da " La Repubblica" del 22 ottobre 2000

CORAGGIO E PREGIUDIZI

di MICHELE SERRA

IL penosissimo caso del professor Marsiglia (simulazione di razzismo) e il caso uguale e contrario dell' albanese di Bologna accusato (soprattutto dai titoli di giornale) di uno stupro mai avvenuto, invitano a ragionare di questi argomenti con la massima prudenza. Così, di fronte a un giudice dei minori che nega a una coppia di italiani bianchi l'adozione di un bimbo nero, teniamo a freno l'istintiva indignazione, e proviamo ad analizzare con serenità le motivazioni addotte. SECONDO il magistrato, le coppie che vivono in piccoli centri esporrebbero l'eventuale bambino nero "alla meraviglia del paese". E poiché ogni decisione va presa "in funzione della speranza di integrazione del bambino", il Tribunale di Ancona ha suggerito in più occasioni di adottare solamente bambini "di razza europea". Ammesso e concesso che il magistrato abbia a cuore solo e soltanto la "speranza di integrazione del bambino", resta da stabilire se davvero sociologia e antropologia dei "piccoli centri italiani" corrispondano a quelli paventati dal magistrato. Davvero esistono, nell'Italia odierna, plaghe così naives e auto-segregate che l'apparizione di un bambino non bianco susciterebbe "meraviglia"? Li avranno visti almeno in televisione, i neri, in qualche Olimpiade o in qualche show, o solamente sulle vecchie scatole di cacao o di biscotti, secondo quel tropicalismo di latta che associava i "negretti" a certi aromi esotici? E dove si documenteranno, nei "piccoli centri", a proposito dei neri: vedendo sui giornali e in tivù Carlton Mayer, Idris, Ronaldo, incontrando sulle spiagge e nei bar e ovunque gli ambulanti africani, lavorando nelle fabbriche e nelle aziende fianco a fianco con i senegalesi e gli etiopi, oppure devono rispolverare le vecchie foto di Josephine Baker e di Satchmo con la tromba? Cioè: esistono ancora, ma davvero, luoghi italiani nei quali la presenza di un non bianco risulta esotica, sorprendente, stupefacente, scandalosa, bizzarra? Oppure al Tribunale dei minori di Ancona, da diversi anni, mancano notizie di quanto accade nelle case, passa in televisione, cammina per la strada, traversa gli occhi e le orecchie degli italiani? Sarà perché vivo in un piccolo centro (molto piccolo, e per giunta di montagna) dove tre o quattro famiglie hanno adottato sette o otto bambini non bianchi, non europei, decisamente neri, che sono perfettamente integrati. Sarà che di quei sette-otto ce ne sarà pure uno che è stato il primo, senza che nessuno abbia sentito il bisogno di suggerire "meraviglia", o di sancirla su carta bollata. Ma veramente non riesco a credere che l'adozione di un bambino possa essere ostacolata da un pregiudizio così implacabile nei confronti di intere comunità, implicitamente accusate di razzismo senza neppure essere state messe alla prova. Che poi, nei piccoli come nei grandi centri, esistano fette minoritarie di società impreparate ad accogliere non dico un bimbo nero, ma financo la sua ombra, è perfettamente vero. Ma la comunità nel suo insieme, e soprattutto la famiglia che generosamente si apre all'adozione, sono così sprovvedute da lasciarsi intimidire, e disamorare? E un Tribunale dei minori, che rappresenta le istituzioni e le ragioni del diritto, può essere così pavido da scegliere, di fronte a un eventuale conflitto tra accoglienza e chiusura, di arrendersi alla chiusura senza nemmeno avere provato a combattere? Può dimostrare, un Tribunale della Repubblica, meno di un decimo del coraggio messo in campo da una coppia di semplici cittadini? Infine, la sentenza, anzi le sentenze del Tribunale dei minori di Ancona, non ci paiono affatto razziste. Ci paiono tristi, tristi come ogni vittoria che la paura riesce a strappare nel suo interminabile derby con il coraggio.