da "La Repubblica"

del 15 sett. 2000

E Verona si ribella "Non tutti xenofobi"

Padre Zanotelli: ma l'antisemitismo non è morto. Le contraddizioni della città nei 500 metri del quartiere dove è stato aggredito "lo sporco ebreo" L'assistenza dei volontari Terzomondo e manganelli dal nostro inviato

PAOLO RUMIZ

VERONA - Tutta la storia è racchiusa lì, in quei cinquecento metri fra i portici di via Sottoriva, dove finisce il territorio della Destra, e la casa del professor Luis Marsiglia, oltre il fiume, lo "sporco ebreo" bastonato dai nazi. Ci sono i bar degli skinhead, il Ponte Nuovo che fa da confine, l'Adige gonfio d'acqua, e poi Veronetta, con le sue vecchie case basse, l'unico quartiere dove la Sinistra tiene, zona di immigrati, abitata da An e dalla Lega come il territorio comanche dello spaccio, del disordine e della convivenza etnica impossibile. E c'è piazza Isolo, con pochi abitanti che transitano vicino a un portone bruciato, i fiori e i ceri accesi per un barbone polacco morto una settimana fa nell'incendio non casuale del suo rifugio sotto la vecchia pensilina di un'ex stazione dei bus. La strada acciottolata dove abita Marsiglia si arrampica verso le colline della Verona-bene, al margine nord di Veronetta. Davanti al portone del numero 5, dei giovani del suo ex liceo, il classico Maffei, aspettano che la polizia finisca il suo lavoro. Facce pulite. "Ci ha dato molto - raccontano - la tolleranza, l'umanità, la poesia. Ci spiace che l'abbiano allontanato, eravamo tutti con lui". Ma allora chi non lo voleva? Tacciono i ragazzi: non dicono che Marsiglia era scomodo. Che due famiglie di genitori, due soltanto, ma potenti, avevano premuto sulla Curia per farlo allontanare. Riuscendovi, anche contro il preside. Marsiglia non è solo ebreo. È anche intellettuale, laico e di sinistra. La peste, per la Verona integralista. Intellettuale come lo storico vicentino Emilio Franzina, come lo scrittore veneziano Gianfranco Bettin, come altri due veronesi, il sociologo Carlo Melegari e lo storico Giampaolo Romagnani; tutti critici del venetismo etnico, e tutti minacciati, o addirittura "condannati a morte" dalla Verona nera. Storie alla Salman Rushdie, ma col cattolicesimo al posto dell'Islam. Romagnani l' hanno definito "ateo, comunista e valdese". Racconta: "Integralismo cattolico e neonazisti sono due realtà contigue di gente che passa da una parte all'altra e gruppi che si coordinano tra loro". Per l' avvocato Luigi Bellazzi, enfant terrible di "Fiamma Tricolore", gli "skin" oggi "non vengono più da destra, ma da sinistra, da famiglie operaie, gente che ha sostituito l'ideologia con l'integralismo religioso". E i sanbabilini? "Finiti". Reprimerli? "Idiozia, porta solo voti a Berlusconi". E la storia nera di Verona? Non aiuta a capire. Parli con i giovanotti di "Fiamma Tricolore" e scopri che leggono "Le Monde Diplomatique", contestano il capitalismo; ti chiedi se siano davvero di destra. Alessandro Casellato, giovane ricercatore della storia della resistenza trevigiana, conferma: "La politica è solo una patina di qualcosa di più profondo e radicato nella società veneta, e nella sua antropologia. Il rifiuto della modernità è di tutto ciò che disturba il locale". Ma allora, dove cercare? Per Emilio Butturini, consigliere comunale del Ppi, "oggi la vera destra è la Lega, con il suo attacco a ogni forma di diversità intesa come complotto contro le radici". È lì che si osanna Haider. Nel piccolo mondo incazzato che ha fatto il miracolo del Nordest. Allora, ti resta un solo posto dove cercare. Di nuovo sotto il campanili della campagna veneta. È lì che le contraddizioni di Verona entrano in cortocircuito e trovano spiegazione. In una Chiesa che da sempre incarna l'Antipolitica e ricopre questo ruolo a 360 gradi, dalla sinistra più sociale alla destra più dura, include splendidi esempi di volontariato e l'ostinata controriforma delle messe in latino, l'ultracattolicesimo che coltiva lo stereotipo dell'ebreo-massone-socialista-giacobino. E c'è, in mezzo, una Curia che teme anche se stessa, e tace su tutto. Haider? Solo "un pizzico di xenofobia" scrive nell'ultimo numero il settimanale della diocesi. "Perché la stampa italiana ci descrive così?" chiedono due professori sotto casa Marsiglia e mostrano un mucchio di giornali con l'evento in prima pagina. Ce n'è uno solo che la liquida nelle pagine interne, in terza di cronaca. "L'Arena di Verona" specchio di una città che non ama sciacquare i panni sporchi in pubblico. Verona, ti dicono, non è solo bieco conservatorismo, difesa degli "schei", razzismo. Ed è vero. La città di Salò e di Ludwig, è anche altro. Trovi la Caritas, la San Vincenzo, il Cireneo, con l'assistenza ai malati terminali e di Aids, il Cestim che segue l'inserimento degli immigrati, il Cesam, dove i medici fanno agli stranieri più di seimila visite gratis all' anno, e altre associazioni per la cura e la riabilitazione dei malati, l'inserimento degli stranieri nelle case oppure i giovani di don Dighi. Verona contiene tutto questo: ha prodotto Alessandro Zanotelli, il monaco che guida la sterminata baraccopoli di Nairobi, uno capace di accendere di fede una banchisa. Verona ha anche cacciato Zanotelli, perché troppo impegnato nel sociale, troppo scomodo per una curia diventata finanza, giornali e affari. Lo trovi per caso il monaco, in trasferta dall'Africa. Ti guarda con occhi ardenti: "Pensavo che l'antisemitismo fosse morto in Europa, ed ecco che cosa trovo. Lo spaccato impressionante di una società cambiata. L'Austria è ovunque. Anche noi diventiamo razzisti. Gli italiani brava gente faticano ad accettarlo, ma è così. Cresce la paura dell'altro. Zingari, l'Islam, gli ebrei. L'uscita di Biffi contro i musulmani è gravissima. Non so cosa pensare". Rileggi quei cinquecento metri tra la casa del professore ebreo e l' Adige e scopri che contengono tutte le contraddizioni di Verona. C'è l' incendio di Piazza Isolo e c'è la chiesa dei "sans papiers" di San Tomaso, massiccia, padana, con i suoi mattoni rossi e il suo parroco indomito che minaccia il Comune di destra: o date un tetto agli sbandati o aprirò le mie navate. C'è il manganello contro l'ebreo e c'è, a pochi metri, la redazione di "Nigrizia", la rivista terzomondista dei frati comboniani, voce potente contro lo sfruttamento dei poveri del Pianeta. A Veronetta scopri anche che il razzismo può essere un business. Il quartiere è ordinato, par di essere in Austria. In città - son dati della Questura - è il luogo con meno scippi e criminalità. Ma la destra grida al far west, i giornali fanno eco, si recinta un ghetto che non c'è, e la Verona-bene fa a gara a pompare la sindrome di insicurezza. È un quartiere di vecchietti, con case in decoroso degrado, e c'è chi vi ha tentato l'ultima speculazione, l'affitto agli extracomunitari. Ora la zona fa gola a chi vorrebbe cacciar via i vecchietti al prezzo più basso possibile. Anche i negozi degli stranieri dan fastidio, sono il segno di una presenza che per qualcuno non deve diventare stabile. E allora ecco la psicosi dello straniero, ebreo o islamico, che fa gioco. E fan gioco anche gli "skin". "Su questa città la politica ha sempre esercitato una leadership fortissima" dice Alfredo Meocci, ex deputato del Ccd. "Ora non c'è più politica, e Verona sbanda fra grandi vette di valori e abissi incredibili". È come se qui si concentrasse tutto il peggio e tutto il meglio del Nord.