IL DIBATTITO IMMIGRAZIONE E SICUREZZA

 

La lettera dell'ASGI, in risposta alla lettera "Aiuto, sono di sinistra ma sto diventando razzista"

Bologna, 9 maggio 2007

Spettabile La Repubblica

Egr. dott. Corrado Augias

 

vorremmo proporLe alcune riflessioni in merito alla lettera del sig. Claudio Poverini pubblicata su La Repubblica del 7 maggio. Lettera in cui si manifesta la preoccupazione di un uomo di sinistra di diventare razzista, alla quale hanno fatto eco interventi del sindaco di Roma Veltroni, del sindaco di Padova Zanonato, del sindaco di Bologna Cofferati, e su altri organi di stampa del sindaco di Torino Chiamparino. Sindaci, tutti, di città governate dal centro sinistra e tutti concordemente tesi a rassicurare che la questione immigrazione/sicurezza/legalità è questione anche di sinistra o meglio non è di destra né di sinistra, ma è di tutta la società; sottende preoccupazioni della gente e dunque va ascoltata e non liquidata né con il buonismo né con la criminalizzazione ma coniugando legalità e integrazione.

Lo stesso ministro dell’interno Amato (firmatario di un disegno di legge sull’immigrazione) si è indirettamente collegato alla questione e parlando dell’elezione di Sarkozy all’Eliseo ha plaudito al “messaggio efficace” del nuovo presidente francese secondo cui va garantita “una forte difesa dalla criminalità e dalle invasioni straniere” ma “senza escludere affatto la regolarizzazione caso per caso”.

Insomma, il “nuovo” dibattito italiano è: l’immigrazione criminale o anche semplicemente maleducata o sporca o chiassosa o clandestina ci sta facendo diventare razzisti e noi non lo vogliamo, perché siamo di sinistra e dunque vogliamo una società aperta che sappia accogliere gli immigrati rispettosi della legalità ma che rinvii gli altri - gli illegali, i maleducati, gli irrispettosi -nel Paese di provenienza.

Sarebbe facile rispondere alle sollecitazioni del sig. Poverini e dei politici dicendo che nessuno di essi si è posto innanzitutto la domanda basilare in un “dibattito” sul razzismo e cioè: perché mi suscita più irritazione, più fastidio, più rabbia un atto criminale, o di maleducazione, compiuto da uno straniero, da un rumeno, da uno zingaro, da un marocchino, da un arabo, da un sudamericano, da un nero, da un cinese, rispetto ai sentimenti che mi provoca un atto identico (o magari più efferato) compiuto da un italiano o da un europeo o da un americano?

Sarebbe facile chiedere agli uomini di sinistra timorosi di diventare razzisti perché, pensando ai delitti “italiani” (innumerevoli ammazzamenti della/tra la criminalità organizzata, uccisioni crudelissime di minori, tra familiari, tra vicini, tra ex fidanzati ex amanti ex coniugi, ecc.), non si fermano mai sulla “italianità” dell’assassino ma cercano di indagare sulle ragioni che hanno spinto quella persona, quella madre, quel figlio, quell’ex marito, quel vicino di casa, quel ragazzo che butta sassi dall’autostrada, quel nipote che uccide il nonno che gli nega i soldi, a compiere un atto culturalmente contro natura quale l’omicidio.

Sarebbe facile chiedere e chiederci perché solo con gli stranieri, e solo con determinati stranieri, l’attenzione si sofferma sulla nazionalità, sul colore della pelle, sull’essere un immigrato.

Sarebbe facile rispondere a coloro che invocano legalità ed integrazione, ricordando che la giusta pretesa dell’adempimento dei doveri non può prescindere dalla effettiva fruizione dei diritti: e di questo non c’è grande traccia nella società italiana,ove nell’attesa non più prorogabile di una riforma della legge sull’immigrazione che sia consona ai principi della Costituzione, la precarietà della condizione dello “straniero” è la situazione comune, mentre nelle scuole i ragazzi “stranieri” non hanno adeguati programmi di inserimento né di sostegno, che sono “naturalmente” destinati a scuole professionali e raramente ai licei, che non hanno concretamente nessuna possibilità di salire la scala sociale, che anche per questo crescono nella frustrazione e nella disillusione di una migliore esistenza rispetto a quella dei loro genitori.

Sarebbe facile dire che pochissime sono le risorse finanziarie destinate a serie politiche sociali di integrazione degli immigrati, nonostante essi producano una significativa percentuale del PIL nazionale e tengano in piedi, da soli, il nostro welfare , accudendo i bambini, gli anziani e i malati.

Sarebbe facile ribattere che la legalità è quella cosa che noi per primi non rispettiamo, lasciando che migliaia di persone (italiani e stranieri, poco importa) muoiano sul lavoro, assistendo rassegnati a fenomeni di piccole prevaricazioni negli uffici pubblici, ad una giustizia che per essere tale si definisce nell’arco di decenni.

Sarebbe facile chiedere cos’è la legalità? Se è un concetto condiviso tra “noi italiani”, se è solo la pretesa che gli “altri” rispettino le regole o se è un valore – prima che una legge - condiviso innanzitutto da “noi”.

Sarebbe facile, anche, far notare che l’insicurezza sociale ha origini ben più complesse dell’immigrazione, ma che nell’immigrazione trova un diffuso e comodo recettore di paure, ansie, frustrazioni, un potente ansiolitico sociale.

Sarebbe, infine, facile evidenziare come i mass media possano essere uno dei più grandi veicoli di formazione della cultura razzista, allorché qualificano sempre e comunque l’immigrazione in termini nazionalistici e paventando invasioni aliene.

Ma non vogliamo fermarci a formulare queste facili domande retoriche e perciò Le proponiamo solo di ricordare ai Suoi lettori di sinistra ciò che rispose Albert Einstein quando si presentò alla frontiera USA per immigrare in quel paese in fuga dalla Germania nazista: dopo avere declinato le proprie generalità, alla domanda del poliziotto che chiedeva a quale razza appartenesse, Einstein rispose: “razza umana”.

Questa è la questione che ogni donna e uomo, di sinistra o di destra, cittadino o straniero, cristiano o musulmano o buddista o laico, dovrebbero porsi. Tutto il resto sono vuote e sterili dissertazioni.

Lorenzo Trucco e Nazzarena Zorzella – avvocati dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione ASGI

 

"Aiuto, sono di sinistra ma sto diventando razzista"

 

GENTILE Augias, ho 49 anni, vivo a Roma, lavoro al Quirinale, ho studiato, leggo buoni libri (credo e spero), mi interesso di politica, leggo ogni giorno 2 quotidiani, guardo in tv Ballarò e Matrix e voto a sinistra, sono stato candidato municipale per la Lista Roma per Veltroni. Cerco di insegnare alle mie figlie i valori della tolleranza e della nonviolenza, dell'importanza dell'istruzione, delle buone letture e dello studio, l'etica del lavoro e del sacrificio per ottenere qualcosa di duraturo e vero nella vita.
Lotto ogni giorno, al loro fianco, contro la cultura del nulla e dell'apparire, contro i Tronisti e le Veline e i Grandi Fratelli.
Ma questo è un altro discorso e quindi torno subito a me ed alla mia richiesta di aiuto.
A 49 anni sto diventando un grandissimo razzista e non riesco a sopportarlo.
Non c'è stata una molla scatenante, un atto di violenza compiuto verso di me o la mia famiglia o amici, ma un continuo stillicidio di fatti letti, di violenza vista, di sicumera da impunità, di moralità calpestata, di identità violata e violentata, di fatti raccontati da persone sconosciute su un tram o una metropolitana.
Ad una signora anziana che ha tossito (forte e ripetutamente) sul tram la giovane ragazza slava seduta davanti a lei ha detto: "Se sei malata devi scendere, vecchia!!". Alle mie rimostranze sia la ragazza che il suo accompagnatore hanno semplicemente risposto: "Tu che c.. o vuoi, fatti i c.. i tua", proprio così tua, alla romana.
Altro giro sul tram, affollato. Sale una vecchietta, si avvicina ad una ragazza di colore, la più vicina all'entrata e seduta tra altre 2 persone anziane e, gentilmente, le chiede il posto: prima non risponde e poi, all'insistenza dell'anziana biascica un "vaffanc.. vecchia puttana". Il vecchietto seduto si alza per darle il posto: io intervengo per dire che non è giusto, lei è giovane e può benissimo alzarsi per una vecchietta. Quella si alza, mi guarda, dice qualcosa e poi mi sputa la gomma americana che ciancicava: l'ho presa per il colletto e l'ho sbattuta fuori dal tram, alla fermata. Tutti ad applaudire ma io mi sono vergognato come un ladro per la mia reazione ed alla fermata successiva sono sceso.
Lavorando al Quirinale ogni tanto vado a comprare un panino in piazza Fontana di Trevi: ho sventato 2 borseggi da parte delle zingarelle. Ad un turista di Palermo ho fatto recuperare tutto il bottino che gli era stato trafugato e, appena mi accorgo della loro presenza di branco in caccia, avverto la polizia che staziona alla fontana: nessuno si muove perché devono stare vicino alle moto o alle macchine.
Ed allora capisco che Fontana di Trevi è terra di nessuno, tra decine di venditori di pistolette che fanno le bolle di sapone e di quegli aggeggi rumorosissimi che si lanciano in aria e fanno il verso dei grilli mentre le bande imperversano.
Di fronte agli stupri che avvengono, troppo frequentemente, in varie città italiane, mi chiedo: e se io stuprassi una giovane araba alla Mecca o a Casablanca, se venissi preso dalla locale polizia a cosa andrei incontro? E se a Bucarest, in metropolitana, avessi accoltellato un giovane rumeno per una spinta ricevuta, che mi avrebbero fatto le locali autorità? Perché devo essere sempre buono ed accogliente con i nomadi, ahi tasto dolentissimo e pericolosissimo, quando questi rubano, si ubriacano, violano la mia casa e la mia intimità, quando rovistano nei cassonetti e buttano tutto fuori, quando mendicano con cattiveria e violenza, quando bastonano le immigrate che non vogliono prostituirsi, quando sbattono i bambini in strada o mandano i figli a scuola con i pidocchi?
Perché se chiedo l'espulsione immediata dei clandestini violenti e ladri e meretrici e protettori di meretrici vengo immediatamente accostato a Eichmann?
Perché lo schieramento politico che mi rappresenta, se io chiedo certezza delle pene e della detenzione, mi risponde con Mastella che nomina direttore generale del Ministero di Grazia e Giustizia quel Nuvoli Gianpaolo che, secoli fa ormai, ai tempi di Mani Pulite, ebbe a dire di Borrelli "se il procuratore fosse condotto alla forca sarei in prima fila per assistere all'esecuzione"?
Perché quando Fini, allora competitor di Rutelli a sindaco di Roma, propose di spostare i campi nomadi fuori dal Gra di Roma, tutti noi della sinistra (quindi me incluso ed in prima fila) gridammo "tutti i fascisti fuori dal raccordo" ed ora, a più di quindici anni di distanza, prevale l'idea del mio sindaco e del prefetto di compiere in tutta fretta questa operazione smentendo così, sostanzialmente, tutta la politica fin qui seguita dell'integrazione e dell'accoglienza solidale?
Perché devo sopportare lo strazio umano di vedere per le strade, di giorno e di notte, giovanissime prostitute schiave senza che a qualcuno, di destra prima e di sinistra ora, sia venuto in mente di vietare la prostituzione in strada cambiando semplicemente la legge in vigore? Però se i cittadini delle zone interessate scendono in strada e reclamano, con le ronde e con le fiaccole, un minimo di decenza ed anche di lotta alla schiavitù ecco subito le anime belle gridare al fascismo ed al ritorno delle camicie brune.
Sta crescendo ogni giorno di più l'intolleranza, sta montando l'odio per lo straniero e nessuno fa nulla per spegnere queste pericolosissime braci. Centinaia di persone come me, che hanno sempre litigato con tutti per difendere chi entra in questo Paese, che si sono battute come leoni contro l'intolleranza e la violenza xenofoba, sono stremate e ridotte, ormai, alla schizofrenia. Io voglio spegnere quelle braci prima che si trasformino in un incendio di rancori e violenza, non voglio lasciare più il monopolio della legalità alla destra e quindi non capisco, perché dare il voto locale agli immigrati, dopo 5 anni di permanenza nel nostro Paese, quando in nessun grande Paese dell'Europa Occidentale questo avviene.
So benissimo, come tutti gli italiani, che in Italia, ogni giorno, mille e più reati, anche odiosissimi, vengono compiuti da miei connazionali, nessuno crede veramente che la sicurezza venga messa a repentaglio solo dagli immigrati, non voglio e mi opporrò con tutte le mie forze al dagli allo straniero. Ma voglio legalità, voglio la cultura della legalità in questo benedetto Paese, voglio che chi sbaglia paghi.
Claudio Poverini

 

Se Nicolas Sarkozy ha conquistato l'Eliseo è anche per come ha affrontato prima da ministro dell'Interno, poi durante la campagna elettorale il tema dell'immigrazione. Con durezza, diciamolo. Senza negare, almeno a parole, una tradizione d'accoglienza che si vuole generosa, ma senza risparmiarsi l'elenco dettagliato di tutti i casi in cui i nuovi arrivati saranno immediatamente espulsi. La sua è stata una campagna visibilmente di destra appoggiata dai media e dall'industria ma, anche alla luce della lettera che pubblichiamo (necessariamente tagliata) ciò che dobbiamo chiederci è: sul punto specifico dell'immigrazione dove si collocano oggi i confini tra destra e sinistra?
Ricordo perfettamente gli anni in cui 'Law and Order', slogan della destra americana, era stato adottato nelle campagne elettorali fasciste: 'Legge e Ordine'. Dobbiamo avere il coraggio di dire che non è più di destra ammettere che la criminalità e il disordine sociale rappresentano un problema grave per l'equità della nostra convivenza. Non è di destra sostenere che l'immigrazione deve essere controllata, o chiedere agli immigrati di farsi carico di una serie di responsabilità civili, ivi compreso (per fare un esempio) l'obbligo di apprendere la lingua nazionale. Non è di destra reclamare una cultura della legalità che valga per tutti.
Al contrario, la cultura della legalità (a ogni livello - qui il discorso sarebbe lungo) è ciò di cui abbiamo più bisogno per evidenti ragioni di giustizia. Non si possono lasciare impegni così delicati alla destra che li assolverebbe a modo suo, con brutalità cieca anche senza arrivare alle cannonate che qualcuno minacciava tempo fa. È la sinistra che deve farsene carico ed è un carico pesante, forse il compito più difficile che oggi debba affrontare. Bisogna cominciare a dirlo con parole forti e chiare, con lucidità di visione, con il coraggio di chi sa innovare, prima che la denuncia del signor Claudio Poverini venga sommersa nel caos di episodi sempre più frequenti di rigetto, di intolleranza. Perché a quel punto la battaglia l'avrebbero persa tutti, gli immigrati e i cittadini.
Corrado Augias

7 maggio 2007

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