L’INTERVISTA
Scaparro: culture straniere obbligatorie per i docenti
di Daniela Monti
da "Il Corriere della Sera"
MILANO

Professore: crescono e sono soprattutto bambini. Che facciamo? Fulvio Scaparro reagisce bene: le statistiche dell’Istat gli hanno messo addosso una certa euforia. «I numeri dell’immigrazione - spiega - spazzano via la previsione di un’Italia popolata solo da vecchi e senza più bambini. Ci regalano un futuro meno triste, non mi sembra poco». Quanto ci costerà ? «Bisogna rivedere tutte le forme di convivenza, a cominciare dalla scuola. Ma nell’incontro fra culture c’è solo da guadagnare, a meno che non si voglia ridurre tutto a uno scontro fra fondamentalismi. Però non è quello che i ragazzi vogliono». Cosa vogliono i ragazzi? «Scoprire che il mondo non è necessariamente ostile e che diverso non significa nemico. Sono cose che si imparano vivendo fianco a fianco con chi ha una cultura diversa dalla nostra, i libri non bastano. La scuola dovrà passare dal dire al fare». È pronta per il salto? «Bisognerebbe parlare dei singoli insegnanti: ce ne sono di aperti e meno, preparati e meno. Ma stereotipi e pregiudizi sono spesso fondati sull’ignoranza. Così io inserirei nella formazione dei docenti una preparazione specifica sulle culture del Mediterraneo, luogo da cui provengono gran parte dei nostri immigrati». Bisogna vedere cosa ne pensa il ministero. «Frequento poco i ministeri, però so che questi temi stanno a cuore a molti. Del resto non c’è altra via. Il tema della convivenza fra culture diverse presuppone una buona conoscenza di queste culture, che non si acquisisce con un viaggio d’estate. È diverso fare il turista, leggere un libro oppure avere a fianco un ragazzo immigrato. La conoscenza di altre culture e altri stili di vita dovrà diventare uno dei cavalli di battaglia della formazione. Non sarà un’impresa facile: i pregiudizi non scompaiono per decreto ministeriale». Consigli agli insegnanti? «Se in classe ho un giovane proveniente da un Paese arabo, non è male se ogni tanto parlassi dell’apporto che il suo Paese ha dato alla crescita della cultura umana. Invece c’è ancora chi pensa all’arabo o all’africano come al vù cumprà , riproducendo lo stesso errore fatto dagli americani quando siamo arrivati noi con le nostre valigie chiuse con lo spago». E ai genitori? «Devono essere i primi a capire che questa mescolanza può essere un vantaggio per i loro figli. E stiano tranquilli: presupposto di fondo sono le regole uguali per tutti». Come finirà? «Ci sarà tantissimo da lottare e tante sofferenze ancora. Però credo che alla lunga questo modo di vivere e ragionare diventerà la normalità. Abbiamo vissuto molto isolati, ci siamo limitati al turismo o alle guerre coloniali e in entrambi i casi non abbiamo capito niente di quello che è il mondo. Ma un ragazzo che ha passato un anno con un compagno africano, lui sì ha potuto conoscere la cultura dell’altro. Non ne faccio una questione morale, solo di intelligenza: se dobbiamo convivere, facciamolo bene. La scuola può fare da apripista».