da "La Repubblica"

del 20 sett. 2000

IL RAZZISMO SOTTOPELLE

di PAOLO RUMIZ

 

VERONA - L'Alabama d'Italia. Così un grande giornale americano aveva chiamato Verona poco più di un mese fa, a proposito del suo razzismo sottopelle. C' era evidentemente qualcosa di annunciato nel pestaggio di ieri a Verona di un professore ebreo. Non erano solo le minacce anonime, le telefonate antisemite partite da fuori ma anche da dentro la città. Era qualcosa che stava nell'aria. TE LO dice chi vive e conosce Verona dal di dentro. Qualcosa che cresceva da tempo in questo mondo ricco e apparentemente tranquillo, ma capace di tenersi tremendi segreti. Di precedenti, nella storia di Verona, ne puoi trovare fin che vuoi. C'è il clima duro, intransigente, controriformista, che dal Concilio di Trento fa dell'ultima città sull'Adige il bastione del conservatorismo nella Repubblica di Venezia. C'è la rivolta contro i francesi "atei e bestemmiatori", rei, con Napoleone, di avere aperto il ghetto e sanzionato la libertà di culto. C'è la ritorsione contro gli ebrei giacobini, arrestati dalla Serenissima più per accontentare i cattolici veronesi che per reali motivi di pubblica sicurezza. C'è la Repubblica di Salò, il finale rosso sangue del fascismo italiano. E una Destra estrema che, da allora, è più Destra che altrove. Più fascista, più nazista, più bombarola. E Ludwig, ancora, con la sua banda che ammazzava la gente con un crocefisso, piantato in testa. Quando cerchi di capire Verona, ti viene da cercar lontano, di pensare a una maledizione. Diventa più facile, e anche più comodo, giustificare così i segni del nuovo razzismo. Il manichino nero impiccato qualche anno fa in fondo alla curva Sud durante una partita in serie A. Le manifestazioni di skinhead con bandiere naziste nelle strade del centro. E, negli ultimi mesi, il riscaldarsi del clima contro gli extracomunitari e gli irregolari. Con la storia di un noto avanguardista di An che, dopo l'ultima partita dell'Italia agli europei, prende a bastonate un autobus con dentro un africano. Può essere facile spiegare, con quel passato, anche la recentissima tragedia di piazza Isolo: un morto e due feriti gravi, tutti extracomunitari, nell'incendio di un gruppo di catapecchie destinate, proprio in quelle ore, alla demolizione; stamberghe che un anno prima, forse non a caso, erano state prese d'assalto da un gruppo di skinhead, partiti nel cuore della notte per una spedizione punitiva. Un fuoco ammonitore, secondo qualcuno, un segnale per tutti coloro che stavano in Italia "senza averne il diritto". Eppure, stavolta hai la sensazione che altrove devi cercare, non nel passato, ma nel presente. Il fenomeno Haider non si esaurisce nei suoi legami col nazismo, ma affonda nel cuore della società austriaca e nella sua ossessione vittimistica. Allo stesso modo, il razzismo e l'antisemitismo che si annidano nel cuore del Veneto ricco e benpensante non li troverai solo nella storia di Verona, ma nella testa di un Nord che perde la bussola. Non solo a Destra, ma nel centro di un blocco sociale impaurito che sa produrre più di ogni altro ma vive incubi identitari, perde il suo aggancio tradizionale al territorio. Un mondo che ha disperatamente bisogno di stranieri per sopravvivere economicamente, ma culturalmente non è in grado di assorbirli, assimilarli. E nemmeno di confrontarsi con loro. E' un presente fatto di silenzi felpati e autoassolutori, di pacche sulle spalle a certe ragazzate fatte da "gente nostra", di un borbottìo che parte dal cuore industriale e curiale della città. A Verona non si respira mai tensione. E' una quiete che inganna. Proprio quella quiete, quell'inerzia, ha consentito al germe di crescere e moltiplicarsi. Non è la forza del nazismo o del fascismo. E' il suo contrario: l'assenza di forza, il letargo, la non resistenza della società civile, un silenzio assenso che ha prodotto altri silenzi e altre complicità. Un silenzio degli innocenti che diventa fuoco sotto la cenere e fa di Verona lo specchio deformante di un clima generale nuovo e preoccupante. Hanno taciuto in troppi in questi mesi, mentre i segnali d'allarme si moltiplicavano. Hanno taciuto e hanno dato persino dei segnali di incoraggiamento. Cos'ha detto la Verona illuminata quando la Lega Nord, pochi mesi fa, proponeva in consiglio comunale di far entrare gli extracomunitari da una porta separata? Dov'erano Berlusconi e Fini, padroni dei partiti che con Bossi governano la città, quando un loro assessore decideva, per scopi mai resi ufficiali, di dotare di manganello la polizia municipale? Dov'era la potentissima Curia, che attraverso la Banca Popolare di Verona gestisce per conto del Vaticano le migliaia di miliardi che gli italiani devolvono con la tassa dell'otto per mille? Dov'erano il mondo assicurativo e finanziario, dov' era l'Opus Dei quando i nazisti sfilavano sotto l'Arena? Dove stava la società che conta, dove stavano il giornale della città e quello della diocesi quando un assessore comunale andava a festeggiare fuori dalla questura i reduci di una bravata notturna anti-stranieri beccati dalla polizia? E soprattutto, dov'erano gli inesorabili difensori della pubblica moralità e dell'ordine costituito veronese, i crociati delle associazioni "Sacrum Imperium", "Prinz Eugen" o "Famiglia e civiltà"? Non c'erano, nemmeno loro. Troppo impegnati a cercare altri mostri: omosessuali, coppie di fatto, islamici, drogati. E incapaci di vedere il nero dentro la società dei puri.