INDISPENSABILI ALL’ECONOMIA IMMIGRATI, UNA TERAPIA D’URGENZA

di Tito Boeri
da La Stampa del 13/10/2003

E’ stata bollata come «intempestiva» e «politicamente non conveniente». Ma la proposta di Fini e Follini di permettere anche ai residenti extracomunitari il voto alle elezioni amministrative e di abolire le quote all’ingresso di immigrati nel nostro paese coglie un problema urgente e può avere un ritorno elettorale già alle elezioni del 2005. Vediamo perché. Innanzitutto, il nostro paese non può sperare di agganciare la ripresa mondiale senza accogliere più immigrati. Serviranno a colmare le carenze di manodopera nel Nord-Est, nel turismo e in agricoltura. Più in generale, l’immigrazione è indispensabile per far crescere un paese in declino demografico e con forti squilibri regionali. Dato che la produttività ristagna e che l’aumento della partecipazione femminile è un processo molto lungo, mentre la riforma delle pensioni è annunciata per il 2008, saranno soprattutto gli immigrati a far crescere l’Italia nel 2004. Operano nelle regioni in cui la produttività del lavoro è più alta e la durata della disoccupazione più bassa. Per questo gli immigrati sono in media più produttivi degli italiani: già oggi quel 6 per cento di forza lavoro immigrata contribuisce alla formazione di più del 6 per cento del nostro pil. Se regolarizzata rapidamente, questa forza lavoro può essere di grande aiuto anche nel migliorare i conti pubblici. In secondo luogo, a maggio 2004 entreranno nell’Ue dieci nuovi paesi con livelli di reddito pro capite nettamente (fino al 70 per cento) più bassi del nostro. Questo comporterà flussi migratori da Est a Ovest. Gli attuali membri dell'Unione possono unilateralmente stabilire quote di ingresso nei confronti dei cittadini dei nuovi Stati membri dell’Ue per un periodo «transitorio» di (al massimo) sette anni. Austria e Germania, i paesi dove risiede l’80 per cento degli esteuropei emigrati a Ovest, hanno deciso di imporre quote per chi proviene dai nuovi Stati membri. Gli altri paesi ai confini orientali dell’Unione, fra cui l’Italia, non hanno ancora preso decisioni. Se l’Italia aprisse fin da subito le frontiere, riuscirebbe ad attrarre manodopera qualificata e facilmente assimilabile. Darebbe anche un segnale importante, come presidente di turno dell’Unione, agli altri paesi che non hanno ancora scelto se utilizzare il «periodo transitorio». Questi immigrati saranno a tutti gli effetti cittadini europei. Quindi potranno, con le normative già oggi vigenti, votare alle amministrative. Chi offre segnali di apertura verso il diritto di voto è destinato a raccogliere favori in questa crescente platea, che comunque voterà già alle amministrative del 2005. Questo potenziale bottino elettorale è un altro motivo di tempestività dell’iniziativa di Fini e Follini. Non sarà «nel programma della Casa delle Libertà», ma è sicuramente un bel «portarsi avanti col programma»! Rimane da chiedersi se abolire tout-court le quote - imponendo semplicemente a tutti di avere un lavoro - sia la strada giusta. Il vero problema è che le quote sono state di fatto azzerate dopo la sanatoria del 2002. Forse basterebbe avere quote più realistiche per graduare l’immigrazione senza costi eccessivi per il nostro sistema produttivo. Mentre il requisito di avere un lavoro stabile per poter risiedere legalmente nel nostro paese, se applicato in modo troppo restrittivo, può essere molto costoso. Gli immigrati cambiano lavoro in media due volte all’anno, passando anche attraverso periodi di disoccupazione. Imporre loro di rimanere a lungo con lo stesso datore di lavoro (come avviene di fatto con la Bossi-Fini ed è richiesto per le procedure di regolarizzazione) ha costi elevati per le imprese. E per gli stessi immigrati quando, non potendo ottemperare a queste normative, sono costretti a lavorare in nero.