L'associazionismo immigrato a Torino

 

  1. L'associazionismo immigrato a Torino

  2. Le origini

  3. Associazionismo e politica

  4. L'associazione universalistica

  5. Associazioni di provenienza

  6. Senegal

  7. Somalia

  8. Cina

  9. Perù

  10. Marocco

  11. Romania

  12. Associazioni religiose

  13. Associazioni di genere

 

 

1 L'associazionismo immigrato a Torino

 La storia delle associazioni degli immigrati stranieri è piuttosto complessa e di non facile ricostruzione. Del resto anche l’immigrazione interna ha dato vita ad associazioni numerose per provenienza e ad una adesione molto attiva alle associazioni e ai movimenti generali.

Tra gli immigrati sono meno frequenti che tra gli autoctoni i gruppi famigliari completi, le reti di famiglie, le conoscenze di quartiere: perciò la tendenza ad associarsi tra coetanei e per motivi pubblici, oltre che per motivi legati all’attività lavorativa o alla zona in cui si abita, è stata ed è molto forte. 

Ricostruire la vicenda di tali associazioni è difficile a causa della varietà, del numero di nascite e di scomparse, della frequente discrepanza tra forma (statuto giuridico, recapito, referente) e vitalità o importanza (numero degli aderenti, frequenza e qualità delle attività, importanza per gli immigrati o per tutta la città).

La formalizzazione è diventata necessaria perché un’associazione potesse aspirare ad essere rappresentata nella Consulta comunale, prima nominata e oggi elettiva.

Negli anni, le associazioni degli stranieri hanno guadagnato prestigio e visibilità tra l’altro partecipando attivamente alle iniziative interculturali (Torino a colori prima, Identità e differenza oggi).

Una ricognizione delle associazioni, periodicamente aggiornata, esiste. Perciò è possibile elencare qualche cifra. È stato anche possibile tentare una ricognizione della vitalità contattandole una per una per telefono (come per la ricerca Horizon). 

Però la stessa attribuzione ad una associazione di una provenienza geografica, di una idea politica, di un’ispirazione religiosa, per non parlare di dati come il riconoscimento e la visibilità da parte dei non iscritti, i rapporti con le istituzioni e i servizi della città, possono essere ricostruiti solo ricorrendo all’esperienza diretta e a quella di testimoni privilegiati. Perciò il quadro che presentiamo delle associazioni di immigrati e miste, di provenienza e universalistiche, di interesse e politiche riflette, come ogni altro possibile, un punto di vista. È un po’, fatte le debite differenze, come un quadro delle associazioni giovanili negli anni Settanta: si oscilla tra le citazioni degli articoli dei giornali e le ricostruzioni – dall’interno o da un punto di vista esterno.

 

2 Le origini e gli sviluppi generali. 

Gli eritrei e i somali, presenze storiche a Torino, hanno associazioni legate alle particolarità della ex Africa orientale italiana. Negli anni Settanta e Ottanta eritrei ed etiopi avevano lo stesso passaporto. Ma era in corso la guerra, poi vittoriosa, per l’indipendenza dell’Eritrea dall’Etiopia, che era da parte sua governata da un alleato dell’Unione Sovietica, Menghistu.

Gli eritrei, molto numerosi a Torino perché la presenza storica è stata rafforzata dai profughi e dagli emigrati politici, avevano una associazione legata al Fronte di Liberazione dell’Eritrea, organizzata come i partiti comunisti: un partito propriamente detto, una associazione dei lavoratori, una associazione giovanile, una associazione delle donne.

L’associazione ebbe un riconoscimento informale in città, aveva contatti con la CdL di Torino (per un certo periodo occupava una stanzetta nella vecchia sede di via Principe Amedeo), aveva contatti con la Questura, svolgeva funzioni d’ordine nei confronti dei propri connazionali, raccoglieva fondi per la guerra e per l’organizzazione, seguiva lo studio dei ragazzi.

La fonte di reddito principale della comunità è rappresentata dal lavoro di molte donne come cameriera professionista, ma anche da quello di baristi, tecnici, operai.

La presenza palestinese aveva, per la particolare importanza dell’OLP tra i punti di riferimento internazionali della sinistra italiana, un rilievo pubblico anche maggiore.

 

3 Associazionismo e politica

L’iniziativa ufficiale della CGIL nei confronti degli immigrati cominciò con un’assemblea piuttosto affollata nella vecchia sede di via Principe Amedeo sul conflitto e sui tentativi di pace tra palestinesi ed israeliani cui partecipano numerosi esponenti della Comunità ebraica torinese e il numero due dell’OLP in Italia. Fu un giovane economista, Guido Ortona, a dire che sarebbe stato ora di occuparsi di immigrazione e che le persone di lingua araba a Torino erano forse il decuplo degli ebrei.

Anche molte associazioni centroafricane fecero capo a movimenti politici; benché si connotassero soprattutto come associazioni di studenti, coinvolsero anche lavoratori, raggrupparono persone che conoscevano almeno una lingua veicolare europea e sapevano trovare canali propri di comunicazione col mondo politico torinese.

Non si trattò solo di Paesi africani. Il primo straniero a lavorare alla CdL di Torino fu un iraniano curdo, aderente al PKK.

Gli iraniani, soprattutto studenti, soprattutto di sinistra, aderirono prima entusiasticamente alla rivoluzione di Khomeini ma poi, quando cominció la repressione della sinistra in Iran, diventarono radicalmente antigovernativi. L’associazione si divise in una maggioranza contro Khomeini e una minoranza a favore, con polemiche e scontri.

Le associazioni latinoamericane, per parte loro, risentirono a lungo dell’ondata di profughi cileni seguita alla uccisione del Presidente Allende, che ebbe una rilevanza enorme in città, riempì il palazzetto dello sport con gli Inti Illimani, venne accolta nelle case e nelle sedi politiche; perfino, all’Università.

Prima della caduta del muro e della fine dell’URSS ci fu ancora una eredità terzomondista, anticapitalistica e antiamericana che fece da collante naturale tra sinistra autoctona ed associazioni straniere politicamente connotate.

La prima fase dell’associazionismo degli immigrati risentì insomma molto di più della matrice politica, e delle capacità di relazione e comunicazione ad essa legate, che del lavoro dei primi immigrati.

A lungo il rapporto con le associazioni si confuse con il rapporto con partiti, movimenti e idee dei Paesi in via di sviluppo.

Se si vogliono spiegare i contatti italiani delle associazioni latinoamericane non si può togliere dal quadro la Teologia della liberazione e le Ong italiane per la cooperazione allo sviluppo quali che siano le idee degli associati. E per i paesi dell’Africa centrale la trafila confessionale e missionaria è fondamentale per spiegare l’arrivo delle persone e le modalità di associazione, almeno fino alla metà degli anni Ottanta. In Africa si può essere perseguitati politici anche per ragioni religiose (o per ragioni politiche che hanno una immagine religiosa).

 

4 L'associazione universalistica

 Il peso degli immigrati non tanto sulle questioni legate al lavoro ma soprattutto sulla scena politica e studentesca fece sì che nella seconda metà degli anni Ottanta, accanto alle associazioni di provenienza, si moltiplicassero le iniziative per la formazione di associazioni universalistiche, talora aperte anche ai cittadini italiani, o addirittura promosse soprattutto da cittadini italiani.

Si accompagnò alle iniziative per la formazione di una associazione generale degli immigrati quella per la creazione di una Casa delle culture, intesa come sede universale per le associazioni torinesi. Ci furono progetti politici e progetti architettonici; ipotesi che prevedevano un’area franca, con sedi religiose, computer, servizi, per gli immigrati e un’area di ritrovo, con luoghi di culto, ma anche di alloggi, aperta anche a studenti italiani.

All’atto pratico una vera associazione universalistica di immigrati e italiani non è mai nata nella forma desiderata dai più. Sono nate in rapida successione il Comitato città aperta e Khafila, che però hanno avuto una notevole caratterizzazione politica, forse un po’ più marcata di quella, ovvia, di escludere posizioni xenofobe e razziste. Entrambe le associazioni hanno incluso immigrati di tutte le provenienze principali ed hanno avuto rapporti con la Rete antirazzista, associazione nazionale fondata, tra gli altri, da Laura Balbo e Pierluigi Onorato.

La prima si è lacerata sulla contrapposizione tra la associazione politica (di italiani e stranieri), favorevole all’immigrazione e ai diritti degli stranieri, ma con evidenti legami (di sede, di firma delle iniziative) con le associazioni politiche e sindacali italiane, e la associazione universalistica di immigrati aperta agli italiani, disposta ad accettare sedi e aiuti tecnici dalle organizzazioni sindacali e dai partiti italiani, ma gelosa della propria identità ed autonomia.

Khafila (che può da più di un anno considerarsi estinta) invece, come del resto la Rete antirazzista, si è divisa e continua a dividersi tra i sostenitori di una linea di appoggio ad alcune politiche del governo e una linea di più rigorosa contrapposizione. 

Ci sono associazioni desiderate ed associazioni realizzate. Numerosi sono stati i tentativi di associazioni africane, ispirate alle associazioni tra stati o a ideologie panafricaniste, in genere centrate sull’Africa nera. Una almeno, quella del dott. Parker, ha avuto una notevole vitalità e un certo peso per vari anni, soprattutto per la forte personalità del fondatore, che ha sempre svolto anche un costante e gratuito lavoro di medico per chi non riusciva ad accedere all’assistenza sanitaria.

Dopo la cosiddetta legge Martelli, con la regolarizzazione, il declino delle presenze storiche e la crescita dell’emigrazione per lavoro dal Nordafrica e dall’Europa orientale, diminuirono le associazioni a base politica ed ideologica e crebbero quelle tipiche di ogni segmento della società civile, spesso caratterizzate per provenienza.

5 Associazioni di provenienza 

In alcuni casi c’è stata (e c’è) coincidenza tra associazione di provenienza ed associazione politica, religiosa, economica. Ma ci possono essere una o più associazioni che sono di fatto di provenienza anche se l’identità ideologica di ciascuna è differente. Si potrebbe immaginare che le associazioni di provenienza siano una per provenienza, ma c’è sempre qualcosa in più oltre all’origine geografica, anche nei casi più unitari, a complicare il quadro. Per questo motivo la rappresentanza degli immigrati nella Consulta (anche oggi quando i suoi membri vengono eletti tra gli stranieri residenti) è sempre parziale, anche nei casi in cui ci sia più di un rappresentante per provenienza, data la impossibilità di avere rappresentanti universalistici, d’opinione. 

Alcuni gruppi nazionali hanno associazioni tradizionali per generi e classi di età ed hanno una più forte tendenza al raggruppamento: delinearne la vicenda risulta più facile che per quei gruppi più frammentati tradizionalmente, che hanno differenze (regionali o altre) forti.

Cominciamo dalle prime.

 

 

6 Senegal

 

L’immigrazione senegalese a Torino è stata a lungo da lavoro. Essa ha riguardato soprattutto i discepoli laici (talib) di una confessione religiosa (murid) ed è stata, più che in altri casi, un’immigrazione di giovani, maschi, lavoratori. Come risulta da una dettagliata intervista del giovane leader religioso di quegli anni, si è trattato di una immigrazione guidata direttamente dal Senegal, riguardante giovani meno istruiti della media degli immigrati. Tradizionalmente le famiglie credenti cedono alla confraternita dei murid il quarto o quinto figlio perché si istruisca nella fede e lavori per l’ordine. In genere il lavoro era in agricoltura. Con l’avanzare della desertificazione l’agricoltura è diventata impossibile, e l’ordine ha spostato i giovani sull’immigrazione all’estero, a lavorare nell’industria e nei servizi.

Oltre alle rimesse personali, venivano mandate in Senegal, all’ordine murid, le decime pagate dai senegalesi regolarmente assunti nelle industrie (metalmeccaniche, siderurgiche), nelle costruzioni, nelle squadre di pulizia di Torino.

Si può sostenere che si trattava di una associazione religiosa, non di provenienza: ma tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, essa contava 4 o 500 membri, pari a più della metà dei senegalesi allora presenti a Torino, e costituiva la sede reale della rappresentanza della comunità senegalese. Negli alloggi coabitavano, cucinavano e discutevano insieme senegalesi murid, tidjani e cristiani.

Oltre all’associazione religiosa esisteva anche una associazione laica, con un presidente. Ma il prestigio del leader religioso assorbiva, in tutte le occasioni importanti, ogni altra associazione senegalese.

Dopo un incidente, nei primi anni Novanta i senegalesi hanno votato formalmente nella sede dell’associazione, in corso Vercelli 3, di smettere l’ambulantato. La decisione è stata scrupolosamente seguita per anni. Ambulanti senegalesi sono ricomparsi solo dopo la fine dell’associazione religiosa (dahira).

Il giovane leader trattava con le associazioni sindacali principali, ciascuna per la parte che gli sembrava utile (la CISL per il collocamento, la CGIL per le rivendicazioni) e con le aziende. Aveva contatti col sindaco e con l’arcivescovo (i murid sono ecumenici), oltre che col parroco di San Gioacchino. Era una autorità riconosciuta, anche dall’ambasciata senegalese e dalla Questura.

L’eccesso di carico di lavoro e fiscale sui soci e le pessime condizioni di vita dei talib provocarono un conflitto con i dirigenti dell’ordine; cui seguì una rivolta dal basso per caduta di legittimità, quando si scoprì che il cognome del giovane leader era quello di uno dei fondatori dell’ordine murid (lui però non appartiene al ramo principale di quella famiglia, anche se è realmente istruito anche in campo religioso).

Il giovane si è spostato da qualche anno a Carmagnola e non è stato sostituito da nessun altro leader a tempo pieno. La dahira è rimasta ma ha perso molti aderenti sia per ritorno in patria sia per trasferimento a Brescia, dove la siderurgia va forte. Sono arrivati nuovi senegalesi, dalla Francia, più istruiti e meno lavoratori, alcuni dei quali hanno trovato una forma di collaborazione con l’organizzazione nigeriana che sfrutta la prostituzione. I senegalesi a Torino continuano ad essere quasi tutti lavoratori maschi (è il gruppo nazionale ad avere le percentuali più alte di maschi con permesso di soggiorno per lavoro in città), e continuano ad essere molto coesi informalmente. Ma non c’è più l’associazione unica.

 

 

7 Somalia

 

Negli anni precedenti il crollo di Siad Barre e dello Stato, malgrado la fortissima divisione in famiglie o tribù, i somali a Torino erano riuniti in una sola associazione informale. C’era una unica Associazione di amicizia italo-somala, c’era una unica rete che accoglieva gli emigranti (soprattutto donne), trovava un letto e un lavoro.

Per spiegare la compresenza della divisione e della unità basta osservare che le migranti erano spesso profughe (durante la fase acuta della guerra sono stati concessi ai somali permessi per motivi umanitari e per lavoro) ed erano tutte di tribù avverse al regime, hawiye soprattutto (con notevoli eccezioni naturalmente). Si creava perciò una naturale solidarietà tra alleati. Le rappresentanti della comunità, oltre ad essere presenti nella Consulta, avevano rapporti di buon livello con parlamentari italiani, con gli enti locali, con i sindacati.

Fu fondata una associazione di donne somale, Shabel (che vuol dire leopardo) che parlava a nome di tutte le somale ed ha avuto un certo peso nella fondazione dei primi centri di accoglienza per donne, nella vita dell’importante associazione femminile universalistica Alma Mater, nella vita culturale del mondo dei migranti. Shabel è però anche il nome di un fiume, lo Uebi Shebeli, il fiume dei leopardi, il cui bacino è il territorio degli hawiye. C’era una certa ambiguità.

Dopo la vittoria degli hawiye e la caduta di Siad Barre molte persone in vista sono tornate in patria e molti darod, il gruppo cui appartenevano i marihan, la tribù di Barre, sono arrivati a Torino. La rappresentanza è cambiata. Il peso dei somali in città è diminuito, numericamente, in immagine e socialmente. Molte personalità di spicco si sono integrate in città e rappresentano universalisticamente il mondo dei migranti. Un somalo cittadino italiano, già ministro con Barre, prima del conflitto, è stato eletto in Consiglio comunale. Le reti dei somali, anche meridionali, includono oggi Londra e l’Europa, oltre che Roma, ma non ne esiste una per tutti i somali, se non quando è proprio opportuno far fronte.

 

 

8 Cina

 

Le comunità cinesi sono numerabili come le federazioni di un partito. In una città può esserci o no una comunità. La comunità può essere legata, organizzativamente e finanziariamente, a comunità di altre città italiane o estere. I cinesi che vivono in città in cui non c’è comunità organizzata fanno riferimento ad altre città.

In una società aperta, naturalmente, non è obbligatorio aderire a nulla. A Torino, accanto al nucleo di maggioranza, che proviene dalla zona a sud di Shanghai, ci sono singoli e gruppi che provengono da Canton o da altre zone. Ci sono gruppetti veramente sparuti. Ma il nucleo solido, che possiede, direttamente o attraverso prestanome, i ristoranti, le pelletterie, i negozi, i laboratori di sartoria, che manda i figli a scuola, dove hanno un buon successo, è unito ed ha sempre avuto una sola associazione. Quando si è sciolta la Comunità, probabilmente per evitare responsabilità formali estese ad un passato troppo lungo e ad un numero di persone troppo ampio, si è costituita una associazione dei commercianti.

La pressione alla conformità è forte ed è affettiva ed economica al tempo stesso. A Torino, dove non esiste una finanza cinese in senso proprio, per la finanza internazionale le famiglie fanno capo alla Comunità olandese, ed i vecchi proprietari di esercizi controllano il credito. Possono infatti, se vogliono, fornire le garanzie reali alle banche che aprono la strada al credito.

Perciò associazioni africane e arabe hanno sempre parlato di cooperative ed imprese costituendone alcune, poche e fragili, anche se ad alto profilo sociale, mentre i giovani cinesi ritenuti all’altezza dagli anziani hanno aperto numerosi esercizi.

 

Chi vuole riceve giornali in mandarino dall’Olanda, anche giornali satirici.

E’ facile incontrare i giovani nelle scuole. E’ facile incontrare i rappresentati ufficiali della Comunità o di Italia-Cina, se si ha un ruolo istituzionale. E’ difficile intervistare singoli commercianti o lavoratori o anche gli anziani se si è troppo informali.

 

 

9. Perù

 

L’immigrazione peruviana è costituita, in prima istanza, da lavoratrici nei servizi domestici e nell’assistenza degli anziani. Le famiglie torinesi andrebbero in crisi se le peruviane (e le filippine, che arrivarono per prime in città) smettessero di esserci.

Negli anni, i ricongiungimenti famigliari di mariti e figli hanno complicato il quadro. E non mancavano fin dall’inizio figure diverse, attive nell’associazionismo politico e nella mediazione culturale.

Ma la vita associata dei peruviani risente delle giornate recluse delle donne, che sono tuttora la maggioranza, e che hanno libero un giorno e mezzo la settimana, se sono colf residenti o assistono anziani.

Oltre al lavoro ci sono i figli, c’è la famiglia. Non stupisce che le sedi di ritrovo siano presso parrocchie e le occasioni di ritrovo siano feste religiose, come per le filippine, molto attive in alcune chiese dell’area centrale della città, in particolare quella di don Gallo a San Salvario.

Non mancano adesioni ad associazioni professionali di colf ed anche ad associazioni culturali, di cui si trova traccia nelle manifestazioni cosiddette multiculturali. 

Le due provenienze più consistenti numericamente, quella dal Marocco e dalla Romania, tra le più consolidate ed antiche la prima, recente e in rapida espansione la seconda, sono molto lontane dall’avere una associazione formale o informale unica, anche se certo hanno sedi religiose o di altro tipo prevalentemente o esclusivamente frequentate da membri della comunità.

 

 

10 Marocco

 

I marocchini sono quantitativamente la prima nazionalità straniera in città, seguiti dai rumeni, quest’ultimi arrivati in massa solo negli ultimi anni.

Per questo, e per la varietà geografica, culturale, politica, del livello di istruzione, i marocchini sono parte di ogni aspetto dell’associazionismo della città.

Ci sono marocchini che migrarono per motivi politici, in seguito alla repressione dei movimenti della fine degli anni Settanta, e ci sono i manovali provenienti da Kouribga, che è la zona delle miniere di sale. Ci sono religiosi ed artigiani, ambulanti e mercanti. E ragazzi senza arte né parte, che tentano la ventura. 

Sono stati marocchini alcuni degli esponenti di punta dell’associazionismo universalistico degli anni Ottanta, ma anche della fondazione delle associazioni di genere, della sindacalizzazione, delle associazioni religiose.

Se si chiede oggi ai protagonisti dei tentativi di associazionismo universalistico degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta (Città aperta, Khafila, il progetto della Casa delle culture, Torino a colori) ci si può sentir rispondere che in parte quei tentativi erano un’illusione. Che i fini erano troppo alti rispetto ai mezzi, che erano (eravamo) pochi. Oggi sì, ci sarebbero i mezzi per mirare più in alto. Sono cresciute competenze, reti, integrazione. Ma sono cresciuti anche gli interessi e le associazioni di interesse, che tolgono spazio ad un associazionismo più alto.

Si potrebbe obbiettare che i fini alti sono illusori oggi come ieri. Che la realtà è quella della (crescente?) chiusura e frammentazione. Solo che ieri i protagonisti, più giovani, atrocemente poveri, isolati, usati da tutte le forze politiche ma sgradevoli abbastanza da farsi sentire, ci provavano. Oggi hanno sempre una forte spinta, hanno consolidato qualcosa, ma non se la sentono più di andare allo sbaraglio. Quello che si riuscirà a fare, se il contesto giuridico e sociale lo consentirà, sarà una integrazione nelle associazioni generali, diciamo così, necessarie, come quelle sindacali, o già separate per fede, come quelle religiose, e una maggiore apertura, almeno di area, delle associazioni di interesse.

Ma se si guarda ai conflitti nei quartieri tra africani neri e nordafricani, tra ragazzini albanesi ed italiani (che sono altrettanto o ancor più inarticolati e tribali, ma più numerosi), tra ragazzi marocchini e italiani, o tra marocchini ed albanesi, non si può essere molto ottimisti. Accanto ai tentativi di associazioni generali, le associazioni reali dei marocchini sono state però numerose.

Ci sono state, accanto alla dahira dei murid, alla moschea prevalentemente egiziana, a quella prevalentemente mediorientale, varie moschee soprattutto marocchine, con imam senza particolari credenziali formali. Uomini pii, che di mestiere facevano il commerciante o altro, e cui i credenti accordavano una particolare fiducia.

Ad una delle moschee oggi si affianca un Centro Culturale Islamico, con finalità sociali e assistenziali.

Questo non vuol dire che ci sia unanimismo o che le associazioni si siano ridotte ad una sola.

E’ esistita una associazione dei commercianti marocchini chiamata Hassania, con ovvio riferimento al nome del re, che ha avuto un certo peso. 

I marocchini hanno eletto due rappresentanti in Consulta, come da regolamento, anche sulla base di rapporti con associazioni e reti italiane. Sono presenti negli Uffici Stranieri del Comune e delle confederazioni sindacali, nelle associazioni di volontariato, tra i collaboratori di importanti scuole professionali, come la Casa di carità arti e mestieri, o del Centro Frantz Fanon, che assiste gli immigrati con problemi psicologici o psichiatrici.

Fuori dagli uffici stranieri dei sindacati, vari marocchini sono diventati funzionari sindacali, nelle categorie di massima frequenza degli immigrati, come l’edilizia e il commercio.

 

 

11 Romania.

 

Il più noto centro di raccolta dei rumeni è presso il tempio ortodosso di Torino, retto da padre Vasilescu. Ma ci sono rumeni un po’ in tutte le sedi cattoliche.

Andare e tornare dalla Romania, attraverso l’Austria, sembra non essere un problema, anche senza permesso di soggiorno. Il costo è contenuto, intorno alle 350.000 lire. Perciò il riferimento al paese di origine e la frequenza dei ritorni sembrano essere maggiori che per altre provenienze. L’alto numero degli irregolari rende tutte le conoscenze sui rumeni per lo meno dubbie.

 

12 Associazioni religiose.

A parte le moschee, e la varietà di riferimenti islamici presenti, bisogna tener conto delle associazioni religiose a carattere nazionalistico. Si tengono in Piemonte seminari che fanno riferimento al Fis algerino. Non necessariamente con aspetti illegali. Certo c’è una rete di interessi, anche internazionali, intrecciati con l’associazionismo religioso. L’esperienza del  Belgio e di altri Paesi europei insegna che i Paesi più ricchi o potenti tendono ad assumere preminenza nell’ambiente dei migranti finanziando associazioni o scuole religiose.

Per ora a Torino non si vede molto, salvo l’ovvio interesse del governo marocchino a quel che succede ai marocchini all’estero.

Accanto ai musulmani, di cui si parla molto, ci sono molti cristiani, di cui si parla meno.

Filippini e peruviani hanno funzioni apposite in numerose chiese cattoliche.

I metodisti africani frequentano le chiese evangeliche e sono piuttosto numerosi, rispetto ai valdesi ed ai metodisti locali.

Ci sono numerosi culti sincretistici.

 

13 Associazioni di genere.

Alma Mater, in particolare, è nata per iniziativa di un gruppo misto di donne, di cui almeno le autoctone avevano una buona esperienza in campo politico ed associativo, che riuscirono ad ottenere dal Comune alcuni locali nell’ex convento di San Gaetano Thiene e li ristrutturarono con i fondi della Legge Martelli. Il centro è gestito da un’associazione che affida la gestione delle attività a due cooperative.

Essa rappresenta una delle esperienze più interessanti in città per la continuità e il livello della elaborazione, per la presenza di persone di molte provenienze e religioni diverse, per la compresenza di attività commerciali e culturali, per il rapporto con i Paesi di origine più importanti, anche attraverso iniziative seminariali di notevole livello.

Si sono sentite conferenze e dibattiti di estremo interesse, che finiscono col rappresentare tra i pochi rapporti diretti disponibili in città col Nordafrica e col Medio Oriente, oltre ai seminari della Fondazione Agnelli e alle sedi confessionali per i temi teologici.

Per non parlare dell’attività teatrale e cinematografica. Ormai il gruppo di teatro dell’Alma Mater è noto in città e fuori città. Daniele Segre ha contribuito, riprendendolo in un suo film, a renderlo noto in Italia.

Compresa qualche intenzione non ancora operativa, l’Alma Mater offre: un centro di documentazione e di ricerca sui problemi delle donne; un centro di accoglienza giovani madri; un servizio di custodia bambini autogestito; l’assistenza di mediatrici culturali e servizi di informazioni, consigli, incontro; corsi di danza, espressione corporea e teatro; un bagno turco; un laboratorio per la ristorazione etnica; un servizio di lavanderia a gettoni, stireria e rammendo; un laboratorio di sartoria; uno spazio per una parrucchiera estetista.

Questo centro continua la sua attività soprattutto grazie ad una grande dose di volontariato, ingrediente indispensabile per strutture che possono solo in parte contare su contributi pubblici e le cui entrate derivanti da attività economiche sono assai modeste. Luoghi di ristoro e piccole attività commerciali o artigianali non bastano infatti a mantenere una struttura impegnata socialmente.    

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