da La Repubblica

del 20 luglio 2000

La tratta dei cinquemila cinesi

Sgominate tre bande. Un'accusa terribile: traffico di organi

di MAURO MANZIN -

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TRIESTE - Per l'Angelo della tratta dei clandestini cinesi si sono spalancate le porte dell'inferno. Xu Bailing - alias lo "zio" o meglio "l'angelo" - 44 anni, di Trieste è stato arrestato su ordine di cattura della Divisione distrettuale antimafia di Trieste. I poliziotti lo hanno fermato mentre a bordo di una Mercedes nera era diretto all'aeroporto di Ronchi dei Legionari assieme alla sua amante cinese. La donna aveva una ventiquattrore piena di dollari. Assieme a Bailing sono finite in carcere altre quaranta persone, in maggioranza cinesi, ma anche italiani, sloveni, croati e jugoslavi, mentre altre venti sono ancora latitanti. A loro carico vengono ipotizzati i reati di associazione per delinquere, sequestro di persona a scopo di estorsione e favoreggiamento aggravato dell'immigrazione clandestina. Sono questi gli esiti dell'operazione "Oriente 1" che ha visto all'opera nelle scorse ore le questure di una quindicina di città italiane affiancate dagli agenti del servizio centrale operativo di polizia. Nelle stesse ore in Campania e in Puglia era in corso una maxi retata contro gli schiavisti delle prostitute. A Napoli sono state fermate 90 extracomunitarie, in massima parte nigeriane e solo alcune provenienti dal Ghana e dalla Sierra Leone. In serata 50 di loro sono state rimpatriate con un aereo militare. Nell'operazione "Oriente 1", invece sono state sgominate tre organizzazioni criminali che operavano nel traffico internazionale di immigrati clandestini cinesi, capeggiate dal boss Bailing e da due latitanti croati. Un'attività criminale che rendeva qualcosa come 130 miliardi di lire all' anno e che è riuscita a introdurre in Italia circa cinquemila clandestini dell'Estremo Oriente in poco più di nove mesi. E su tutto aleggia lo spettro di un traffico di organi. Secondo il procuratore distrettuale antimafia di Trieste Nicola Maria Pace esistono "segnali labili, ma significativi" di questo inquietante traffico. Se ne sta occupando anche la procura di Bari. "Dall'inchiesta è emerso con chiarezza - spiega Pace - che ci sono dei "carichi speciali", clandestini portatori di una sorta di valore aggiunto". Se, infatti, il prezzo medio pagato alle organizzazioni scoperte per l'ingresso clandestino in Italia via Friuli Venezia Giulia è di 25-30 milioni, per alcuni "clandestini speciali" questa cifra sale in maniera sensibile. L'ipotesi su cui stanno lavorando i magistrati triestini e baresi è quella del prelievo di più organi con la soppressione del clandestino. "Se la persona dev'essere soppressa - afferma Pace - non servono grandi strutture, basta un magazzino dotato di refrigeratori e due o tre operatori. Però queste sono solo ipotesi di lavoro". Il "clan dei cinesi" faceva partire i suoi "clienti" con voli di linea da Pechino verso l'Ucraina (Kiev era uno dei centri di smistamento) o verso la Jugoslavia (a Belgrado vive una colonia di sedicimila cinesi). Da lì, su camion, nascosti nei doppifondi, i clandestini iniziavano il viaggio verso l'Italia, passando per Ungheria e Slovenia o Croazia. Questa fase era gestita da organizzazioni criminali "minori" capitanate da boss locali con base a Lubiana o sulla costa adriatica croata. Poi, una volta giunti in Italia (via terra sul Carso o via mare a bordo di veloci motoscafi), gli immigrati tornavano nelle mani dei cinesi che li tenevano sequestrati e per il loro rilascio esigevano il pagamento del prezzo per il "viaggio" (dai 26 ai 31 milioni di lire). I carcerieri erano crudeli e, come si è appreso da molte intercettazioni telefoniche e dalla testimonianza di alcuni pentiti, i pestaggi e le torture per "agevolare" le riscossioni erano all'ordine del giorno. Il gioco preferito dagli aguzzini cinesi era quello del toro. Due clandestini erano costretti a prendersi a testate mentre le loro urla di dolore venivano registrate e successivamente fatte sentire a parenti e amici per pretendere il pagamento. La polizia ha fatto irruzione in alcune di queste "prigioni" a Bologna, Monza, Genova e Bergamo, liberando in tutto una quarantina di clandestini.