Uno al giorno.

Gli atti di violenza contro gli stranieri in Italia

 

Introduce: Luigi Manconi

 

Michele Sorice, Ricerca sulla violenza xenofoba

Giuliano Amato, presidente del Consiglio dei Ministri

Lezione sul razzismo

 

Conclude: Laura Balbo

 

 

 

Camera dei Deputati

Sala delle Conferenze

Piazza San Claudio 166

Roma

Giovedì, 11 gennaio 2001- ore 11.00

 

 

Durante l'incontro verrà illustrata la ricerca, promossa da Luigi Manconi e curata da Michele Sorice, sugli atti di violenza contro gli stranieri nel corso dell'anno 2000.

Partecipano alcune classi di scuole medie inferiori e superiori di Roma.

 

 

 

 

 

 

In Italia, ogni 25 ore, uno straniero subisce un atto di violenza. È quanto evidenzia la ricerca oggi presentata e che prende in considerazione e analizza l'informazione fornita dai quotidiani sui fatti in questione. In effetti, gli atti di violenza sono più numerosi: mancano, infatti, quelli non denunciati per varie ragioni e mancano quelli che, seppure denunciati, non sono mai giunti sui tavoli delle redazioni.

E' noto che, in tutte le ricerche su questioni riguardanti la criminalità, il numero dei fatti delittuosi riportati dai mezzi di comunicazione risulta assai inferiore rispetto a quelli effettivamente accaduti. D'altra parte, come tutte le indagini criminologiche confermano, le vittime tendono a denunciare, per i motivi più diversi, solo una parte delle violenze subite; e tale tendenza si accentua se, come nel nostro caso, le vittime sono stranieri che - nella stragrande maggioranza dei casi - non hanno sufficiente dimestichezza con la lingua, con le istituzioni e con le leggi del paese che li ospita. Stranieri che, generalmente, si trovano in condizione di precarietà, se non di irregolarità; stranieri che, comunque, incontrano difficoltà "interne" (psicologiche) ed "esterne" (nelle relazioni sociali) a denunciare le violenze subite. Considerato tutto questo, l'elevato numero di atti di violenza registrati dai quotidiani italiani si rivela un efficace indicatore di una realtà sociale spesso sommersa, spessissimo sottovalutata, eppure assai preoccupante.

Inoltre, il dato relativo agli atti di violenza va collocato all'interno di una sequenza statistica inquietante. Nell'ultimo decennio, in Italia, le vittime di omicidio volontario sono drasticamente diminuite: ma è aumentata, e significativamente, la percentuale di vittime straniere. Se nel 1992 il 6% delle vittime apparteneva ad altra nazionalità (mentre la percentuale di stranieri sull'intera popolazione residente si aggirava intorno all'1%), negli anni successivi la percentuale di vittime straniere è cresciuta in misura rilevantissima. In presenza di una percentuale di stranieri appena superiore al 2%, le vittime di omicidio volontario, tra il 1995 e i primi nove mesi del 2000, hanno superato costantemente il 10% del complesso delle vittime; e hanno raggiunto, nel 1999, il 15%. Non si tratta esclusivamente, e nemmeno prevalentemente, di vittime di violenza xenofoba: è vero, piuttosto, che una parte notevole di questi stranieri è stata uccisa da altri stranieri, spesso a seguito di scontri tra gruppi criminali.

Questo rende più significativo il lavoro di classificazione che la nostra ricerca ha avviato. Il panorama offerto dai giornali analizzati sollecita numerosi motivi di riflessione: il 34,7% delle violenze su cittadini immigrati è di chiara matrice xenofoba e le donne sono, ancora una volta, il bersaglio principale di tale violenza (i dati del ministero dell'Interno confermano che, nell'ultimo decennio, nella popolazione straniera le vittime di omicidio sono raddoppiate fra gli uomini e triplicate fra le donne). Si tenga conto che qui, per "chiara matrice xenofoba", si intende quella esplicitamente dichiarata o agevolmente ricostruibile. Ci siamo limitati, dunque, a indicare come manifestazione di xenofobia solo quei casi dove la motivazione razziale risulta documentabile.

Gli autori degli atti di violenza vengono definiti nei modi più disparati: non più esclusivo appannaggio di gruppi marginali o ideologicamente motivati, la violenza ha per protagonisti anche "gruppi di cittadini", "singoli", "persone normali": individui che non presentano una evidente pericolosità sociale e che, tuttavia, si rendono colpevoli di atti delittuosi. Come se l'aggressività xenofoba iniziasse ad attecchire, in qualche modo, nelle pieghe "ordinarie" della società o, comunque, non risultasse loro completamente estranea.

Inoltre, il fenomeno non riguarda più solo le grandi città e le metropoli, ma investe anche la provincia, dal nord al sud; mentre, fra le grandi città - almeno a giudicare dall'analisi dei quotidiani - al volto "più ostile" di Roma, di Milano e di Torino si contrappone il volto "più tollerante" di Napoli.

Un elemento di conferma della valenza sociale del fenomeno è rappresentato dall'atteggiamento dei giornali verso la violenza: meno manicheo del passato, a volte più "distratto", altre volte più problematico e più attento a comprendere fenomeni sociali non facili da interpretare. Forse anche per questo solo l'1,5% degli eventi registrati diventa notizia di prima pagina.

Roma, 11 gennaio 2001

 

 

 

Osservatorio sulla comunicazione sociale

in collaborazione con la cattedra di

Storia della radio e della televisione

dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" - Facoltà di Scienze della comunicazione

 

 

 

 

Atti di violenza contro gli immigrati nel corso dei primi nove mesi del 2000:

analisi di 20 quotidiani italiani

 

 

 

Rapporto di ricerca

 

Direttore di ricerca: Michele Sorice

 

 

Gruppo di ricerca

Nieves Batres, Fabio Benvenuti, Elisa Benzoni, Raffaella Benanti, Mihaela Gavrila, Raffaella Piermarini, Federica Resta, Serena Saltarelli

Roma, dicembre 2000

 

 

 

 

 

 

 

  1. La ricerca
  2. La ricerca sulla "rappresentazione giornalistica" - offerta dalla stampa quotidiana - delle violenze sugli immigrati è stata svolta per la prima volta nel 1996, promossa da Luigi Manconi, allo scopo di censire le manifestazioni di aggressività xenofoba contro stranieri presenti nel nostro Paese; è stata reiterata, poi, per gli anni 1997 e 1998, su incarico della Presidenza del Consiglio - Dipartimento Affari Sociali.

    Come negli anni passati, è stato utilizzato uno strumento idoneo a una rilevazione efficace del fenomeno, nella sua "narrazione" giornalistica: una scheda completa, ma di facile fruibilità per gli analisti e per chi ha realizzato il trattamento dati. La scheda non aveva lo scopo di determinare la qualità o le modalità della rappresentazione informativa e del trattamento giornalistico (anche se, nell'edizione 1999 della ricerca, erano stati compiuti studi approfonditi su alcuni casi rilevanti e sulle modalità della loro copertura). Lo studio che qui viene presentato, come è ormai tradizione di questo gruppo di ricerca, non intende fornire giudizi né interpretazioni sul lavoro giornalistico, ma si colloca, programmaticamente, nel momento della "descrizione" degli eventi registrati.

    Gli atti di violenza sono stati suddivisi per aree geografiche e per tipologia di aggressione e, successivamente, sono stati riaggregati per eventi, così da evitare che la stessa notizia riportata su diverse testate - magari con toni e linguaggio differenti - generasse un sovradimensionamento del fenomeno.

    Una particolare attenzione è stata usata per l’area metropolitana di Roma, quella, cioè, in cui si verifica il maggior numero di atti di violenza (in valore assoluto); va notato, però, che la sovraesposizione di Roma è dovuta anche, come nelle precedenti ricerche, alla migliore "copertura" offerta alla Capitale dagli organi di stampa pubblicati sul suo territorio.

     

  3. Uno sguardo comparativo d’insieme

Nel corso dell’anno 1996 erano stati rilevati dalla stampa 374 casi di violenza ai danni di immigrati: più di un episodio al giorno. In 68 casi, pari al 18,2% del totale, l’aggressione aveva avuto conseguenze mortali. In quell'occasione scrivevamo: "Va precisato, comunque, che non tutte le aggressioni hanno una matrice razzista e, talvolta, vanno collocate nell’alveo della delinquenza tradizionale". Questa affermazione valeva anche per le ricerche successive: la percentuale di violenze di chiara matrice xenofoba, infatti, fu del 34,4% nel 1997 e del 31,2% nel 1998. Nei primi nove mesi del 2000 la violenza xenofoba sembra essersi attestata sui valori del 1997: 34,7%.

Nei primi nove mesi dell'anno, infatti, le testate prese in considerazione registrano 261 casi di violenza: in 23 casi sono state evidenziate lesioni permanenti per le vittime, mentre ben 47 sono stati i morti, pari a poco più del 18% di tutti i casi monitorati (un dato simile a quello del 1996). Non si tratta, come è ovvio, di morti derivanti solo da aggressioni xenofobe, ma - in un numero rilevante di casi - dell'esito di azioni criminali prive di motivazioni razziste: e, tuttavia, il dato - pur in considerazione del fisiologico sovradimensionamento giornalistico dell'evento tragico - è estremamente allarmante.

Ancora una volta, le donne sono fra i soggetti più colpiti: alle violenze a sfondo xenofobo, infatti, si aggiungono quelle a scopo di rapina e quelle a sfondo sessuale.

La violenza che ha per obiettivo le donne raggiunge quasi il 20%, ponendosi decisamente al primo posto fra gli atti registrati dalla stampa.

Rispetto al 1998 sembra in diminuzione la tipologia di aggressione "gruppo contro gruppo", ancora comunque molto rilevante: a confermare che il fenomeno, seppure in calo, rimane tuttavia un'emergenza sociale di tipo sistemico (ovvero non congiunturale).

Figura A. Tipologia di aggressione "gruppo contro gruppo". Tendenza diacronica

 

La nazionalità continua a essere il mezzo più semplice per identificare la vittima dell'aggressione; diminuisce l'uso dell'espressione "immigrato extracomunitario", mentre cresce l'uso di termini quali "irregolare" e "clandestino". Quest'ultimo termine, in particolare, è associato a vicende riguardanti l'immigrazione albanese (un gruppo costituito, cioè, da bianchi ed europei). È, invece, sostanzialmente scomparso l'uso del termine "vu cumprà", che sopravvive in settori marginali del giornalismo italiano.

Fra le città, Roma era quella nella quale si erano verificate più violenze nel corso del 1996. Segnalammo già in quell'occasione che il dato romano si deve anche alla maggiore "copertura" giornalistica di cui gode la capitale. A Roma spettava il primo posto in questa "graduatoria" anche per il 1998, mentre nell'anno precedente era stata superata da Milano. Nei primi nove mesi del 2000 la Capitale torna in testa; sostanzialmente stazionari i dati di Milano e di Torino (comunque in calo, anche a seguito dello "spostamento" della violenza verso la provincia); mentre Napoli, fra le grandi città, continua a risultare la "più tollerante" (almeno per quanto riguarda la sua rappresentazione mediatica): qui gli atti di violenza ai danni di immigrati diminuiscono ancora.

 

Figura B. Frequenza violenze (rappresentazione mediatica) a Roma, Milano, Napoli e Torino: 1996-2000

 

 

Attraverso l'incrocio tra i risultati relativi alla tipologia delle aggressioni e la definizione degli aggressori si individuavano nel 1997 e nel 1998 alcuni tratti interessanti :

  • la violenza di gruppo contro donna singola era prevalentemente compiuta da "bravi ragazzi" (18,2% del dato relativo nel 1997) o da "clienti" (16,7% nel 1998);
  • la violenza individuale contro donna singola, invece, era per la stragrande maggioranza dei casi appannaggio di "clienti" (61,9% nel 1997, 61,1% nel 1998), indice di una duplice violenza sulle donne prostitute: quella dello sfruttamento e quella di una parte dei clienti;
  • la violenza di gruppo contro minori era appannaggio di "skinheads" nel 1997, mentre ne diventavano protagonisti i "gruppi di cittadini" nel 1998: quasi a connotare un disagio sociale che può assumere le caratteristiche della xenofobia;
  • il 40% delle violenze di quelli che vengono definiti, genericamente, "giovani" veniva realizzato in gruppo contro uomo singolo.

Questi dati, con lievi scostamenti, si rivelano confermati anche per i primi nove mesi del 2000.

Altro dato di notevole interesse riguarda l'incrocio della tipologia di aggressione con il tipo di violenza. La violenza di gruppo contro donna singola è connotata dalla cifra dell'aggressione fisica (25,1%), ma non mancano casi di rapina (18,5%) e di atti di discriminazione (15,3%): microcriminalità e xenofobia sembrano avere un peso quasi equilibrato. La violenza individuale contro donna singola, invece, è marcata dal carattere distintivo della violenza fisica, della rapina e dello stupro.

Le aggressioni di matrice chiaramente xenofoba sono caratterizzate sempre dalla violenza fisica, sebbene dal 1998 si affaccino prepotentemente anche la discriminazione e il mobbing : questo dato appare confermato anche per l'anno in corso, insieme alla crescita della violenza verbale, spia significativa di un intolleranza forse meno "crudele", ma non per questo meno violenta.

 

 

 

Figura C. Aggressioni xenofobe per tipo di violenza. Periodo Gen-Set 2000

  1. Considerazioni generali
  2. Nella ricerca realizzata nel 1999 scrivevamo: "In primo luogo risulta chiaro come gli eventi più tematizzati a nord riguardino vere e proprie emergenze sociali. Non solo e non tanto, dunque, episodi isolati di violenza, quanto l’espressione di un’insofferenza sempre maggiore della popolazione locale nei confronti della presenza di immigrati, spesso divenuti capri espiatori, in una serie di realtà malfunzionanti, in cui vanno ricercate delle responsabilità evidenti". Ci sentiamo di poter confermare questa analisi anche per i primi 9 mesi del 2000. Vanno fatte, tuttavia, alcune considerazioni, che possiamo così riassumere:

    1. Il dato relativo alla violenza di chiara matrice xenofoba è alto: anche se la maggior parte delle aggressioni ha radici in fenomeni di criminalità comune (e, talvolta, in regolamenti di conti fra bande), la percentuale rilevata (34,7%) denuncia una situazione allarmante.

    2. La violenza di gruppo contro singoli è tuttora ricorrente.

    3. Le donne costituiscono i bersagli più frequenti degli atti di violenza, sia di quelli derivanti da episodi di criminalità comune (anche per l'incidenza delle violenze a sfondo sessuale) sia di quelli che rivelano una intenzione xenofoba.

    4. Gli episodi cruenti (morti comprese) rimangono stazionari: il dato è preoccupante se si considera che nel 26,8% dei casi la vittima riporta lesioni permanenti o muore.

    5. La violenza verbale è presente in misura elevata, quasi a confermare la natura anche culturale dei fenomeni di xenofobia.

    6. Il linguaggio dei giornali italiani si è modificato sensibilmente, acquisendo toni e termini più adeguati: sono scomparse, infatti, espressioni come "vu' cumprà" o altre, analogamente ambigue, che potevano dar luogo a connotazioni stigmatizzanti e discriminatorie.

    7. Il sistema dell'informazione sembra percorso da due correnti distinte: da una parte, una maggiore freddezza (se non indifferenza) - rispetto al 1996 - nei confronti dei fenomeni di violenza xenofoba; dall'altra, un equilibrio più evidente di fronte alla complessità del fenomeno. In sostanza, i giornali sembrano avere acquisito una maggiore capacità di analisi, adottando un atteggiamento più articolato di fronte ai complessi problemi legati alle dinamiche di integrazione/rifiuto. Il "distacco", cioè, sembra provenire da una maggiore accuratezza informativa, anche se non mancano (e possono talvolta risultare prevalenti) la sciatteria o la deformazione, se non il vero e proprio stravolgimento della realtà dei fatti.

     

     

     

  3. La gerarchia degli articoli

Collocazione articolo 1997

Pagina interna locale

53,2%

Pagina interna nazionale

37,4%

Prima pagina locale

7,2%

Prima pagina nazionale

2,2%

Collocazione articolo 1998

Pagina interna locale

51,1%

Pagina interna nazionale

40,1%

Prima pagina locale

7,1%

Prima pagina nazionale

1,5%

Altra collocazione

0,2%

 

 

 

Collocazione articolo 2000 (Gen-Set)

Pagina interna locale

46,9%

Pagina interna nazionale

40,2%

Prima pagina locale

7,4%

Prima pagina nazionale

5,1%

Altra collocazione

0,4%

Figura D. Collocazione articolo

 

 

 

Atteggiamento dell'autore dell'articolo verso la violenza

Fig. E Atteggiamento verso la violenza

 

Atteggiamento dell'autore dell'articolo verso la vittima

Fig. F. Atteggiamento verso la vittima

Atteggiamento verso le istituzioni

Fig. G. Atteggiamento verso le istituzioni

 

 

 

 

Atteggiamento verso le forze dell'ordine

Fig. H. Atteggiamento verso le forze dell'ordine

Dalla osservazione delle tabelle e dei grafici precedenti, relativi alla collocazione degli articoli, emerge che, nel corso dei periodi considerati, la percentuale di fatti di violenza che trovano ampio spazio sulla stampa non raggiunge mai il tetto del 10 %. E, tuttavia, si può notare uno spostamento non indifferente nel confronto fra i tre anni: la percentuale di poco superiore al 2% delle collocazioni in prima pagina fra il 1997 e il 1998, raggiunge il 5,1% nei primi nove mesi del 2000. Questa significativa variazione può essere attribuibile alla presenza di eventi che, nel corso del 2000, hanno assunto una maggiore gravità (o drammaticità), anche per il coinvolgimento di soggetti non prevedibili e non appartenenti ad aree marginali o, ancora, per una maggiore sensibilità degli organi di informazione.

Analizzando più in dettaglio le tabelle relative alla collocazione di pagina, notiamo che la maggioranza assoluta degli articoli riferiti al nostro oggetto di indagine (53,2% nel 97 e 51,2% nel 98) viene ospitata nelle pagine interne della cronaca locale, con una significativa redistribuzione, nel corso dei primi nove mesi del 2000, a favore di una maggiore presenza anche nelle pagine interne nazionali; risulta stabile nel tempo la collocazione degli articoli nella prima pagina locale (sempre intorno al 7%).

Se, poi, esaminiamo l'atteggiamento dei giornali nei confronti della violenza, vediamo che i due punteggi negativi maggiori, assommati, pur mantenendosi elevati, scendono di quasi 10 punti tra il 1997 e il 1998, passando dal 70,6% al 60,9% e raggiungendo il 58,1% nei primi nove mesi del 2000. Si potrebbe desumere che diventa meno netta la condanna della violenza oppure - ed è probabilmente la lettura più corretta - che emerge una rappresentazione più prudente e precisa, in sostanza più problematica e meno manichea.

Rispetto alle vittime si mantiene alta, ma in calo, la comprensione e il sentimento di solidarietà: i due valori "positivi" passano dal 46,8% del 1997 al 39,9% del 1998, per scendere al 24,6% del periodo gennaio-settembre 2000; anche in questo caso, il calo dell'atteggiamento positivo riflette, da un lato, un mutato clima d'opinione: dall'altro, la diversificazione dei reati; ma riflette anche un tentativo (non sempre riuscito, per la verità) verso un maggiore equilibrio informativo.

Rispetto alla rappresentazione delle istituzioni, il valore di gran lunga privilegiato è quello intermedio (la "neutralità" raggiunge il 48,9% nel '97, il 45,9% nel '98 e addirittura il 70,3% nei nove mesi del 2000). Questo dato conferma, da una parte, l'assenza delle istituzioni all'interno delle notizie riguardanti i fatti di violenza: ed evidenzia, d'altra parte, l'atteggiamento sostanzialmente "neutrale" del giornalista. La stessa situazione viene a ripetersi nel caso dell'atteggiamento verso le forze dell'ordine, in cui è sempre il valore intermedio quello maggioritario: 47,4% e 40,7% nel 1997 e nel 1998, con un incremento notevole - oltre il 56% - nel 2000. Abbastanza insolita, ma legata anche a ragioni politiche, la crescita di un atteggiamento "negativo" verso le forze dell'ordine (almeno per quanto concerne le testate analizzate).

In conclusione si può affermare che, pur rimanendo quantitativamente considerevoli (anzi persino in crescita), le notizie che si limitano a una secca indicazione dei fatti, si fa strada una sorta di "implementazione" delle notizie: un modo di scrivere che risente della complessità dei fatti e della pluralità di soggetti coinvolti, a fronte di una minore attenzione verso un fenomeno che appare più "scontato" e quotidiano. Se nel 1998 emergeva una maggiore "partecipazione" (enfatizzata anche dalla rottura dell'isolamento dei soggetti vittime di violenza), nel 2000 sembra prevalere una sorta di disattenzione oppure di "rimozione".

In sostanza, sono evidenti due linee in apparenza divergenti: da una parte, la sottovalutazione di un fenomeno percepito ormai come "fisiologico" e, dall'altra, la percezione di maggiore complessità che circonda gli avvenimenti e che richiede una sorta di sospensione di giudizio.

Il sistema dell'informazione italiano sembra avviarsi verso analisi e tentativi di interpretazione, limitandosi solo qualche volta a giudizi netti e semplicistici; in ogni caso, sembra trasparire una sorta di "stanchezza" a occuparsi di tali questioni. Aumentano, tuttavia, le contestualizzazioni, che collocano gli eventi in più complesse problematiche sociali.

 

Metodo della ricerca.

Gli analisti hanno effettuato un periodo di pretesting della scheda di rilevazione, per evidenziarne eventuali incompletezze e/o incongruenze rispetto agli scopi della ricerca. I dati rilevati sono stati periodicamente controllati e sottoposti a verifiche incrociate per ridurre i rischi di distorsione involontaria.

Si è scelto un panel estremamente rappresentativo, composto dai 19 quotidiani diffusi nelle 20 regioni italiane e analizzati nelle precedenti ricerche: quotidiani nazionali e dotati di una buona foliazione locale, quando non essenzialmente locali.

Per la ricerca di quest'anno si è fatto ricorso a una testata come Il Manifesto, che mostra un'attenzione costante per il fenomeno oggetto della presente analisi.

Sono stati scelti gli stessi quotidiani analizzati nelle precedenti rilevazioni, al fine di garantire una relativa uniformità del dato complessivo. D'altra parte, quei quotidiani erano già stati individuati sulla base della loro rappresentatività regionale, nonché della loro diffusione relativa, come rilevato dai dati Audipress.

Elenco dei quotidiani sottoposti ad analisi

  • Corriere Adriatico
  • Il Centro
  • Il Corriere della Sera
  • Il Gazzettino
  • Il Giornale di Sicilia
  • Il Giorno
  • Il Mattino
  • Il Messaggero
  • Il Piccolo
  • Il Resto del Carlino
  • Il Secolo XIX
  • Il Tempo
  • L’Adige
  • L’Unione Sarda
  • La Gazzetta del Mezzogiorno
  • La Gazzetta del Sud
  • La Nazione
  • la Repubblica
  • La Stampa
  • Il Manifesto

 

 

 

 

 

La rilevazione è stata effettuata su tutte le edizioni dei quotidiani sopra riportati, pubblicati fra il 2 gennaio e il 30 settembre 2000. L'analisi dei primi nove mesi dell'anno si è rivelata adeguata a delineare un quadro tendenziale del dato: i rischi di "iper-tematizzazione", derivanti da particolari contingenze, risultano sostanzialmente evitati dall'ampiezza dell'arco temporale.

 


 

 

 

 

Elaborazioni a cura di Raffaella Benanti e Mihaela Gavrila

Direzione della ricerca: Michele Sorice

Cattedra di Storia della radio e della televisione

Università di Roma "La Sapienza" - Facoltà di Scienze della comunicazione

Via Salaria, 113 - 00198 Roma RM - Italia UE

' (+39) 06 49 91 84 48-9

7 (+39) 06 84 19 505

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