da " La Stampa"

Case chiuse benedette

di Massimo Gramellini

I Gesuiti riaprono le case chiuse. Naturalmente lo fanno da Gesuiti, cioè con un linguaggio felpato che indugia sui vocaboli come un quadro sui chiaroscuri. «Orientare l’esercizio della prostituzione in luoghi più protetti che non la strada», suggeriscono quei maestri dell’allusione sulla rivista «Civiltà Cattolica», che non stampa un sospiro senza il timbro del Vaticano. Inutile cercare di risolvere il quiz gesuitico, avventurandosi in improbabili elenchi di luoghi «più protetti che non la strada»: ogni luogo lo è per antonomasia, dalla stanza del capufficio alla vetrina di un porno shop. Tanto più che la vicenda delle case chiuse è una di quelle eterne dispute da bar in cui si esercita da quarant’anni l’immobilismo parolaio degli italiani, costituzionalmente incapaci di trasformare i conflitti di principio in decisioni reali. Il regalo di Natale i Gesuiti non lo fanno alle schiave del sesso, che in nessuna casa saranno mai libere di amministrare il proprio corpo in modo autonomo. Lo fanno alla Chiesa, la quale nell’anno del Giubileo sembrava aver sottovalutato che l’uomo moderno è troppo confuso per non aver sete, oltre che di spiritualità, anche di buon senso. Quello che porta a diffidare dei proibizionismi inapplicabili e a desiderare soluzioni che, come le case chiuse e i preservativi, riducano al minimo i danni delle debolezze umane.