da "La Repubblica"

del 22 Settembre 2000

COMPLICI MORALI

di MICHELE SERRA

IL PIU' composto (come spesso accade) è stato Gianfranco Fini, che ha solidarizzato con il professore aggredito e ha detto che il razzismo è una porcheria. Per il resto, pare quasi che i siti con le liste di proscrizione degli ebrei, i piccoli fuochi veneti contro le catapecchie degli emarginati, il puzzo di Ku Klux Klan, di odio bianco che esala da troppe parole e troppi gesti, siano appena un inciampo, una grinza, un dettaglio che la sinistra ingigantisce per attaccare briga sotto elezioni.

NON UN problema della destra, dunque. Non un rigurgito del suo passato più vergognoso. Prevale, a destra, l'invelenita quanto ridicola accusa che "la si voglia buttare in politica": come se la politica, con le insorgenze xenofobe e la nevrosi isolazionista del Nord, c'entrasse nulla. Come se non fosse esattamente la politica (con le parole di suo conio e con quelle che raccatta per strada) il campo dentro il quale si è picchiato, ferito e anche ucciso, in questo e altri paesi, pure in anni di pace. La destra se ne faccia una ragione. Il razzismo e l'intolleranza saranno, del tutto legittimamente, uno dei grandi temi della campagna elettorale. E non la malevolenza degli avversari, ma la storia e la cronaca recenti imporranno presto uno sgradevole ma inevitabile dibattito sui cattivi maestri di destra. Perché questo dibattito non sia sguaiato, aggiungendo fiele e disprezzo a uno scenario politico già pessimo, può essere utile anche una breve riflessione sul capitolo precedente: quello dei cattivi maestri di sinistra. Già allora, in una sorta di ante-litteram del politically correct, si affermò l'idea (sacrosanta) che le parole sono pietre, e non è morale né coraggioso lanciarle e poi nascondere la mano. Al tempo stesso, e per quella stessa via virtuosa, si sforò spesso in un calunnioso moralismo e in un conformismo ammorbante, tanto che per lunghi anni parlare di antagonismo sociale o di lotta di classe conduceva d'ufficio nella lista dei cattivi (maestri). Come se pensare male del padrone o ammazzarlo fossero tutt'uno. Il discrimine tra l'incitamento all'odio e la libertà d'opinione non è sempre così netto, in democrazia. Appena più in qua, c'è il conformismo censorio. Appena più in là, la licenza di versare la benzina e magari buttare il cerino. Nondimeno, e anzi proprio per questo, è sempre urgente e necessario provarlo a piantarlo, quell'arduo paletto, come tutti quei paletti borderline che segnano il confine precario e cangiante tra la convivenza e la sopraffazione. Perché se scrivere sui muri "Calabresi assassino" fu complicità morale in un delitto, che cosa è urlare "negro di merda" in uno stadio, o "fuori gli ebrei" in un corteo, o "gay sporcaccioni" in un comizio? Tolti i ciechi che non vogliono vedere, e gli occhiuti che vedono ovunque l'uovo del serpente, bisognerebbe dunque che il resto del mondo politico e intellettuale si sobbarcasse la notevole fatica di ragionare. Se ad esempio il sito Internet di Gasparri (ma allora è vero che ce l'hanno proprio tutti) e della Lega sono così permeabili agli umori uncinati, all'antisemitismo, ai pruriti squadristi, sarà bene evitare di iscrivere Bossi e Gasparri tra i neonazi (anche per non ingrossarne le esili fila). E concedere ai tenutari di quei siti l'attenuante di una troppo disinvolta apertura alle acque reflue del sociale. Ma sarà anche inevitabile chiedere a Bossi e Gasparri come mai, tra i tanti bar con biliardo disponibili nel paese, proprio i loro siano così frequentati dai pensatori di quella genia, e dai loro gorilla. Perché, purtroppo, la tendenza dei gestori di tutti i bar è non scontentare la clientela. E magari credere o far credere (parlo della Lega) che si possa impunemente inveire contro gli stranieri, insultare il nemico di turno, invocare la purezza etnica del "popolo eletto", disinfettare i vagoni delle puttane (nere, ché quelle bianche sono sterili come crocerossine), sperimentare qua e là grottesche e odiose leggine segregazioniste, senza che i fanatici ti prendano in parola e magari ti considerino mandante delle loro imprese. Allo stessissimo modo, quei giornali di destra (del Polo, mica di Forza Nuova) che da mesi spiegano che Haider è un brav' uomo, un ecologista, un intenditore di birra e un leader amatissimo, by-passando con qualche battuta frescona un rovello che sta impegnando l'Europa intera, destra compresa; quei giornalisti, mentre rivendicano a buon diritto la loro libertà d'opinione, come possono scandalizzarsi se gli avversari politici, semplicemente leggendo i loro articoli e facendo due più due, ne deducono che il centrodestra italiano ha una robusta, allegra e rumorosa componente haideriana, cioè (perlomeno) xenofoba? L'alleanza del Polo con la Lega, dei liberali con Borghezio, è un cavillo scovato dagli avversari insinuanti o è un problema grosso così per il centrodestra stesso, nonché per il paese intero? Non si disse giustamente, venticinque anni fa, che la violenza poteva prosperare solo perché aveva acqua in cui nuotare? E ancora: dire che la presenza islamica costituisce un problema anche per lo Stato laico significa indicare una questione certa, anche se parecchio scomoda, e scortese da rammentare. Ma invitare i cattolici a riprodursi per vincere la santa guerra demografica contro i mori (Baget Bozzo), oppure invocare una qualche selezione degli immigrati a seconda della loro fede (Biffi), oppure ancora (Maggiolini) dire che i cattolici italiani sono stranieri in patria (sapesse gli atei, monsignore!), significa invece fare di quella stessa questione un'ossessione fobica, brandirla come un'arma, e in fondo sperare che le ferite si allarghino per poterci versare sopra tutte le scorte del proprio sale, che sennò rischiava di ammuffire nei magazzini. Che cosa sta attraversando la testa e la pancia di un pezzo consistente del mondo cattolico, se un giornale coscienzioso come l'Avvenire, forse per pudore curiale, non ha voluto e saputo mettere in prima pagina la notizia del pestaggio di un insegnante di religione cattolica? Ergo. E provando a tirare le fila di un discorso comunque impervio. Si dovrebbe tenere ben desta, per non ricaderci, la memoria del bacchettonismo emergenziale, e ascoltare le opinioni di tutti, comprese quelle sgradevoli, senza gridare al sacrilegio e senza coprire gli altarini democratici perché i loro santi occhi non assistano allo scandalo ogni volta che un ciellino inneggia a un brigante, o un brigante a un ciellino. Si dovrebbe anche, però, e per lo stesso e comune bisogno di intelligenza, esigere che ognuno si assuma la responsabilità piena delle proprie parole (ammesso che le capisca), dei propri atti, delle proprie infiammate epistole ai padani in lotta. Dei propri popoli eletti, dei propri Borbone e Ruffo, Dio Po e Cristo Re, Maggiolini e Biffi. Senza offendersi quando, sempre facendo due più due, qualcuno si permette di stabilire un evidente nesso culturale e politico tra certe ardenti omelie e certe spade sguainate. Tra certi appelli alla difesa di Dio, Patria e Famiglia, e certe ronde che già sanno dove appenderli, i renitenti a quegli appelli.