da La Repubblica

del 13 Luglio

Schiavitù sessuale non basta il codice

di LUCIANO VIOLANTE

CARO direttore, molti dibattiti, in questi giorni, rischiano di ripetere un modello che vede come unica soluzione dei problemi o la repressione o l'indulgenza. Così è stato per le carceri, per l'immigrazione e per la prostituzione; così, sia pure con minore intensità, per l'emersione del lavoro nero e per i morti sul lavoro. Il governo di grandi questioni sociali si riduce ad un puro problema normativo. O perché di fronte a probelmi complessi si rifiuta la fatica del capire e si preferisce utilizzare l'alternativa punizione-indulgenza come criterio dominante di interpretazione della realtà. O PERCHE' di fronte a qualsiasi fenomeno che desti preoccupazione si chiede una regola giuridica, con la promessa di un premio o la minaccia di una punizione, ritenendo che esse bastino per indurre comportamenti virtuosi. Io stesso sono stato oggetto di queste strozzature, quando alcuni titoli di quotidiani nella giornata di ieri mi hanno attribuito l'intenzione di voler punire i clienti delle prostitute come gli sfruttatori, intenzione che non ho mai manifestato. Ho invece detto che chi usa sessualmente la ragazza schiavizzata tiene un comportamento analogo e complementare rispetto a quello dello sfruttatore ed è pertanto uguale allo sfruttatore. Questa parificazione tra cliente e sfruttatore si misura a mio avviso non alla luce del codice penale, che mi sono guardato bene dal richiamare, ma nei confronti di una regola civile e di un costume morale, parametri che vengono prima delle misure coercitive. Tuttavia è scattata l'altra equiparazione, quella penale. Anche questo caso mi sembra frutto di una visione non laica della realtà, che va ben oltre la piccola vicenda che mi riguarda. Contrappongo una visione laica ad una visione ideologica. La visione laica esamina il reale per quello che è, ne coglie la complessità, riflette sulle cause degli accadimenti, lo valuta sulla base del principio di responsabilità e del primato della dignità umana. La visione laica non è meccanicistica e non si risolve, nella seminagione del dubbio. La visione laica si sforza di capire le cause dei fenomeni e di incidere su di esse. La visione laica ha fiducia nell'uomo e crede che la pedagogia valga più della coercizione. La visione laica non crede nella punizione come medicina del mondo, ma la connette al principio di responsabilità individuale come fondamento della convivenza civile. La visione ideologica parte invece da parametri precostituiti per costringere tutto il reale dentro quei modelli. La visione ideologica demoniza o angelizza, reprime o perdona. Sono facce della stessa medaglia che si fondano su una interpretazione del reale che prescinde da esso perché se ne disinteressa, essendo interessata ad altro: il rapporto amico-nemico, l'acquisizione del consenso o la conquista di fette di mercato. La politica, nelle sue fasi di debolezza, sposa l'interpretazione ideologica del reale. Una parte del dibattito sull'amnistia, ad esempio, si è imperniato sulla distorsione delle parole di Giovanni Paolo II e su un atteggiamento politico che cercava la sua legittimazione non nei principi propri della politica, quali la responsabilità, il buon governo, l'equilibrio tra le ragioni dei detenuti e quelle delle vittime del reato, ma nella pretesa vicinanza al messaggio papale, quasi che esso fosse una rivendicazione sindacale rivolta ad un preciso destinatario e non una richiesta a tutti i governanti di trattamenti umani e diretti al reinserimento sociale dei condannati, avanzata da una delle più alte autorità morali del pianeta. Forse è il caso di ribadire che la politica trae la sua legittimazione non dalla vicinanza, vera o presunta, alle sedi non politiche, per quanto altissime, ma dalla capacità di risolvere i problemi e di indicare ai cittadini, nel rispetto della verità, obiettivi civili e traguardi ideali. La politica dev'essere laica; altrimenti è una scimmiottatura della guerra o, peggio, è un gioco cretino e pericoloso. L'autore è presidente della Camera