Mercoledì 27 Ottobre 2004 - il messaggero

La storia
Il giudice: il clandestino deve accudire il figlio «È papà, non va espulso»
di ITALO CARMIGNANI DANIEL

ha trent'anni, arriva dall'Ecuador e per lo Stato italiano non esiste. Ma il suo ingresso nella storia è sicuro, perché è il primo clandestino per "giusta causa", il primo irregolare motivato, il primo chicano praticamente indispensabile. L'ha stabilito un giudice folignate pronto a revocare il suo arresto per la violazione della Bossi-Fini: è la prima volta che accade per motivi familiari e affettivi. Mentre l'arrivo di altri disperati s'infrange contro la dura legge dell'espulsione, lui, un lavoro e una casa a Perugia (per ora), può restare. Perché Daniel ha un figlio, cinque anni a marzo, occhi neri, sempre in movimento, nato sul suolo italiano da madre ecuadoregna, disoccupata e sempre in fuga. E un figlio, si sa, da qualcuno va cresciuto. Meglio se da un genitore. Passo indietro per la storia. Daniel era stato fermato durante un controllo di routine. Niente documenti? Male, lei deve essere espulso. Ma lui rimase perché aveva un motivo forte per disubbidire. Mesi dopo il primo fermo, è stato di nuovo sorpreso, stavolta in treno a Foligno, mentre tornava a casa dal cantiere in cui lavora come piastrellista. Non ha rispettato l'epulsione? Arresto immediato. Ma il carcere dura poco. I suoi difensori, gli avvocati Decio Barili e Claudio Caparvi, sostengono subito che non aveva lasciato il paese per un compito importante: Daniel è il solo in grado di mantenere il suo bimbo, l'unico cittadino italiano della sua famiglia. Chiede e ottiene di essere giudicato con il rito abbreviato, davanti al giudice unico di Foligno. E quest'ultimo accoglie la teoria dell'avvocato: il figlio è italiano, il papà può e deve provvedere al suo mantenimento, quindi il fatto non sussiste. I legali avevano sottolineato che la famiglia del suo assistito «è perfettamente inserita nel tessuto culturale italiano». Quindi hanno spiegato al giudice che il papà ha «la ferma volontà di far crescere e maturare il figlio in Italia per non fargli fare la sua vita e quella di sua madre». La sua permanenza è quindi giustificata. Daniel ha vinto, ma è solo il primo round della sua battaglia per restare in Italia. «Il mio assistito aggiunge l'avvocato potrebbe essere ora nuovamente arrestato e sottoposto a un altro procedimento». Perché la giustizia si è occupata del singolo arresto, non dell'intera vicenda che ha, ovviamente, un futuro. In queste ore comunque saranno avviate le pratiche per la regolarizzazione, facendo soprattutto riferimento a una recente sentenza della Corte di giustizia europea. «Questa stabilisce spiega ancora Barili che tutti i cittadini europei hanno il diritto di essere assistiti da un parente che, nel caso extracomunitario clandestino, ha diritto di vedersi riconosciuto un permesso di soggiorno a tempo indeterminato che gli consenta di far fronte al proprio potere-dovere di assistenza al congiunto cittadino europeo, specie se minore come nel caso che ci riguarda». E Daniel? «Se ho trovato un giudice comprensivo e giusto, forse potrò trovare anche un imprenditore che mi metta in regola. Voglio lavorare e dare una vita decente a mio figlio. Non il mio destino di fuggitivo».