IMMIGRATI
La politica dell'annuncio e i problemi da risolvere
di FURIO COLOMBO
da "La repubblica" del 3 Agosto 2000

Da una parte all'altra del mondo si scambiano storie drammatiche allo stesso modo con cui un tempo si scambiavano barzellette. Sentite questa. Gli allevatori di bestiame dell'Arizona sono in rivolta (New York Times, 18 giugno) perché ogni notte migliaia di clandestini attraversano i pascoli, per entrare negli Stati Uniti. Hanno detto al giornale: "Non possiamo sparare perché i "chicanos" (termine spregiativo per messicani) spingono avanti i bambini". Spiega il giornale: non sparano anche perché molti di quei clandestini, nei mesi o nelle settimane seguenti, diventano manodopera indispensabile per quegli allevatori. Prigioni. Sentite questa. "Si è trovata finalmente una soluzione per il sovraffollamento delle prigioni: detenuti più piccoli". È il titolo di un'intera pagina a pagamento pubblicata dalla American Civil Liberty Union sulla rivista settimanale del New York Times (10 luglio). È una denuncia dell'abitudine ormai invalsa in molti Stati americani di mettere bambini arrestati nelle stesse celle dei criminali adulti. A volte i crimini commessi dai piccoli sono terribili. Affidarli alla convivenza con i criminali adulti appare un gesto di forza che dovrebbe rassicurare i cittadini. La pagina a pagamento del giornale americano racconta che cosa succede, in realtà, nelle celle in cui piccoli detenuti e grandi criminali sono condannati a vivere insieme. Sicurezza. La famosa "tolleranza zero" del sindaco Giuliani di New York ha fatto il giro del mondo. La spirale della criminalità newyorkese (e americana) era diminuita. Grazie alle prigioni dure e piene, si diceva. Ci si era dimenticati di verificare la curva anagrafica. Per due o tre anni, una generazione un po' più esigua di nuovi giovani aveva fatto irruzione sulla scena. Meno giovani, meno gang, meno nuove reclute del crimine erratico delle strade. Improvvisamente, da gennaio, la criminalità occasionale ha ripreso a salire. Cinquantasette aggressioni a giovani donne in una sola domenica di giugno nel Central Park di New York, dodici omicidi in un solo fine settimana, nella città di Giuliani. Giorni fa, l'uccisione della nipotina del capo della polizia di Los Angeles (gli assalitori miravano a un suo coetaneo, seduto in macchina accanto a lei) ha fatto notare agli americani che le gang giovanili di quella città si sono all'improvviso ripresi i quartieri che si credevano bonificati. Ho usato alcuni esempi americani non per dire che tutto il mondo è paese, ma piuttosto che tutti i paesi, ricchi e industriali, si confrontano con gli stessi problemi, che quei problemi sono maledettamente complicati e sfuggono al tocco magico del "ti faccio vedere io come si fa". Diceva bene John Kennedy, in un momento cupo e rischioso della storia del mondo: "Ogni problema umano può essere risolto dagli esseri umani". Vero. Ma ci vuole pazienza. Occorre conoscere e far conoscere la complessità dei problemi. È necessario per chi governa, per chi fa opposizione, per chi aspetta una soluzione. Ma i cittadini della parte ricca e produttiva del mondo vivono nella continua oscillazione fra il senso di impotenza (che porta ai cattivi consigli, a cercare e blandire l'uomo forte, come fanno i nuovi amici leghisti di Haider) e la promessa di soluzione istantanea, una sola frase per un intero problema e l'affermazione che adesso, finalmente, la risposta c'è. Salvo ricadere in un senso anche peggiore di frustrazione dopo aver constatato che non è accaduto nulla. STUPISCE che la politica dell'annuncio, privo di realismo, di ambientazione, di cautela, sia praticata da persone competenti e certamente in grado di conoscere e spiegare la complessità del problema. Non stupisce più, ma è tuttora un fatto unico rispetto a tutti gli altri paesi, che ogni problema, debitamente semplificato, sia regolarmente commentato in sequenza da tutti i rappresentanti delle "forze politiche", indipendentemente dalla loro competenza, ciascuno su tutto. Segue poi, per ogni decisione, da quella di natura morale, alla proposta tecnica, un "secco no" dell'opposizione (cito l'espressione rituale ormai usata dai telegiornali) a cui segue qualche parola offensiva che non spiega, non chiarisce, non rimuove la semplificazione, non aggiunge luce o notizie. Tutto si risolve in un problema di comunicazione? La comunicazione conta. Ma il problema (o il modo di affrontarlo) viene prima. È nella determinazione di accettare la difficoltà immensa di affrontare e risolvere certe situazioni, di sciogliere certi nodi, dove quasi mai esiste un solo lato giusto e un solo lato sbagliato e dove quasi ciascuna questione da risolvere si aggancia con un'altra che la contraddice, che rovescia la percezione dello stesso problema. È evidente che la responsabilità della semplificazione resta con chi descrive il nodo da districare e fa credere che la sua soluzione sia elementare. È una gara non esemplare fra chi governa, e annuncia che la risposta è arrivata, tutta in una volta e con un unico gesto. E chi si oppone ma non spiega la complessità della questione da risolvere. Invece la proclama ancora più semplice, tanto che se fosse lì (al governo) l'avrebbe già bella e liquidata. UN buon esempio è l'improvvisa urgenza di avere nuovi immigrati nella nostra penisola. L'industria italiana ne ha di colpo bisogno, ma non ci viene detto quando, dove, perché, in quale misura e come mai non ne siamo stati informati prima. La risposta sembra essere: allarghiamo subito le maglie, senza precisare quali maglie, in base a quale conteggio, con quale rapporto rispetto alla non esistente disoccupazione italiana. Invece di chiarire la questione del flusso, che è risolvibile ma immensamente complicata, si passa a discutere improvvisamente della costruzione di nuove case per gli immigrati, senza avere alcuno spunto di risposta al nodo di questioni dell'altro gruppo (lavoro, disoccupazione, immigrati). Oppure si dichiara perentoriamente che "chi vuole lavorare può entrare. Ma chi ha intenzione di delinquere va fermato alla frontiera e rispedito a casa" (onorevole Gasparri, Tg2 del 13 luglio). Ottima soluzione, ma sarebbe meglio definire le modalità del singolare accertamento. Oppure ancora si conclude che "altri paesi hanno norme adeguate", senza mai precisare quali paesi, dove, e se quelle norme funzionano e perché sono esemplari. Spingere l'opinione pubblica a credere che un problema sia semplice vuol dire provocare delusione e risentimento, come dovrebbe ricordare anche chi sta all'opposizione. Non solo, ovviamente, non porta alla magica soluzione promessa. Ma impedisce anche di iniziare la lunga marcia che quasi tutti i problemi richiedono per arrivare almeno a risultati parziali. Questo vorebbe dire un contatto aperto con l'opinione pubblica, un continuo dialogo, la possibilità di ascoltare la voce dei cittadini e di rispondere, da adulti, sapendo che non sempre la chiarezza è consolante. Ma alla lunga produce fiducia, che è ingrediente indispensabile del governare democratico: so che hai visto il problema, so che è complicato, so che ci vuole tempo, so che ci arriveremo. So che non mi abbandoni.