Gli immigrati e la casa  

Ricerca realizzata dall'Osservatorio Sociale della Toscana

 

 

L’Italia ha scontato in questi anni un ritardo e una difficoltà di innovazione concettuale sul tema dell’immigrazione. Questo non dipende solo dal fatto che questo è un paese che da meno tempo, rispetto ad altri paesi europei, si confronta con la presenza di nuove genti. C’è, ad aggravare la situazione, anche un ritardo strumentale, di politiche, di risorse, di amministrazione.

Il primo dato su cui riflettere è la povertà delle politiche adottate rispetto all’habitat sociale: in primo luogo quelle che nel tempo hanno favorito il formarsi di una debolezza strutturale, rappresentata dalla bassa percentuale dell’edilizia pubblica che in Italia non ha sperimentato nessuna delle innovazioni che in altri paesi europei sono state adottate negli anni passati per accentuare gli obiettivi sociali delle politiche abitative.

Fenomeni nuovi si sono affrontati il più delle volte con strumenti, regolamenti, strutture amministrative e burocratiche ereditati in larga parte da quel sistema con cui si è storicamente gestito, in Italia, il problema della povertà.

La identificazione degli immigrati come poveri ha sorretto la separazione dell’intervento per gli immigrati dal normale intervento sociale, anche in campo abitativo. Gli aspetti principali di questo approccio sono stati la scarsità di risorse e la scelta di operare con soluzioni "a parte", differenti da quelle previste per i "normali" destinatari di politiche sociali.

La "legge Martelli", in questo senso, è emblematica: non offriva case, ma al contrario si preoccupava di evitare che l’intervento per gli immigrati si configurasse come abitativo. I "centri di prima accoglienza" erano interventi per provvedere alle immediate esigenze alloggiative per il tempo strettamente necessario al reperimento di una autonoma sistemazione.

Nella sua identificazione con i "poveri" sta anche la ragione per cui l’immigrazione è rimasta competenza dei servizi sociali e degli assessorati alle politiche sociali: c’è un evidente disagio di altri settori dell’amministrazione nell’affrontare questi temi nel governo complessivo della città, un disagio che si traduce in affermazione di non competenza, in delega agli strumenti delle politiche sociali. Il bisogno abitativo degli immigrati è certamente la più importante delle nuove forme di disagio e di esclusione.

L’assenza di un impegno specifico dell’urbanistica e delle politiche abitative nel "fare spazio" agli immigrati ha contribuito, con altre concause, a una serie di gravi distorsioni. Si è prodotto di fatto un abitare inferiorizzato per la gran parte degli immigrati. La logica d’emergenza dei "centri di prima accoglienza" ha inciso in maniera minima e spesso impropria sul bisogno alloggiativo degli immigrati; in misura ancora minore questi hanno avuto accesso all’edilizia residenziale pubblica.

Nel vuoto progettuale sono cresciute situazioni di assoluta gravità come l’apartheid dei "campi nomadi", le baraccopoli, i poveri manufatti autocostruiti e altre forme di disperazione abitativa.

Per il resto, la debolezza delle politiche pubbliche ha lasciato al mercato una azione selettiva e speculativa - spesso selvaggia - sugli immigrati che hanno le possibilità economiche per accedervi.

Ancora oggi - con una immigrazione che è ormai alla seconda generazione e che in molte aree costituisce una insostituibile risorsa del mercato del lavoro e delle attività di cura alla persona - l’immagine dell’immigrato è quella riflessa da ciò che è stato per lui costruito o lasciato come nicchia: centri e campi di accoglienza, situazioni di precarietà e di degrado che divengono i luoghi mentali di riconoscimento dell’immigrazione molto più di quanto lo siano le situazioni di inserimento e di convivenza.

   

L’esperienza toscana

Nel tracciare un sintetico bilancio della situazione in Toscana, va senz’altro riconosciuto alla Regione Toscana una costante azione di impulso per la realizzazione di centri di accoglienza e per la promozione di una diffusa cultura di ospitalità, che ha incontrato la disponibilità di diverse amministrazioni locali. Ma altrettanto significativa è stata la risorsa civica locale, il disporsi all’accoglienza di una significativa parte del mondo associativo, delle reti di volontariato, della migliore tradizione civica di amministratori e operatori locali che, oltre alle strutture ufficiali, hanno provveduto in maniera minuta a tante piccole sistemazioni. Se le esigenze degli immigrati sono arrivate in sede politica o amministrativa lo si deve spesso all’associazionismo, che però, in assenza di politiche importanti di offerta residenziale, ha rischiato di essere travolto dalle continue emergenze, dal sovraccarico di situazioni di difficoltà.

Le risorse messe a disposizione negli anni dalla legislazione nazionale sono state impiegate anche in maniera innovativa e sperimentale rispetto alle indicazioni della legge "Martelli".

Nonostante queste note positive, che pongono la Toscana fra le regioni che maggiormente hanno dato impulso a politiche di sostegno alloggiativo per i migranti, la rete di servizi e opportunità realizzata incide in modo parziale sul bisogno abitativo degli immigrati.

Complessivamente, nel corso degli anni, la Toscana ha disposto per la prima accoglienza di circa 1100 posti letto, dei quali ne risultavano occupati in media il 90%.

La gran parte delle strutture di prima accoglienza presenti in Toscana sono state realizzate per una utenza di maschi singoli (quasi il 70% dei posti letto disponibili), adulti ed in regola con il permesso di soggiorno. Sono rimaste spesso escluse dalla prima accoglienza - tranne alcune isolate esperienze - i nuclei familiari, le donne, i minori e naturalmente gli "irregolari" ed i clandestini.

Se si eccettuano alcuni casi particolarissimi, non si sono mai rivolti alle strutture di prima accoglienza immigrati appartenenti a consistenti gruppi nazionali come cinesi, indiani, brasiliani, filippini, cingalesi, egiziani, iraniani, rom.

 

Gli aspetti critici  

Il lavoro di osservatorio permanente ha messo in luce un quadro ricco ma anche problematico.

Gli aspetti maggiormente critici:

La localizzazione delle strutture di accoglienza per immigrati riguarda il più delle volte aree urbanisticamente non idonee, perché escluse dal tessuto urbano o già cariche di urgenze sociali o prive dei normali requisiti urbanistici (zone alluvionabili, zone industriali, zone a diversa destinazione di Prg). Queste localizzazioni sono solitamente l’esito della scelta politica di evitare problemi di contiguità con la cittadinanza locale, considerata ragione di conflitto.

La varietà delle situazioni e la diversa gravità dei problemi abitativi che gli immigrati incontrano non trovano una adeguata gamma di soluzioni e di opportunità. Le risposte omologano spesso utenze diverse e non mostrano flessibilità sia rispetto a diversi progetti d’immigrazione che alle diverse situazioni (gruppi familiari, singoli, minori).

La qualità delle soluzioni adottate è spesso mediocre. Sono rarissimi i Centri di accoglienza di nuova progettazione. La progettazione dei Centri ha raramente favorito il superamento delle barriere culturali, anzi la percezione delle altre culture abitative è stata spesso "fissata" dall’immagine dei Centri di accoglienza, soprattutto se realizzati con container o altre strutture prefabbricate.

La gestione dei Centri di prima accoglienza: i Comuni si sono avvalsi generalmente dello strumento della convenzione con enti gestori del privato sociale.  Le convenzioni si sono spesso risolte in una delega totale, in alcune situazioni molto onerosa. Nelle forme gestionali si riproducono frequentemente modelli assistenzialistici e situazioni di tipo asilare, con regolamenti che puntano più al controllo che ad un molto più impegnativo progetto di inserimento sociale strutturato.

- L’ossessione regolativa e burocratica ha spesso impedito sperimentazioni e innovazioni. Leggi, regolamenti, standard, diventano in questi casi più che un elemento di trasparenza e di tutela, un percorso ad ostacoli. La flessibilità del modello abitativo, l’autocostruzione, i progetti partecipati non trovano ospitalità nel reticolo di norme e di competenze che vengono applicate con particolare scrupolo quando si tratta di immigrati o di Rom.

L’impianto di strutture di accoglienza o di servizio agli immigrati ha spesso subito lunghe e tese contrattazioni sociali con comitati di cittadini che attribuiscono alla realizzazione di queste strutture un portato di degrado e insicurezza sociale, di svalorizzazione del quartiere, di caduta di valori immobiliari. Su questo si è registrata una incapacità delle amministrazioni, ma spesso anche del mondo associativo, di gestione concertata dei conflitti territoriali legati alle politiche che riguardano immigrati e più in genere fasce marginali.

 

Il mercato della casa e le agenzie di intermediazione  

Sul versante del mercato della casa, la debolezza dell’intervento pubblico ha sostanzialmente lasciato alle regole del mercato le possibilità di accedere alla casa per gli immigrati. Molti immigrati non poveri sono mal alloggiati, immigrati normalmente poveri sono spesso senza casa. Le loro sistemazioni sono tendenzialmente peggiori o più costose di quelle accessibili a popolazioni locali con le stesse caratteristiche di reddito. Sistemazioni precarie - spesso con gradi di disagio improponibili per abitanti italiani - riguardano facilmente anche immigrati che hanno lavoro e reddito.

In alcune aree il mercato della casa per gli immigrati ha caratteri sfacciatamente speculativi, in situazioni di sovraffollamento e di disagio e a costi che cittadini italiani non sono disponibili a sopportare. Per mitigare, anche se solo marginalmente, le distorsioni del mercato della casa, sono risultate importanti le esperienze di "agenzie sociali per la casa", che hanno alle spalle una lunga e positiva sperimentazione in altri paesi europei e che anche in Italia hanno dato buoni risultati.

Attualmente in Toscana, grazie all’impulso determinante ed all’opera di coordinamento effettuata dalla Regione, sono attive 8 agenzie. In quasi quattro anni di operatività le agenzie hanno mediato l’acquisizione in affitto di oltre 180 appartamenti ai quali si aggiungono 18 appartamenti acquisiti gratuitamente in comodato (grazie a finanziamenti regionali per acquisti e ristrutturazioni) ed affittati a canone sociale.

 

Dall’accoglienza all’abitare  

Se da un lato i Centri di prima accoglienza sono stati una risorsa nel periodo immediatamente successivo ai primi arrivi, permettendo a molti stranieri di trovare un alloggio seppur precario, dall’altro lato, però, non si sono dimostrati altrettanto efficaci nel medio - lungo periodo.

Pertanto, se da un lato, non è possibile considerare superata l’esigenza di continuare a predisporre progetti e interventi per far fronte a situazioni di prima accoglienza, dall’altro lato, è indispensabile che questi siano soltanto parte dei programmi riguardanti le politiche abitative più complessive. La risposta al bisogno abitativo degli immigrati deve essere necessariamente differenziata perché occorre tenere conto dei tanti e diversi elementi, contingenti e di prospettiva, che condizionano la vita dell’immigrato. E’ necessario quindi creare un’offerta abitativa che comprenda tutto l’arco che va dall’emergenza fino all’ordinarietà, passando anche attraverso la ricerca di soluzioni in grado di far fronte a situazioni a carattere provvisorio o temporaneo e a quelle particolarmente difficili sul piano sociale.

Gli immigrati sono nello stesso tempo una parte consistente dell’esclusione e del disagio abitativo complessivi, e una popolazione toccata da questi problemi in misura particolarmente elevata. Il Censis ha calcolato circa 300.000 nuclei di immigrati in condizioni disagiate - che corrisponderebbero a circa un terzo degli immigrati e ad un terzo della "domanda abitativa marginale". Quanto all’esclusione abitativa, una stima dell’Osservatorio sugli homeless indica per gli immigrati un ordine di grandezza attorno ad almeno 200.000 persone - che significa tra un terzo e la metà del totale degli esclusi dall’abitazione.

Oggi l’immigrazione presenta una varietà di figure e di condizioni delle quali non si tiene a sufficienza conto quando si parla e si programma del loro bisogno alloggiativo. C’è da un lato un "normale" disagio, difficoltà simili a quelle che incontrano molte popolazioni a basso o medio-basso reddito. All’altro estremo si situa l’area della marginalità sociale.

Preso atto di questa varietà di situazioni e di problemi, rimane il fatto che disagio ed esclusione abitativa sono condizioni sproporzionatamente diffuse tra gli immigrati. Molti immigrati non poveri sono mal alloggiati, immigrati normalmente poveri sono spesso senza casa. Le loro sistemazioni sono tendenzialmente peggiori o più costose di quelle accessibili a popolazioni locali con le stesse caratteristiche di reddito. Sistemazioni precarie - spesso con gradi di disagio improbabili per abitanti italiani - riguardano facilmente anche immigrati che hanno lavoro e reddito.

Intanto vi sono molti immigrati che risolvono autonomamente i propri problemi abitativi, e li risolverebbero in modo più adeguato se potessero contare su modeste misure di sostegno. E tra coloro che non li risolvono le situazioni sono diverse: per una parte basterebbe una normale politica abitativa sociale, per altri l’intervento abitativo dovrebbe essere integrato da altre politiche sociali o da misure contro l’esclusione.

 

La prima accoglienza: molto servizio e poca casa  

Spostare la priorità degli interventi verso l’abitazione non vuol dire ignorare l’esistenza di una quota, non assolta, di fabbisogno legato alla pronta accoglienza.

Fuori da una logica di permanente emergenza, bisogna prendere atto di situazioni strutturali di disagio abitativo, che in particolare riguardano:

profughi politici, già presenti oppure potenzialmente provenienti da aree di crisi;

immigrati dotati di permesso di soggiorno e caratterizzati da mobilità interna al territorio nazionale;

migranti che perdono improvvisamente il lavoro, l’alloggio o entrambi (collaboratori domestici, assistenti domiciliari, ma anche addetti a produzioni che subiscono fasi di crisi);

donne lavoratrici migranti, che si trovano in difficoltà alloggiativa per problemi legati alla maternità;

nuclei familiari che, per varie ragioni (disoccupazione, sfratto, etc), si trovano in grave e temporanea difficoltà alloggiativa;

migranti in condizione di marginalità sociale analoga ai "casi sociali" italiani;

cittadini stranieri entrati clandestinamente in territorio nazionale oppure in fase di irregolarità per scadenza dei termini del permesso di soggiorno o attesa di regolarizzazione.

Per figure come queste la strategia per la pronta accoglienza deve prevedere strutture caratterizzate da molto "servizio" e poca "casa". Si tratta di situazioni differenti ma in cui il disagio alloggiativo è, o potrebbe essere, di carattere transitorio e di una fase in cui è invece più importante una funzione di supporto, di orientamento, di erogazione di servizi.

 

La nuova legge sull’immigrazione  

L’approvazione del T.U. 286/98 apre nuove prospettive in merito alla gestione del problema abitativo degli immigrati. L’art. 40, infatti, affronta, in modo abbastanza ampio ed articolato, i molteplici aspetti inerenti le questioni connesse sia alla prima accoglienza sia al successivo percorso fino all’alloggio definitivo.

Le disposizioni approvate consentono di percorrere diverse strade, alcune anche nuove e prevedono l’istituzione di un fondo nazionale. Ma soprattutto stabiliscono che siano le Regioni, in collaborazione con le Province e i comuni e altri enti pubblici o privati, fondazioni, associazioni e organizzazioni di volontariato a predisporre, con risorse provenienti dal fondo nazionale e proprie, i centri di accoglienza, gli alloggi sociali, accessibili ad italiani e stranieri, il recupero di alloggi di proprietà degli Enti Locali o di enti morali pubblici o privati o di cui ne abbiano la disponibilità legale per almeno 15 anni.

Fra gli elementi di maggior rilievo, il T.U. ha stabilito, al comma 6, che gli stranieri, regolarmente presenti in Italia, "hanno diritto di accedere, in condizioni di parità con i cittadini italiani, agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ai servizi di intermediazione delle agenzie sociali eventualmente predisposte da ogni Regione o dagli Enti Locali per agevolare l’accesso alle locazioni abitative e al credito agevolato in materia di edilizia, recupero, acquisto e locazione della prima casa di abitazione."

Su questo versante, è evidente che le innovazioni sostanziali dovrebbero riguardare anzitutto politiche generali per la casa: il rischio è quindi che non vi siano le condizioni (normative, organizzative, di finanziamento) idonee per la realizzazione delle prospettive disegnate dal T.U.

Anche l’area potenzialmente più innovativa, quella degli "alloggi sociali, collettivi o privati", le previsioni della legge sono inutilmente restrittive e il riferimento al quadro normativo nazionale e regionale è tutto da costruire. Ma probabilmente questo indeterminatezza può trasformarsi in una occasione di progetto, in uno spazio da riempire con esperienze innovative.

Infine, le risorse messe a disposizione dal sono in tutta evidenza ben poca cose rispetto ai fenomeni di cui parliamo; è una ragione in più per impegnarli in maniera mirata, per produrre sperimentazioni utili: il carattere necessariamente limitato e particolare di questi interventi non potrà esaurire i problemi del disagio abitativo, ma può rappresenta un cardine su cui è possibile orientare in maniera innovativa le politiche sociali per la casa.

 

L’immigrazione come questione urbana  

Nonostante la portata numericamente ancora ridotta del fenomeno migratorio e la limitata tendenza alla concentrazione dei gruppi immigrati, nelle medie e grandi aree urbane cresce l’inasprimento della contesa territoriale su spazi dove da parte di gruppi di cittadini la presenza di immigrati è associata ad un rischio, a un fattore di degrado o di svalorizzazione del proprio habitat.

In questo scenario di conflittualità territoriale e di visione univoca dell’identità, modi differenti di interpretare gli spazi pubblici e i bisogni abitativi vengono vissuti come un elemento di turbamento di equilibri faticosamente conquistati e mantenuti, e gli immigrati diventano la minoranza avvertita come minaccia al bene della sicurezza.

In questo contesto vanno collocate le difficoltà di molte amministrazioni a collocare nel proprio territorio progetti di insediamento per immigrati o per comunità rom.

Scegliere, decidere e realizzare - in queste condizioni - è diventato un compito tremendamente difficile. La decisione e la scelta non sono più l’esito di qualche procedura semplice, amministrativa o politica. Le decisioni sono gettate nell’arena della città, esposte ai venti dei gruppi di pressione, degli interessi particolari. Un’arena piena anche di vittime, naturalmente, di vincenti e di perdenti, ciò che viene troppo spesso dimenticato.

Nell’azione di superamento di quei fattori che a livello locale hanno costituito ostacolo all’utilizzo dei finanziamenti specifici, oltre a procedure più rapide nei tempi di predisposizione degli interventi, va compresa una più esauriente comunicazione sociale della progettualità pubblica ed una più efficace mediazione dei conflitti locali legati all’immigrazione.

Sul piano locale, va esplorata la possibilità di fare interventi sull’immigrazione che siano anche occasioni di visibile progetto della città.

La realizzazione di interventi per gli immigrati, integrati ad altri interventi su aspetti di disagio urbano presenti nei quartieri interessati, produce un’azione unitaria, un maggiore relazionamento sociale ed urbano, processi di inserimento più strutturati.

É però irrealistico - in questo momento - affidare la soluzione di questi problemi esclusivamente al gioco delle volontà locali. I finanziamenti per gli immigrati, come quelli per i Rom, ma ormai anche quelli per l’edilizia pubblica, rischiano di non essere spesi, molte amministrazioni locali considerano queste presenze elementi in sé di degrado.

Vanno quindi sollecitate, a sostegno della capacità locale di progettazione di interventi, politiche sovralocali, regionali e nazionali, di incentivazione e di facilitazione.

L’impegno per una città accessibile, accogliente, conviviale si configura come un tema strategico. L’assunzione del valore della differenza, del dialogo tra identità e appartenenze diverse, rappresenta il tema cruciale per affrontare tutte le forme di crisi della coabitazione urbana, per ripensare la città come organismo unitario, per superare le barriere culturali e del linguaggio, i confini materiali e immateriali dello spazio urbano.

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