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Da La repubblica del 12 Agosto 2000

CHINATOWN BELGRADO

di GUIDO RAMPOLDI

 

SE HA ragione Dragan Veselinov, deputato serbo dell'opposizione, i cinquantamila cinesi che l'Italia vede in arrivo sarebbero appena l'avanguardia dell'esercito migrante, la schiuma di un'onda oceanica che dopo aver viaggiato per ottomila chilometri si abbatterà sulle nostre coste. Milosevic, ci diceva quest'inverno Veselinov, ha concluso un accordo segreto con Pechino per trecentomila permessi di soggiorno. ORA: neppure il più spiantato cittadino cinese può trovarsi a suo agio nella patria di Milosevic, dove all'incirca la metà della popolazione è disoccupata, uno stipendio medio non arriva all'equivalente di centomila lire, e la polizia è più violenta e rapace verso gli stranieri poveri di quanto lo siano, talvolta, le polizie dell'Unione europea. Se dunque crediamo a Veselinov possiamo immaginare il seguito: gli emigranti si sposteranno alla spicciolata verso le coste adriatiche e da lì saranno traghettati in Italia dagli scafisti albanesi e montenegrini. E' questa la prospettiva? L'opposizione serba spesso spara a casaccio (ma qualche volta indovina) e le autorità italiane hanno una certa abitudine nel prendere lucciole per lanterne. Tre anni fa avvistarono navi che facevano rotta sulla Sicilia con immensi carichi umani, diecimila, ventimila, centomila fuggiaschi curdi! Per giorni i telegiornali scutarono un mare vuoto. Ma la flotta degli invasori sembrò dissolversi in Egeo: come il vascello- fantasma dell'Olonese volante, che ogni tanto appariva dalle parti del Capo di Buona Speranza. Però due circostanze fanno sospettare che stavolta non siamo nella nostra Fortezza Bastiani, affacciati su deserto da cui i Tartari mai arriveranno. In primo luogo, la Cina ha cominciato ad affrontare, nel suo stile, la questione cruciale della ristrutturazione delle imprese pubbliche. Notizie arrivate a Pechino raccontano di manifestazioni operaie represse dall'esercito con il metodo Bava Beccaris: massacrando i dimostranti. Stime per difetto valutano in cento milioni i lavoratori che sono stati o saranno licenziati. Cento milioni: se solo l'uno per cento decide che l'azzardo di un viaggio clandestino è comunque preferibile alla miseria e alle fucilate, un milione cercherà una strada che porti ai margini delle economie ricche. Una delle poche strade effettivamente agibili, comunque l'unica che conduca in Europa - e questa è la seconda circostanza -, è ufficialmente aperta e passa per la Serbia. Milosevic ha schiuso le porte dopo la guerra del Kosovo. Chi gli attribuisce un'astuzia diabolica può attribuirgli il calcolo di ricattare l'Europa premunendosi di una massa d'urto, l'emigrazione cinese. Più probabile che il presidente jugoslavo contasse su un ingresso di valuta. E sul valore simbolico della presenza straniera. Infatti il regime assicura che è nato l'asse Belgrado-Pechino, perno del Nuovo Blocco e bastione contro il Nuovo Imperialismo, quello umanitario dell'Occidente. Ora la nomenklatura cena al ristorante "Grande Cina", una chiatta a due piani attraccata su una riva della Sava, con ghirlande di lampadine che pendono lungo la fiancata. Dalla Grande Serbia al "Grande Cina", dall'ardito progetto di divorare due terzi dell'ex Jugoslavia al mesto spiluccare involtini Primavera in un ristorante dove tutto ha sapore di pollo fritto: non è un gran tragitto, ma la nomenklatura adesso può consolarsi col Nuovo Blocco, il Nuovo Asse, e il vecchio Mao-tse-tung che da un ritratto sorride agli avventori del "Grande Cina", come divertito da questo ritorno in un'Europa dove ogni traccia del suo culto pareva sparita. Così sono arrivati i cinesi. Quest'inverno ne risultavano ottomila al signor Shen Hog, segretario dell'associazione dei cinesi in Jugoslavia. Di questi ottomila, spiegava, la metà si è trasferita nel Montenegro. Le belle montagne montenegrine offrono le stesse opportunità di lavoro di Timbuctù, ma giù sulla costa, attraccati al molo della piccola marina di Bar tra yacht di provenienza misteriosa, ci sono i motoscafi dei contrabbandieri. E c'è l'Adriatico, largo e vuoto come un'autostrada all'alba. Gli altri quattromila cinesi, se stiamo ai numeri del signor Shen Hog, erano rimasti in Serbia, quasi tutti nella capitale. Si sono concentrati nel centro commerciale del Blocco 70, un complesso verde rinonimato "Chinatown". Attruppati negli stessi casermoni, hanno ricostituito a Belgrado il paese di Qing Tihn, da cui la maggioranza proviene. Nel piano- terra del centro commerciale, se si può chiamare così quel piccolo bazar belgradese, vendono scarpe di plastica e tessili importati dalla Cina via Salonicco. I meno fortunati hanno cercato uno spazio nel mercato all'aperto lì vicino, dove i pensionati serbi vendono le suppellettili di casa, l'orologio, l'accendino. I cinesi raccontavano di aver pagato sui 5000 dollari per arrivare a Belgrado. Va da sé che nessuno investe tutti i propri risparmi per ritrovarsi a competere con i pensionati più poveri d'Europa. La meta finale del viaggio, per molti, deve essere un'altra. Come si chiude, se questo è il problema, l'autostrada adriatica Belgrado-Italia? Cacciando Milosevic, ovviamente: ma questo al momento non sembra alla portata degli occidentali e della loro immaginazione. Qualcuno in Montenegro ci domandava se l'Italia disponesse di un servizio segreto: perché un servizio segreto appena efficiente, si suggeriva, nello spazio di una notte avrebbe affondato in rada tutta la flotta dei Pirati della Costa, da Bar a Valona. Da profani troviamo l'idea suggestiva. Forse non sarà corretto sul piano internazionale, ma a questo servono i servizi segreti; e dopotutto, affondare illegalmente natanti alla fonda è sempre meglio che sparare legalmente su piloti adolescenti, come propone qualcuno. Ma poichè alla fine la grande chiacchiera agostana porterà a poco, se davvero i cinesi sono in arrivo prepariamoci all'inevitabile, almeno mentalmente. In Serbia sono detestati da molti. Dai nazionalisti, perché non sono ariani. Dai tassisti, perché mangiano aglio. Dai commercianti, perché concorrenti. La polizia li taglieggia. Figlie del pregiudizio, le leggende più bizzarre li condannano collettivamente: si giura che vendano medicine scadute, cinesi, intossicando i belgradesi. Poiché un po' di tutto questo accade anche in casa nostra con gli extra-comunitari, cerchiamo di tenere a mente che l'Italia, dopotutto, non è la Serbia di Milosevic.