La condizione del minore zingaro e il fenomeno della microcriminalità. La realtà bolognese.

di Elena Zaccherini
Vincitrice del premio "Luciana Sassatelli" 1995, per tesi di laurea sull'immigrazione istituito dall'Osservatorio Comunale delle Immigrazioni, con la tesi Diversità o devianza? Minori zingari e risposte giudiziarie, Università di Bologna, Facoltà di Giurisprudenza, a.a. 1993-94


1. Negli ultimi anni, tutte le Procure e Tribunali minorili d'Italia, e in particolar modo quelli delle città del nord e del centro, hanno registrato il peso sempre crescente del fenomeno della criminalità minorile nomade, nella sua forma tipica dei "reati contro il patrimonio".

I dati statistici indicano che il numero di minorenni nomadi slavi denunciati per motivi penali e/o entrati per gli stessi motivi negli Istituti e Servizi penali minorili, è andato progressivamente aumentando, concentrandosi quasi esclusivamente nelle regioni del centro nord e con un indice di residenzialità che tocca quasi esclusivamente le zone periferiche delle grandi città. Questo dato non comprende però il grande numero di bambini e adolescenti di età inferiore a quattordici anni che, in considerazione dello status di non imputabili di cui godono secondo la normativa penale italiana, sono coinvolti in grande numero e precocemente in attività trasgressive. Di loro non vi è traccia, poiché le denunce relative vengono via via archiviate senza dar luogo in genere a nessun tipo di provvedimento e soprattutto senza implicare alcuna restrizione della libertà personale: sono però proprio i dati relativi ai non imputabili e le loro variazioni a seconda degli anni e degli uffici, a dare la misura della reale portata del fenomeno.

Le ragioni per cui la pratica dei reati contro il patrimonio, modalità tipica di trasgressione alle nostre leggi da parte degli zingari, abbia coinvolto in misura sempre crescente minori adolescenti e bambini, sono da ricercarsi nella crisi socio-economica che ha investito il mondo zingaro.

Urbanizzazione, sedentarizzazione, acculturazione, perdita dei ruoli all'interno della famiglia, sopraggiungere di nuovi gruppi di Rom dalla Jugoslavia che stravolgono l'equilibrio numerico delle famiglie zingare presenti da secoli sul nostro territorio, sono fattori di crisi e di disagio; ignorati, rifiutati o ghettizzati, i Rom vivono oggi una condizione di povertà ed emarginazione che li spinge con facilità verso l'illegalità o la devianza.

Il problema del lavoro e della crisi delle attività tradizionali non può non riversare le sue conseguenze proprio sui minori: da sempre nelle società rurali arcaiche i figli rappresentavano una forza e una ricchezza, e sempre i ragazzini e i bimbi Rom sono stati referenti e produttori di sicurezza economica all'interno della propria famiglia. Questo ruolo che rientrava nella normalità e che affiancava in forma marginale il lavoro degli adulti, poiché la famiglia accettava ciò che il figlio portava, indipendentemente dal fatto che l'avesse ricevuto in elemosina o che l'avesse rubato, assume oggi caratteristiche abnormi e patologiche all'interno di quelle comunità Rom che fondano la propria sopravvivenza prevalentemente sull'accattonaggio e il furto delegato ai propri figli.

Parallelamente a questa situazione, vediamo che la condizione del minore si aggrava ulteriormente per la crisi di un soggetto quale è l'adolescente zingaro, che vive all'interno di una struttura sociale indebolita, e che in essa non trova più l'unico elemento di riferimento per costruire la propria identità sociale. Il minore si trova in una "dimensione intermedia": egli mantiene tradizioni etico-morali della cultura originaria ma al tempo stesso assimila e accetta alcuni valori della società ospitante costruendosi a livello mentale un'immagine bidimensionale del reale, in cui esistono da una parte il proprio gruppo etnico e dall'altra il sistema sociale del mondo esterno.

In questo rapporto di bipolarità, il gruppo di appartenenza, fonte e ambito di mantenimento della propria identità etnica, nell'indebolirsi della propria capacità normativa, non è più sufficiente come unico modello di riferimento per la formazione della personalità del minore. In una tale fase di crisi il mondo esterno gioca una duplice funzione: è una realtà percepita come estranea ed ostile, che investe il minore con tutti i suoi pregiudizi, e che causa comportamenti riflessi di aggressività e rifiuto, come "azione di difesa" contro meccanismi di discriminazione, in un sistema circolare di "causa-effetto" con poche possibilità di uscita; e d'altro canto diviene fonte di nuovi stimoli e modelli comportamentali, conflittuali con la cultura d'origine, dai quali i minori si sentono irresistibilmente attratti e che inevitabilmente diventano elementi di confronto con i quali si rapportano.

E' praticamente la stessa situazione che si produce in ogni fenomeno di immigrazione, quando "si perdono i punti di riferimento e le regole del luogo di provenienza; ma il ragazzo non acquisisce le regole del nuovo gruppo".

Ecco che succede allora in casi limite, che il minore, persi stimoli ed incentivi a mantenere la propria identità etnica, che sembra non avere più spazio e ragione nel mondo esterno da lui percepito e frequentato, rischi per questo di divenire un autoemarginato nella propria stessa società, continuando per altro a rimanere un emarginato dalla società esterna, poiché non ancora in grado di inserirsi in essa: è così che si creano quei fenomeni che la sociologia definisce di "anomia sociale" e che diventano terreno fertile per l'emergere di un nuovo tipo di delinquenza minorile.

Il minore, già avviato ad attività quali il furto e l'accattonaggio, non avrà difficoltà ad inserirsi all'interno di gruppi di giovani gagè dediti ad attività delittuose, in questo modo cercando di costruirsi una nuova immagine sociale a cavallo dei due sistemi. In realtà questo è un processo che lo vede porsi al di fuori dei codici normativi di entrambe le culture, e che rischia di farlo etichettare come deviante non solo dalla la società esterna, ma anche dal proprio gruppo etnico di appartenenza

In tali casi il minore può essere considerato a ragione deviante dai valori e dal sistema di vita della propria etnia, perché intenzionalmente si allontana da un codice normativo che gli è stato presentato e che ha interiorizzato come proprio; quando invece si etichetta come deviante un minore in relazione a tutti quei comportamenti estranei o ostili alla legalità, normalità, e razionalità della società contemporanea, inquadrandolo in fenomeni di anomia, criminalità, patologia o marginalità sociale, non si può non incorrere in un errore di base.

La stigmatizzazione di deviante che del minore zingaro fa la società esterna, non tiene in considerazione il fatto che, per potersi parlare di "devianza" deve verificarsi un volontario allontanamento da un sistema di norme giuridiche, etiche, e comportamentali, tale da sostanziarsi nella scelta che il soggetto fa di dissociarsi dalle mete culturali proposte dal sistema e dalle vie istituzionali previste per realizzarle, dando luogo a comportamenti ad esso non conformi.

Ecco perché nell'analizzare il complesso fenomeno delle attività illegali compiute da minori zingari, bisogna tenere conto che rientrano nella devianza solo parte di quelle situazioni che possono comportare l'intervento di un tribunale minorile, poiché gli eventi configurano spesso semplici episodi di illegalità, impossibili da sussumere nella categoria della devianza; la degenerazione della crisi del mondo zingaro ha prodotto poi fenomeni di sfruttamento e quindi di delinquenza indotta mentre il pregiudizio della società ospitante ha stigmatizzato situazioni minorili di vita che l'uomo medio di oggi ritiene intollerabili.

Nella sua globalità dunque il fenomeno deve essere analizzato secondo particolari sfaccettature e modalità di manifestazione, inquadrabili nelle categorie così individuate della devianza, dell'illegalità, della delinquenza indotta e del pregiudizio.

2. La situazione di Bologna si può ricondurre facilmente a quella delle altre grandi città del nord Italia: il fenomeno della microcriminalità minorile nomade è apparso attorno all'inizio degli anni ottanta, e, pur con notevoli variazioni, è andato tendenzialmente aumentando fino all'inizio degli anni novanta, durante i quali, anche a seguito della nuova normativa, ha subito però una certa contrazione.

In questo lasso di tempo si sono confermati alcuni fenomeni di natura sociale che, registrati nel loro nascere all'inizio degli anni ottanta, hanno avuto notevole impatto sulla gestione della giustizia minorile. Il sempre crescente deteriorarsi degli equilibri familiari, l'aumentata intolleranza della società verso gli emarginati e i diversi, il prorompente fenomeno immigratorio di minori clandestini, sono stati i fattori che maggiormente hanno condizionato il lavoro degli operatori della giustizia nelle sedi giudiziarie del capoluogo emiliano.

Per ciò che riguarda il fenomeno "nomadi slavi", la realtà registrata non si discosta da quella che si rileva a livello nazionale: innanzitutto il problema dell'impossibilità dell'identificazione pare paralizzare ogni tipo di intervento, e a ciò si aggiunge anche l'impossibilità di eseguire l'eventuale e necessario provvedimento di espulsione nei confronti delle persone non identificate.

Per ciò che riguarda gli zingari italiani, i Sinti (la cui modalità tipica di reato è il furto nei grandi magazzini), gli interventi del tribunale non sono così restrittivi ed essenzialmente punitivi come avviene per gli zingari slavi, e la ragione di questa diversità di trattamento sta proprio nei fatto che per i primi non esistono così gravi e diffusi problemi di identificazione come per i secondi, essendo i Sinti cittadini italiani a tutti gli effetti, e quindi in possesso di documenti di riconoscimento.

Gli slavi, genericamente non in possesso di passaporto, producono documenti che non sono ritenuti validi dagli uffici giudiziari bolognesi, come per esempio tessere di lavoro della madrepatria, oppure documenti falsi, procurati da organizzazioni criminali la cui sfera di influenza è stata rilevata anche su Bologna.

Proprio per far fronte a questa situazione, sono state impartite alle forze di polizia disposizioni specifiche sulla necessità di fotosegnalare tutti i minori nomadi, anche infraquattordicenni, coinvolti in reati, e coloro che, familiari o presunti tali, dopo la commissione del reato ne richiedano la riconsegna. Al fine di una migliore coordinazione fra le varie Procure queste schede confluiscono poi nella banca dati dell'Interpol.

Per poter esercitare l'azione penale nei confronti di tutti quei minori fermati o arrestati che si dichiarano infraquattordicenni pur non essendolo più, dopo la fotosegnalazione, i ragazzi sono usualmente sottoposti a visita medica, e, nel caso in cui risultino infradiciottenni, vengono trasferiti in Centro di Prima Accoglienza.

Tale prassi, che per la tendenza alla recidiva degli zingari comporta sullo stesso minore un elevato numero di dannose visite radiologiche, solleva però dubbi di legittimità in riferimento all'abuso di trattamenti medici su minore.

Inoltre, nei casi in cui coinvolte in reati siano ragazze in stato di gravidanza o in allattamento, questa procedura, oltre che dannosa, risulta anche inutile, poiché, in ragione del loro stato, le ragazze non possono essere destinatarie di misure cautelari.

Per ciò che riguarda le ipotesi di commercio o sfruttamento di minori, anche sul territorio bolognese si è segnalata l'esigenza di creare un coordinamento con le varie procure circondariali del distretto, per favorire un'indagine allargata ai nuclei parentali che chiarisca se ci si trovi di fronte ad ipotesi di bambini obbligati o meno alla criminalità.

Pur nella difficoltà di acquisire la prova della compartecipazione, anche Bologna ha rilevato che i minori vengono accompagnati sul luogo dei delitti con mezzi privati di adulti, che vengono preventivamente istruiti sulle modalità di esecuzione dell'azione furtiva, e che i proventi del reato sono destinati al gruppo familiare (o presunto tale); i ragazzi sono inoltre muniti di carte di identità false e di un numero di cellulare per comunicare con gli adulti, in caso di fermo.

Per queste ragioni, la Procura persegue una linea di accentuata rigidità nel concedere permessi di colloquio tra minori arrestati non identificati e presunti genitori, consentendoli solo tra persone compiutamente identificate.

La Procura denuncia inoltre l'inadeguatezza organizzativa degli istituti di accoglienza per minori, il cui funzionamento pare insufficiente e sostanzialmente disarmato: gli slavi non identificati né identificabili, trovati a mendicare o a rubare, vengono inseriti nei "gruppi appartamento", ma non essendo queste strutture di tipo custodiale, entro poche ore il minore le abbandona. Si rende così impossibile qualunque intervento propositivo o di semplice assistenza.

Bisogna infine tenere presente che la guerra in Jugoslavia ha influito in maniera determinante: non essendovi più un soddisfacente controllo alle frontiere, è aumentato il flusso migratorio di tale nazionalità, ed essendo sospesa per motivi umanitari l'esecuzione delle misure espulsive nei confronti degli slavi provenienti delle zone di guerra, si è verificato in Italia un incremento dei reati relativi ai giovani zingari.

Quando però si passa ad esaminare la prassi applicativa del processo penale minorile nei casi che coinvolgono minori zingari, risulta subito evidente quanto questa sia discriminatoria e penalizzante: tutte le misure alternative alla carcerazione preventiva (quali l'affidamento alla famiglia, le prescrizioni o la comunità) non vengono genericamente utilizzate, sia per mancanza di volontà, sia per effettiva inadeguatezza delle strutture esistenti; genericamente i minori zingari non usufruiscono dei benefici previsti dalla legge italiana, quali il perdono giudiziale (poiché l'alto numero di recidive dei minori Rom configura una prognosi contraria a quella che giustificherebbe l'applicazione di una tale misura) o la messa alla prova.

In particolare questa ultima misura prevista dall'art. 28 d.p.r. 448/1988 non si applica a minori slavi. La sospensione del processo con conseguente messa alla prova si è avuta a Bologna solamente per alcuni casi di minori Sinti, gli zingari di origine italiana; mai per gli slavi. Risulta infatti difficile elaborare un programma di messa alla prova per minori che provengono da un diverso e complesso ambiente sociale; inoltre ci si chiede a che cosa dovrebbe essere rieducato un minore Rom che ruba perché così sente di dover fare per contribuire al sostentamento della propria famiglia, o perché così gli è stato insegnato, o perché vi è costretto.

Sostanzialmente la macchina della giustizia ignora in quale contesto si sviluppano simili condotte illecite e devianti, e le risposte che dà vanno in due differenti direzioni, opposte, ma rispondenti alla medesima politica giudiziaria: si ha infatti da un lato un sostanziale disinteresse per il fenomeno, che porta le singole procure a limitarsi a ricevere le notizie di reato dalla polizia e a "schedare" i minori, per poi ignorarne il destino, nel timore che una piena analisi e presa in carico del fenomeno porterebbe alla paralisi degli uffici e delle strutture giudiziarie; dall'altra invece, si registra un'univocità di risposte penali quando i minori vengono perseguiti e condannati, con modalità e provvedimenti essenzialmente punitivi, utilizzati strumentalmente per dissuadere gli adulti responsabili dall'utilizzo di minori in attività criminali.

Estraneità rispetto alla nostra cultura, percezione deviata dei valori della società dei consumi, condizioni di vita spesso ai limiti dell'accettabilità, obblighi scolastici inevasi, problemi di lingua e di emarginazione, sono i fattori che condizionano negativamente lo sviluppo di una larga fetta di minori zingari; se a tutto ciò si aggiunge un trattamento giudiziario nei fatti discriminante, e il sostanziale disinteresse delle pubbliche amministrazioni competenti, un problema vasto e complesso quale quello del fenomeno della criminalità minorile zingara rischia di diventare la cartina al tornasole dell'incapacità del nostro sistema, e sociale e giudiziario, di affrontare senza pregiudizi o preclusioni realtà altre e problematiche, legate per esempio al fenomeno dell'immigrazione, che sempre di più costituiranno il campo di prova della validità del nostro sistema.