nostra televisione venivano qui a cercare lavoro e fortuna. Molti di loro hanno trovato da noi, se non fortuna, certamente un lavoro. Parlano ormai la nostra lingua, hanno regolari documenti, assistono i nostri figli o i nostri vecchi, lavorano nelle nostre fabbriche a fianco di operai veneti o bresciani, pagano le tasse e ogni mese mandano a casa loro una parte del proprio salario, proprio come facevano una volta i nostri emigrati dal Venezuela, Brasile o Argentina. Questi immigrati della prima ondata fanno parte ormai della nostra vita del nostro paesaggio quotidiano. Non tutti gli immigrati sono uguali dunque. C'è chi lavora e chi delinque, chi fa la prostituta e chi l'infermiera. È una banalità, ma forse occorre ripeterla e tenerla presente quando scatta improvviso dentro di noi quel cieco sentimento di insofferenza e di ripulsa che due giorni fa ha spinto un imprenditore di Brescia a sparare contro un ladruncolo albanese di dodici anni e un muratore di Pavia a malmenare, fino a fratturargli un polso, il piccolo marocchino che pretendeva insistentemente di vendergli dei fazzolettini di carta. Non tutti gli immigrati sono uguali. Eppure ogni volta di fronte a un nuovo sbarco di clandestini ognuno di noi dimentica l'immigrato che gli vive accanto, e con il quale ha normali rapporti di scambio e convivenza, per vedere nei nuovi arrivati soltanto un pericolo, un nemico. L'immigrazione clandestina ha questo di oscuro, inquietante: risveglia in ognuno di noi, anche il più civile, un sentimento di incertezza e di paura, rischiando di trasformare ogni normale Dottor Jekyll in un Mister Hyde, pronto non dico a metter mano alla pistola, come pure è accaduto, ma a chiedere non si sa bene quali dure e feroci misure repressive. Siamo tutti, di fronte a questo fenomeno, un po' schizofrenici: pronti a commuoverci giustamente davanti agli occhi smarriti dei bambini curdi fortunatamente sbarcati o meglio gettati sulle nostre coste e subito dopo pronti a chiedere che vengano ributtati a mare (non i bambini, magari, ma i loro padri perseguitati dal regime turco, perché no?). In tema di sicurezza e di immigrazione (i due problemi spesso appaiono sovrapposti) soffriamo tutti di una singolare distorta visione della realtà. Siamo convinti di vivere in un paese insicuro, in una sorta di Bronx tra aggressioni e delitti. Le cifre ufficiali dicono che non è così che Roma o Milano, per non parlare di Modena o Terni, sono assai più sicure di Berlino o New York. Ma la nostra percezione della realtà è più forte dei dati concreti. Le cifre non sono sufficienti a placare la nostra paura, che è la paura di un paese che invecchia e che conserva, almeno in alcune piccole città, la memoria o la nostalgia di un tempo nel quale pare fosse possibile uscire di casa lasciando la chiave nella toppa. Le cifre ufficiali non ci rassicurano, non ci rassicura nemmeno l' aumentata presenza della polizia sulle nostre strade. Ci sentiamo in pericolo. Qualcuno ci ha detto, quando eravamo bambini, che l' "uomo nero" è il pericolo e questa paura riemerge oggi in noi adulti invecchiati anche quando un uomo o una donna di colore ci assiste o assiste una persona che ci è cara. Questa nostra schizofrenia viene alimentata purtroppo da una analoga più grave schizofrenia delle nostre classi dirigenti. Tipico il caso del nostro padronato che da una parte chiede al governo di consentire l'ingresso di nuovi immigrati di cui le aziende piccole e medie hanno bisogno e che dall' altra si guarda bene dal contrastare la violenta campagna xenofoba della Lega. Ma altrettanto privi di coerenza appaiono anche le dichiarazioni e i comportamenti di molti nostri uomini politici, anche di quelli della maggioranza e che ricoprono incarichi di grande responsabilità. Mi chiedo ad esempio che senso abbia l'invito del presidente della Commissione Antimafia onorevole Lumia a "sparare agli scafisti". Chi dovrebbe sparare? Quando? In quali condizioni? Ammettiamo anche che il trasporto di clandestini possa, debba essere equiparato al reato di mafia. Sarà dunque lecito sparare a vista sul mafioso? Davvero è questa, "sparare a vista", l'indicazione, la rassicurazione che si intende offrire ad una opinione pubblica allarmata anche oltre misura per il fenomeno dell'immigrazione? Per fortuna il ministro Bianco ha ridimensionato i propositi dell'onorevole Lumia dando prova così di un maggiore senso di responsabilità, ma dando prova anche di quanto sia divisa, incerta e a suo modo schizofrenica, non solo la nostra pubblica opinione, ma anche la nostra classe dirigente.