L'allievo di origine albanese
Indietro
Linee di storia dell’Albania
Queste linnee guida sulla storia dell’Albania sono utili non solo per comprendere la storia di un paese vittima di saccheggi e divisioni interne, ma anche per evidenziare punti in comune con la storia insegnata nelle scuole italiane e tentare una didattica comparata.
Antichità
Gli Illiri sono la popolazione che si ritiene abbia influenzato maggiormente il territorio albanese dal III secolo a.C. Alcuni storici ritengono che gli Illiri siano giunti dalla Polonia, altri che siano originari del territorio dell’attuale Albania.
Per gli alunni neoarrivati da Albania e Kosovo, gli Illiri sono ciò che per gli Italiani sono i Greci e i Romani. Nella scuola dell’obbligo viene studiata la civiltà illira insieme a quella greca a quella romana. Dall’analisi linguistica gli Illiri risultano una popolazione indoeuropea: questo spiega perché la lingua albanese non è una lingua slava.
Il regno illirico diviene una potenza navale temuta da Roma. Nel 168 a.c. Roma conquista il regno per accedere a Bisanzio, anche se un assoggettamento completo della regione albanese avviene tra il 156 a.C. e il 9 d.C., con Tiberio. Culturalmente l’invasione romana incontra più resistenze nel sud dell’attuale Albania che subiva maggiormente l’influenza della civiltà greca.
Con la divisione dell’Impero Romano, le terre dell’Illiria meridionale vengono attribuite all’Impero Romano d’Oriente. La divisione interna tra popolazioni locali e amministratori favorisce le invasioni barbariche: nonostante l’invasione degli Slavi in tutti i Balcani, le regioni meridionali (corrispondenti al sud dell’attuale Albania) mantengono i caratteri delle precedenti popolazioni.
L’Impero d’Oriente, per garantirsi un controllo maggiore sulle terre albanesi, favorisce la nascita del feudalesimo. Tuttavia tra il 1000 e il 1200, il territorio subisce una serie di attacchi dalle popolazioni interessate ad aprirsi un varco verso oriente: i Normanni di Sicilia non riescono nel loro intento di conquista.
Il declino di Bisanzio incrementa le autonomie locali fino alla formazione di un’amministrazione autonoma (gestita dal principe di Progon), minacciata però dagli interessi di Venezia, Serbia, Impero Bulgaro, Despotato d’Epiro, Imperatore di Nicea.
Nel 1272 Carlo I d’Angiò, sovrano di Sicilia, si fa incoronare re d’Albania. La sovranità angioina è però destinata a crollare sotto la pressione dello zar serbo Dušan che conquista il territorio albanese.
Morto Dušan, l’Albania piomba in mano ai feudatari e alle famiglie potenti dei Topia e dei Balsha che nella seconda metà del 1300 intendono riunire l’Albania sotto un’unica autorità.
Dalla metà del 1300 però l’Albania sarà terreno delle conquiste dell’Impero Ottomano (l’Albania sarà parte dell’Impero Ottomano fino al 1912). Divisioni interne portano le varie famiglie ora ad appoggiare, ora a contrastare l’ingresso dei Turchi. Alcuni accettano di assoggettarsi: il nobile Lek Dukagjni, rimasto fedele al sultano, codifica una legge consuetudinaria denominata Kanun che regolava la vita nelle regioni montuose ed agricole. Retaggi di quest’antichissima legge sono rimasti nelle tradizioni delle comunità albanesi meno urbanizzate.
All’inizio del 1400 Venezia, interessata all’Albania per mantenere il primato dell’accesso ad Oriente, ottiene dall’Impero Ottomano: Scutari, Drivasto, Dulcigno, Durazzo, Budua e Antivari. Seguono diverse lotte contro i Turchi da parte di nobili famiglie albanesi affatto disposte a cedere i loro possedimenti. Le lotte sono sostenute dai cristiani del nord e del centro dell’Albania, dal Regno di Napoli e dall’Ungheria.
I Turchi riescono ad introdursi pienamente solo nel sud del paese, abitato dal gruppo etnico dei Toschi, la cui lingua sarà la base della codificazione dell’albanese letterario nel 1972. Al nord, invece, prevale la presenza del gruppo etnico dei Gheghi, organizzato in modo tribale e dedito alla caccia e alla pastorizia. Ghego al nord e tosco al sud sono tutt’ora i principali dialetti albanesi.
In seguito all’invasione ottomana, l’Albania viene suddivisa in timar, poderi feudali, affidati per la maggior parte a quei signori che accettarono la conversione all’Islam, nella parte restante ai cristiano-ortodossi. La terra viene mal amministrata, per mancanza di sapienza agricola.
L’eroe nazionale albanese è Giorgio Castriota, detto Skanderbeg, figura leggendaria di condottiero che tentò strenuamente di liberare l’Albania dalla dominazione turca. Gli allievi albanesi e kosovari conoscono molto bene la storia di Skanderbeg che del resto è protagonista di molta letteratura e di molta arte, non solo albanesi.
Figlio di un vassallo e ostaggio del sultano, Giorgio Castriota frequenta le scuole militari turche per poi disertare e tentare di organizzare la lotta per la liberazione dell’Albania.
Nel 1443 libera la città di Kruja, fonda il principato libero d’Albania e la Lega Albanese del cui esercito si pone a capo.
Nel 1444 sconfigge i Turchi a Domosdova, insospettendo Venezia, timorosa di perdere le sue città costiere.
Nel 1450 l’esercito turco, impegnato nell’assedio di Kruja, è costretto a ritirarsi. Quando però Skanderbeg tenta di trasformare la Lega in uno Stato, i nobili lo tradiscono e non lo appoggiano nelle successive campagne contro i Turchi. Skanderbeg ha il solo sostegno del popolo, grazie al quale batte ancora una volta i Turchi a Kruja (1457). Una serie di carestie colpiscono l’Albania negli anni Sessanta.
Nel 1466 per l’ultima volta Skanderbeg riesce a difendere Kruje, prima di morire nel 1468.
Dieci anni dopo, nonostante la resistenza di Dukagjni e l’alleanza con la Serenissima, Kruja cade in mano turca. Venezia finisce per cedere le città costiere agli Ottomani, ottenendo di pagare un pedaggio per poter commerciare con l’Oriente. L’Albania precipita nell’anarchia, tra guerre e continui tentativi di resistenza.
Dopo la morte di Skanderbeg, molti suoi fedeli emigrano verso l’Italia. Sono per lo più Gheghi e si stabiliscono prevalentemente sulle montagne della Calabria (Sila), in Abruzzo, in Puglia e in Sicilia. Queste comunità di Albanesi d’Italia sono tutt’ora presenti con un patrimonio culturale interessante, tra la conservazione e la contaminazione.
Era Moderna
In cambio della fedeltà all’Impero (dal 1479 comincia la dominazione turca), l’Albania viene divisa in circoscrizioni autonome, governate ognuna secondo le leggi locali: questo favorisce la frammentazione e di fatto l’esercizio di un controllo capillare. Comincia inoltre l’islamizzazione forzata, favorita anche dall’aumento delle imposte per i cristiani. Il Cinquecento trascorre tra vari tentativi di ribellione, prontamente sedati dall’Impero e comunque di minore intensità e partecipazione rispetto alle azioni di Skanderbeg.
Quando le truppe viennesi nel 1683 penetrano in Albania per scacciare i Turchi, si creano due fronti contrapposti: da una parte Turchi e Albanesi musulmani, dall’altra Austriaci, Serbi e Albanesi cristiani. La divisione è su piano religioso, non etnico. Gli Albanesi cristiani si ritirano verso Belgrado, seguiti da famiglie serbe della regione del Kosovo. Nelle aree abbandonate si insediano Albanesi musulmani. Cambia l’assetto dei territori balcanici: queste situazioni sono alla base delle rivendicazioni anche odierne e fondamentali per comprendere che da uno stesso territorio possono giungere in Italia persone con radici culturali diverse.
Il Settecento vede la lenta decadenza dell’Impero Ottomano. In Albania nascono due grandi pascialati: Scutari e Janina che cercheranno via via l’appoggio della Francia e della Russia per distaccarsi dall’Impero e avvicinarsi all’indipendenza. Al termine delle vicende dei pascialati, L’Albania viene divisa in quattro circoscrizioni presiedute da truppe per evitare le rivolte dei clan, ancora amministrati secondo antiche consuetudini.
Nel corso dell’Ottocento l’Albania, ancora sotto la dominazione turca è soggetta agli avvenimenti principali che segnano la politica internazionale e che riguardano l’Impero Ottomano, sostenuto dalla Francia e dall’Inghilterra contro Austria e Russia. Nella penisola balcanica, solo i Serbi riescono ad ottenere un governo autonomo nel 1815. Al congresso di Vienna (1815) la questione balcanica non viene considerata se non nel quadro delle rivalità internazionali.
Dopo le due guerre, di Crimea (1853-1856) e Russo-Turca (1875-1878), l’Albania resta ancora parte dell’Impero Ottomano: il fatto di essere la regione più occidentale della penisola balcanica, la rende centrale nell’assetto politico. Il secolare dominio turco si è perpetrato secondo una serie di compromessi che hanno garantito alle tribù albanesi una certa autonomia e il mantenimento di usi e costumi e tradizionali. Le due rivali nell’ambizione di esercitare il controllo sull’Albania sono Austria (interessata ad uno sbocco sullo Jonio e sull’Egeo) e Italia (timorosa di non poter difendere le proprie coste adriatiche da eventuali attacchi di grandi potenze).
Novecento
Il biennio 1909-1911 è segnato da una serie di rivolte degli albanesi contro i Turchi. Approfittando del conflitto che vede impegnato l’Impero Ottomano contro l’Italia per il dominio della Libia (1911-1912), gli Albanesi tentano una ribellione organizzata.
Il 28 novembre 1912 viene dichiarata l’indipendenza dell’Albania con Ismail Kemàl Vlora come presidente provvisorio.
Nel 1914 Ismail Kemàl si dimette in seguito all’opposizione dei separatisti musulmani e alla disapprovazione del suo governo da parte della comunità internazionale. Al suo posto viene eletto un principe prussiano, Guglielmo di Wied. Timorose delle pretese panslaviste di Belgrado, Austria e Germania dichiarano guerra alla Serbia, ma non riescono a convincere il principe di Wied a trascinare l’Albania nel conflitto. Il principe anzi si affretta a rinunciare alla sovranità sull’Albania che, priva di un governo centrale, precipita nuovamente in uno stato di semianarchia.
Dall’Italia ritorna il Pascià Essad Toptani che occupa Durazzo e dichiara guerra agli Imperi Centrali. Scoppiano delle rivolte nell’Albania centrale.
Con l’entrata in guerra dell’impero Ottomano verrà fatta leva sulla componente musulmana albanese per aizzare la popolazione. All’interno dei gruppi di rivoltosi scoppiano contrapposizioni tra neutrali e filo-ottomani.
1915: i Serbi penetrano in Albania centrale e reprimono la ribellione. Nel frattempo Scutari viene occupata dal Montenegro. L’Albania è in balia degli stati in guerra.
Con il Patto di Londra Italia, Francia, Gran Bretagna e Russia si spartiscono l’Albania. La parte centrale al pascià Toptani, all’Italia Valona e Saseno.
Nel 1916 la Francia crea sotto suo protettorato una provincia autonoma amministrata da albanesi, chiude le scuole di lingua greca e apre scuole di lingua albanese.
Per evitare ritorsioni contro le proprie truppe, l’Austria-Ungheria proclama l’indipendenza dell’Albania sotto il suo protettorato. Lo stesso fa l’Italia (1917).
Alla fine della guerra sul suolo albanese sono presenti Italia, Francia, Grecia, Serbia, Montenegro.
Timorosa di ritorsioni da parte della Grecia, la Francia ritira le proprie truppe dalla provincia autonoma, ma non consegna il territorio alla sovranità greca.
Intanto sul territorio albanese la piccola e media borghesia comincia a manifestare rivendicazioni di identità nazionale. Queste tensioni indipendentiste sono sostenute dalle comunità di albanesi all’estero, come quella italiana della “Società nazionale albanese” di Girolamo De Rada e Giuseppe Schirò, attiva già nel 1800.
Nel 1918 nasce il Comitato di difesa Nazionale del Kosovo.
Durante la Conferenza di Versailles l’Albania non è ufficialmente presente e la questione albanese non viene trattata nello specifico.
Nel 1919 l’Italia sostiene le rivendicazioni greche del suolo albanese della Tracia (Sud).
In cambio la Grecia accetta la sovranità dell’Italia su alcuni territori dell’entroterra e su Valona.
Intanto aumentano le rivendicazioni di autonomia degli albanesi e si inaspriscono i rapporti con l’Italia.
Nel 1920 si forma un governo autonomo con capitale Tirana: Aqif Elbasani pascià è il presidente, il ministro degli interni è Ahmet bey Mati Zogu. Il nuovo governo rifiuta ogni protettorato.
I rapporti con l’Italia si deteriorano sempre più, fino ad arrivare a scontri armati.
Con il governo Giolitti finalmente l’Italia riconosce l’Albania indipendente, ma non intende rinunciare a Valona e invia contingenti armati.
Violente manifestazioni scoppiano in Italia contro l’invio delle truppe, fino al ritiro delle stesse da Valona e la decisione italiana di mantenere il dominio solo sull’isola di Saseno.
Ahmet bey Mati Zogu, ex ministro degli interni del governo di Elbasani e rappresentante dei ricchi proprietari terrieri del nord si oppone politicamente a monsignor Fan Noli, appoggiato dai nazionalisti del Kosovo. Dopo una serie di aspri contrasti, Zogu si rifugia in Serbia, sua alleata contro gli irredentisti kosovari.
Nel frattempo Noli fonda un governo in Albania, ma alla fine del 1924 Zog (questo il suo nuovo nome, privato di ogni retaggio turco) riesce ad entrare a Tirana per rimanerci fino al 1939.
Il governo di Zog è autoritario: dapprima una repubblica con l’esecutivo in gran parte affidato al presidente, poi un regno. Di fatto una dittatura durante la quale i rapporti con l’Italia fascista si mantengono ottimi. Per l’Italia avere un ruolo decisivo nella gestione dei Balcani significa guadagnarsi posto di rilievo nelle decisioni di politica internazionale.
Il regno di Zog dà un assetto più definito all’Albania:
- abolisce la legge consuetudinaria (kanun) e la poligamia
- introduce il divorzio
- riconosce le confessioni religiose ma impone l’amministrazione dei beni
- si avvale dei prestiti dell’Italia per rilanciare l’economia (con l’Italia viene decisa anche un sorta di unione doganale)
- si accorda con l’Italia per l’organizzazione dell’istruzione e dell’esercito.
Nel 1926 Italia e Albania siglano un Patto di amicizia che di fatto è un’alleanza militare contro la Grecia e Belgrado, ulteriormente consolidata l’anno dopo.
Dopo una serie di tentativi di “emancipazione” dall’Italia da parte di Zog, i rapporti tra i due paesi si rafforzano ulteriormente nel 1935. L’Italia ottiene maggiore prestigio internazionale.
Il momento storico è favorevole per un’occupazione diretta italiana del suolo albanese.
Il 15 marzo 1939 la Germania hitleriana invade la Polonia.
Il 6 e 7 aprile Galeazzo Ciano, ministro degli esteri di Mussolini, invade l’Albania.
Zog non reagisce e fugge in Grecia.
Vittorio Emanuele III diventa re d’Italia e d’Albania.
Parlamento sostituito da un Consiglio superiore fascista.
Realizzate opere di edilizia pubblica e urbanistica.
Costituito un Partito Fascista.
1940: Mussolini decide di attaccare la Grecia dall’Albania. La campagna fallisce.
In Albania intanto nasce un sentimento antifascista che si oppone anche all’idea nazionalista di una grande Albania.
A capo dell’opposizione marxista leninista si distingue Henver Hoxha.
1941: nasce il Partito Comunista Albanese.
Gli italiani reprimono violentemente ogni azione antifascista.
1942: Hoxha dà vita al movimento di liberazione nazionale (lufta nazional çlirimtare): il partito comunista ne assume il ruolo principale.
In opposizione al fronte a maggioranza comunista nasce il fronte nazionale (balli kombëtar).
1943: dopo la caduta di Mussolini, il movimento di liberazione nazionale e quello anticomunista si scontrano.
Hoxha dà vita ad uno stato maggiore dell’esercito di liberazione nazionale e si autoproclama unico potere legittimo in Albania.
Il fronte nazionale preferisce i tedeschi al movimento di Hoxha.
Scoppia una guerra civile al termine della quale ha la meglio la fazione di Hoxha.
Viene varata una nuova costituzione su modello sovietico.
1948: al momento della scissione tra la Belgrado di Tito e Mosca, l’Albania assume posizioni decisamente filosovietiche, rivendicando alla Jugoslavia il Kosovo dove continuano spinte indipendentiste.
Dal 1945 al 1991 l’Albania è una Repubblica Popolare, sotto regime del primo ministro Henver Hoxha che dal 1955 porta il paese ad essere membro del patto di Varsavia.
I rapporti con l’Unione Sovietica si deteriorano nel tempo a causa dello stalinismo di Hoxha.
L’Albania ottiene l’appoggio della Cina, almeno fino a quando, dalla fine degli anni Settanta, Hoxha decide di arroccarsi in posizioni isolazioniste concentrandosi sullo sviluppo economico del paese.
Nel 1954 Hoxha lascia l’incarico di primo ministro per diventare presidente del Partito del Lavoro, carica che di fatto gli consente di esercitare comunque il controllo: il nuovo primo ministro è infatti il suo segretario Mehmet Shehu, in seguito accusato di spionaggio.
Alla morte di Hoxha (1985), Ramiz Alia (dell’etnia dei Gheghi del nord, più sensibile quindi alla questione del Kosovo) è il nuovo presidente del Partito del Lavoro. Comincia una politica di maggiore apertura e democratizzazione.
A causa delle rivolte popolari e delle numerose emigrazioni, soprattutto verso l’Italia, Alia indice le prime elezioni libere (31 marzo 1991). Ha la meglio il Partito Socialista Albanese (ex Partito del Lavoro) che sale al governo coalizzandosi con il Partito Democratico.
Nel 1992 vengono indette nuove elezioni i cui risultati penalizzano i Socialisti e portano all’elezione di Sali Berisha, leader del Partito Democratico, alla presidenza della Repubblica d’Albania. Nel 1992 il Partito Socialista Albanese viene messo fuori legge e i leader (come Alia) vengono accusati di essersi impossessati dei fondi statali.
Le elezioni del 1996, che hanno visto nuovamente la vittoria dei democratici di Berisha, sono accompagnate da disordini e proteste, mentre il paese ottiene l’ammissione al General Agreement on Tariffs and Trade (poi World Trade Organization – WTO) e al Consiglio d’Europa. Il clima in Albania è di disordine, tanto da mobilitare l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) che cerca di ricucire i rapporti tra maggioranza e opposizione.
I sospetti sulla legalità delle elezioni, l’elevatissima disoccupazione, il fallimento di società finanziarie truffaldine, la disgregazione sociale portano alla nascita di Comitati di Salvezza formati da commercianti, medici, insegnanti, ex militari del regime, che si propongono di controllare l’ordine pubblico. Valona diventa di dominio di gruppi armati illegali che non riconoscono alcuna autorità.
Il governo dichiara lo stato di emergenza. Tra gennaio e marzo del 1997 i rivoltosi assaltano caserme, carceri, scuole e liberano l’ex presidente Alia e l’ex ministro Fatos Nano. Gli insorti vogliono le dimissioni di Berisha, che giungono presto anche grazie alla pressione esercitata dagli USA. Le nuove elezioni del giugno-luglio 1997 portano alla vittoria dei Socialisti di Mejdani e Nano. Attualmente l’Albania è nella sfera degli interessi degli USA che vogliono probabilmente creare una sorta di cintura di sicurezza attorno ai paesi dell’ex Iugoslavia.
In questo clima di disordini si verificano le ondate di emigrazione causate principalmente dal rimpianto per la stabilità politica e sociale, da un’accentuata ed insostenibile disoccupazione a cui si unisce il vuoto politico che non ha permesso lo sviluppo di opportuni ammortizzatori sociali e, com’è noto, dal miraggio catodico di un’Italia accogliente e benestante.
A queste ragioni va però aggiunta la consapevolezza del ruolo che l’Italia da sempre ha svolto nei confronti dell’Albania: le ultime ondate migratorie sarebbero così semplicemente la prosecuzione naturale di quelle che da sempre legano L’Italia all’Albania.