da "Il Corriere della Sera"

di Martedì 26 Settembre 2000

Il caso Verona e la democrazia

di Corrado Staiano

L’aggressione al professore di Verona non riguarda soltanto gli ebrei, ma ferisce nel profondo chi ha a cuore l’idea e le sorti della democrazia nel nostro Paese. Il professor Luis Marsiglia è stato picchiato con dissennata ferocia, si parla di skinheads, ma si indaga, come suole dirsi, in tutte le direzioni. E il professore, nonostante la generosa solidarietà di molti ragazzi di Verona, soprattutto, e delle persone che non hanno smarrito i lumi civili, in pratica è solo. Le formali deprecazioni del razzismo e della violenza che in genere non vengono negate a nessuno non sono sufficienti a salvaguardarci dal pericolo e a recidere sul nascere i segni di un passato che non deve ritornare. La Comunità ebraica non mostra troppo calore perché Marsiglia è un ebreo convertito al cattolicesimo; e la Curia non spiega in modo convincente le ragioni per cui il professore è stato trasferito dal liceo dove insegnava religione, la scuola frequentata dai figli della borghesia più influente e spesso più retriva della città. Se non possedeva i titoli per insegnare religione al liceo Scipione Maffei, non si comprende come possegga invece quei titoli per insegnare in un altro istituto. (Il manzoniano conte zio al padre provinciale: «Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire. (...) Allontanare il fuoco dalla paglia. Alle volte un soggetto che, in un luogo, non fa bene, o che può essere causa di qualche inconveniente, riesce a maraviglia in un altro. Vostra paternità saprà ben trovare la nicchia conveniente (...) collocandolo in qualche posto un po’ lontanetto»). La città benpensante minimizza, assente e ostile, giornali e Tv locali mettono persino in dubbio quel che è accaduto. La vittima-carnefice. Non è neppure morto, il professore. Forse si è aggredito da solo, chissà. Peccato che siano difficili da cancellare quelle parole che speravamo di non dover sentire mai più, «sporco ebreo». Da destra si parla di strumentalizzazione politica dando prova di un ben meschino sentimento della comunità e si mette anche in discussione l’antisemitismo degli anni del regime accettando in modo supino la teoria dell’accodamento al nazismo e degli italiani brava gente. Basta leggere qualche libro per capire che non fu così. «Gli ebrei nell’Italia fascista», per esempio, di Michele Sarfatti, uno studioso serio, appena uscito da Einaudi, che dimostra come l’antisemitismo in Italia nacque alla metà degli anni Trenta, assai prima delle leggi del 1938. È vero poi che molti italiani rischiarono la vita per aiutare gli ebrei, ma i più furono consenzienti, assenti e non pochi furono conniventi e delatori. Quel che oggi inquieta è il clima di restaurazione culturale e politica che sta inquinando il Paese. Il revisionismo storico, esso sì, usato per regressivi fini politici. L’esaltazione dell’antirisorgimento. Il tentativo di scalzare le radici su cui è fondata la Costituzione. Il riaffiorare di un clericalismo sepolto che ha ricreato reazioni anticlericali anch’esse fuori tempo. I cardinali che predicano discriminazioni religiose e dettano legge allo Stato, subalterno, incapace di reagire. L’intolleranza con la maschera liberale. Le violenze verbali della Lega Nord. Il modello di Haider considerato un maestro da una certa destra, tenuto nascosto ora per non mostrare il proprio vero volto ai moderati non oltranzisti. L’unità d’Italia, costata tanti sacrifici e tanto sangue, messa a rischio anche se la parola secessione è stata per ora chiusa in cassaforte e si vuol dimostrare persino un melenso amore per il Sud. Il disagio è palpabile e l’inquietudine profonda. Perché? Le ragioni sono probabilmente storiche, politiche, economiche, culturali. Il benessere ha mutato la vita di milioni di persone. Pare di capire che la soddisfazione per i bisogni esauditi sia incrinata dalla paura di perderli nel corso dell’eterna transizione. Vale ancora oggi la lezione di Karl Polanyi espressa nella Grande trasformazione. Quando il lavoro e la moneta diventano pura merce che domina il mercato mondiale, si crea una reazione furiosa e cieca, densa di pericoli. La società si difende mostrando i suoi istinti più bassi. Anche perché - non soltanto in Italia - non si riconosce più nella politica così come viene praticata e nelle sue rappresentanze prive di capacità di mediazione.