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Da La Repubblica del 10 Dicembre 2000

L'italiano a mano armata "Lavoro, sparo, mi difendo"

di PIERO COLAPRICO- MILANO

 

 

- Il tunnel del poligono milanese è un grande quadrilatero sotterraneo, cementato. Insonorizzato il più possibile. Eppure, si sente un rumore di tuono. Un rombo dopo l'altro. "È la mia calibro 50, una pistola israeliana, su licenza della Magnum di Minneapolis. Sa che con questa tiravano giù gli elicotteri nella Guerra del Golfo?", si vanta un signore occhialuto, rotondetto, che fa il designer. Ha prestato il gigantesco modello Desert Eagle a un amico, che la impugna a due mani, il palmo sinistro premuto sopra il polso destro: "Eh sì, questa è un'arma da Schwarzennegger. Quando spara esercita una pressione di otto chili per centimetro quadrato. Non è precisissima, ma se arriva a bersaglio...", spiega gentilmente il signor Luca Marchetti, facendo con le mani il gesto inequivocabile di un buco largo quindici centimetri. Le postazioni vicine, protette da vetri blindati, sono tutte occupate. Dopo che il presidente Guido Carrer ha vietato qualsiasi sagoma umana, i bersagli sono rotondi, bianchi e neri. Sparano un professore universitario, un paio di ragazzoni, una bionda signora arrivata apposta dalla Svizzera e, come spiega Pasquale F., da 27 anni responsabile del tunnel e anche istruttore di tiro, "qui sono tutti professionisti, gente che sta bene finanziariamente. Magari arrivano qui dopo il lavoro, un po' nervosi, ma c'è chi, quando esce dopo aver tirato, mi dice: "Beh, ora sto meglio, mi sono rilassato". Nessuno dei miei allievi ha avuto rogne, io glielo dico sempre: "Ricordatevi sempre che tirarla fuori fa male, sputa fuoco, e finite nei guai anche se avete ragione"". Dopo il predicozzo, uno guarda forse con meno apprensione il proprietario del pistolone calibro 50, pensando che tra poco, insieme al piccolo cannone, tornerà nella sua Vercelli in macchina. E potrà conservarselo in casa, o lo terrà in tasca (ammesso che abbia una giacca con stoffa adeguata al peso), come gli consente il porto d'arma. Lo Stato ha dato fiducia a Marchetti, ma Marchetti, come tutti i rappresentanti del popolo armato, ricambia a stento. Anzi, si fida poco del sistema-sicurezza: "Altrove nel mondo civile il cittadino è più protetto. Non dico che debba bastare la carta d'identità, come in America, ma bisogna capire che le persone sono sempre più esasperate. Quanta gente muore per mano dei rapinatori? Un mia amica, che lavora nella banca di un paese di 800 persone, è stata rapinata due volte". Ogni volta che si parla di temi generali come la sicurezza, si finisce per perdersi nei mille casi particolari. E, quanto a record del brutto ricordo, un altro teorico della difesa fai-da-te, uno che si esercita al poligono, pare un primatista. Si chiama Gaetano Bianchi, 62 anni, gioielliere, presidente dell'Ascoloren, l'associazione dei commercianti di via Lorenteggio: "Le confesso che se non avessi la pistola, non saprei stare dietro al banco del negozio. Io sono un mite, nella pistola ho trovato la sicurezza". Andiamo nel suo negozio, dietro al quartiere del Giambellino, e potrebbe essere una specie di visita guidata nelle paure metropolitane, se non che: "Non ho paura di espormi - dice Bianchi - Voglio far sapere che non siamo tutti paurosi e pecoroni. Qui dentro, nella mia attività, ho subito quattordici fatti criminosi. Si va dai furti con destrezza agli attacchi a vetrine e serrature. Là c'è stato un buco nel muro grazie al quale mi hanno svuotato la cassaforte, e poi le tre rapine a mano armata. La prima nel '73, la seconda sei mesi dopo, e allora ho deciso di armarmi. Avevo inseguito uno dei banditi, l'avevo acchiappato in strada, ma un'auto ci ha travolto e i suoi compari, dall'altro marciapiede, hanno sparato, e un colpo è finito lì, nel marciapiede. E così, quando ho subito la terza rapina, anch'io ero armato". E dunque ha sparato? "Macché, mi sono accorto che chi è entrato ci sapeva fare, ci teneva sotto tiro da professionista, e ho preferito non rischiare le nostre vite". Il negozio è bello, grande, nel cassetto c'è l'arma che, anche se inutilizzata, "mi dà tranquillità". Il signor Bianchi è affabile, chiacchiera con i negozianti vicini. "Lei signorina, impari a vivere in città", suggerisce a una avvicinata da un ragazzo che chiedeva da fumare: "Quello è uno scippatore, borseggiatore. Il problema è che è stata coltivata la delinquenza, viene facile commettere reati e farla franca. Perciò prevale il fai da te, io ne sono un convinto assertore. E, mi chiedo, che senso ha arrestare il medico di Napoli? Dovrebbero dargli una medaglia, si solo è difeso". La politica della pistola sembra vincente soprattutto dal punto di vista psicologico. Esiste un Far West mentale in cui l'arma non mette più tensione, come si potrebbe immaginare, ma "porta relax", come spiega meglio del gioielliere un imprenditore elettronico. "Io ho uno dei più vecchi porti d'arma di Milano, l'ho fatto nel '77, a 23 anni. Ero considerato "rapibile" nella stagione dei sequestri di persona. E da quando ce l'ho, so che devo essere padrone dei nervi e mi sono calmato, ancora adesso vado armato dalla mattina alla sera". Disposto anche a far scattare il percussore contro su un essere umano? "Ero in auto, hanno tentato di portarmi via l'orologio, uno dei due è finito per terra. Ha tirato fuori il coltello e io gli ho puntato la pistola: "Se ti muovi ti fulmino". L'avrei fatto, poi l'ho lasciato scappare, troppo casino per la denuncia. Ormai - ridacchia - preferisco andare nei guai io per aver ammazzato un altro, che veder finire nei guai uno per aver ammazzato me".