Immigrazioni di stranieri



1. Introduzione


Nel secolo successivo al 1880, centinaia di migliaia di persone hanno lasciato le regioni dell’Italia orientale per cercare migliore fortuna nelle altre regioni italiane, in Europa e specialmente nel nuovo mondo. Di conseguenza, molte persone nate nel Nord Est hanno trascorso buona parte della loro vita altrove. Nel 1971, il 24% dei nati nel Nord Est viventi in Italia (1 milione e 600 mila persone ) risiedevano in altre regioni italiane. A titolo comparativo, sempre nel 1971 solo il 4% dei nati nelle regioni del Triangolo Industriale risiedeva in un’altra regione italiana.

È possibile individuare almeno tre cause profonde di questo continuo e intenso deflusso migratorio: la povertà di massa, accentuata dalla crisi agraria di fine ‘800 e dalla debolezza strutturale dell’economia veneta e trentina post unitaria; la sovrabbondanza di forza lavoro, legata soprattutto alla diminuzione ottocentesca della mortalità infantile, non accompagnata – fino alla prima guerra mondiale – da un parallelo declino della fecondità; la forte richiesta di manodopera, espressa dalle regioni esterne al Nord Est, specialmente Brasile e Argentina negli ultimi decenni dell’800, poi Stati Uniti, Europa, Australia, paesi dell’Europa Centrale e Settentrionale e regioni del Triangolo Industriale.

Lo storico Gabriele De Rosa ha definito le emigrazioni di massa come la vera “rivoluzione” di fine ‘800. Come tutti i fatti rivoluzionari, anche le emigrazioni di massa hanno segnato profondamente la storia e la vita del Nord Est, determinando una profonda cesura fra il prima e il dopo, e le maggiori conseguenze sono state di ordine economico. Con il senno di poi, possiamo dire che le emigrazioni di massa sono state un volano per lo sviluppo: hanno permesso di allentare la pressione della popolazione sulle risorse e hanno finanziato direttamente l’economia del Nord Est, grazie alle rimesse degli emigranti; indirettamente, la circolazione delle idee e delle abilità professionali rese possibili dagli scambi migratori ha contribuito a modellare e accelerare lo sviluppo artigianale e industriale. Più controversa, a nostro avviso, è la correlazione fra emigrazioni e cambiamento della mentalità. Se, da un lato, con le migrazioni di massa si interrompe la secolare autoreferenzialità della cultura contadina, dall’altro le persone che restano in patria sono spesso le più conservatrici e le più recalcitranti e sospettose verso le novità.

Abbiamo voluto iniziare questo intervento sull’attuale stato delle migrazioni straniere nel Nord Est rievocando il vicino passato allo scopo di collocare in modo adeguato quanto sta accadendo oggi. Le medesime tre cause profonde delle migrazioni caratterizzano anche l’attuale momento storico, ma la posizione del Nord Est (in realtà, di tutta l’Italia Centrale e Settentrionale) è totalmente cambiata.

Ora la povertà di massa, e la sovrabbondanza di forza lavoro caratterizzano i paesi situati a Est e a Sud dell’Europa occidentale, mentre una forte richiesta di manodopera viene espressa sia dalle famiglie che dalle imprese italiane. Queste cause profonde non si esauriranno rapidamente. In questo intervento diamo per scontati i primi due punti: è del tutto verosimile che povertà e ridondanza di braccia caratterizzeranno – purtroppo – gran parte dei paesi del mondo anche per i prossimi decenni. Vale la pena, invece, di discutere il terzo punto. La forte richiesta di forza lavoro immigrata è destinata a permanere o, piuttosto, si esaurirà rapidamente? La risposta realistica a questa domanda potrebbe essere il faro per illuminare le politiche migratorie dei prossimi anni.

Ritornando al parallelo con il passato, vogliamo porci altre due questioni: quali sono le conseguenze economiche delle migrazioni per le regioni del Nord Est? E quali saranno le conseguenze in termini di cambiamento di mentalità?



2. La popolazione straniera del Nord Est: un aggiornamento con gli ultimi dati


Non è possibile rispondere a queste domande senza aggiornare il quadro demografico degli stranieri residenti nel Nord Est, partendo da quanto illustrato nelle precedenti due edizioni del Rapporto. Nella prima parte degli anni ’90, il saldo migratorio annuo con l’estero del Nord Est è stato positivo di 10.000 unità (figura 1). Negli anni successivi si osserva una forte accelerazione: nel 1999 vi sono 30 mila ingressi e 7 mila cancellazioni con l’estero, per un saldo migratorio con l’estero positivo di 23 mila unità.


Fig. 1 – Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche e saldo migratorio con l’estero, saldo migratorio con le altre regioni italiane. Nord Est per gli anni 1992-1999. Dati in migliaia.

Fonte: Osservatorio OPEN della Fondazione Nord Est (sito www.fondazionenordest.net)



Il saldo con l’estero ha un andamento parallelo al saldo con le altre regioni italiane. Anche quest’ultima quantità è costantemente positiva e crescente, tanto che nel 1999 (ultimo anno disponibile) il saldo migratorio complessivo del Nord Est è attorno a 45 mila persone.

Alla fine del ‘900, il movimento migratorio degli stranieri nelle regioni del Nord Est è molto simile a quello delle altre aree del Centro e del Nord Italia: infatti, il rapporto fra il saldo migratorio degli stranieri1 e la popolazione residente è pressoché il medesimo, attorno al 4 per mille nel Nord Ovest, Nord Est e nelle regioni dell’Italia centrale. Assai diversa, invece, è la situazione del Sud, che ha una forza di attrazione di cinque volte inferiore, e dove il saldo migratorio complessivo è negativo per più di 50 mila unità. Questa netta dicotomia fra Centro Nord e Sud si osserva anche per gli altri parametri di tabella 1: la proporzione di stranieri sul totale dei residenti è attorno al 3% nel Centro Nord, mentre arriva solo all’1% al Sud; le nascite straniere sono il 7% del totale nel Centro Nord, solo l’1% nel Sud. Quindi, questa sommaria analisi territoriale mostra da un lato le profonde differenze – anche per questi aspetti – fra il Centro Nord e il Sud, dall’altro la sostanziale omogeneità fra le regioni più ricche del paese.


Tab. 1 – Movimenti anagrafici nel corso del 2000: cittadini italiani e stranieri


Nord Ovest

Nord Est

Centro

Sud

ITALIA

In complesso

Popolazione al 1.1.2000

15.099.118

6.633.142

15.078.092

20.869.543

57.679.895

Nati

133.620

63.437

130.501

215.481

543.039

Morti

156.634

64.302

158.620

180.685

560.241

Iscritti per trasferimento

516.444

204.704

460.700

390.764

1.572.612

Cancellati per trasferimento

439.498

164.411

342.427

444.952

1.391.288

Popolazione al 1.1.2001

15.153.050

6.672.570

15.168.246

20.850.151

57.844.017

Stranieri

Popolazione al 1.1.2000

420.423

169.274

473.601

207.255

1.270.553

Nati

9.877

4.093

9.208

2.738

25.916

Morti

642

313

696

264

1.915

Iscritti per trasferimento

102.830

50.772

108.154

37.271

299.027

Cancellati per trasferimento

43.450

22.096

42.073

21.373

128.992

Popolazione al 1.1.2001

489.038

201.730

548.194

225.627

1.464.589

Straneri (% sul totale)

Popolazione al 1.1.2000

2,8%

2,6%

3,1%

1,0%

2,2%

Nati

7,4%

6,5%

7,1%

1,3%

4,8%

Morti

0,4%

0,5%

0,4%

0,1%

0,3%

Iscritti per trasferimento

19,9%

24,8%

23,5%

9,5%

19,0%

Cancellati per trasferimento

9,9%

13,4%

12,3%

4,8%

9,3%

Popolazione al 1.1.2001

3,2%

3,0%

3,6%

1,1%

2,5%

Variazione della popolazione fra 1 gennaio e 31 dicembre

In complesso

0,4%

0,6%

0,6%

-0,1%

0,3%

Soli stranieri

16,3%

19,2%

15,8%

8,9%

15,3%

Soli italiani

-0,1%

0,1%

0,1%

-0,2%

-0,1%

Fonte: nostre elaborazioni da dati del sito http://demo.istat.it


Qualche indicazione aggiuntiva può essere ricavata dall’analisi della distribuzione per sesso (tabella 2). Ovunque gli uomini sono più numerosi delle donne, ed anche per questo il Centro Nord è sostanzialmente omogeneo. Al Sud gli uomini sono proporzionalmente più numerosi rispetto al resto del paese, verosimilmente a causa di diverse tipologie migratorie e di una fase più acerba del processo di integrazione (che passa – come è noto – anche per il radicamento territoriale di nuovi gruppi familiari). A parziale smentita, notiamo che ovunque, all’inizio del 2001, la proporzione di maschi iscritti è superiore rispetto all’inizio del 2000. Se mettiamo assieme questo dato con l’accelerazione dei flussi di ingressi, possiamo dedurre che negli ultimi anni del secolo la richiesta di lavoratori per l’industria – prevalentemente uomini – ha surclassato gli ingressi frutto di ricongiungimenti familiari. Tuttavia, vale la pena di ricordare che i dati delle nostre tabelle si riferiscono solo alle iscrizione anagrafiche, e quindi agli stranieri regolari. È possibile che fra gli irregolari – in particolare fra gli addetti ai servizi alla persona – le donne siano più numerose degli uomini.


Tab. 2 –Movimento anagrafico dei cittadini stranieri nel corso del 2000: alcune caratteristiche demografiche.


Nord Ovest

Nord Est

Centro

Sud

ITALIA

Proporzione di maschi

Popolazione al 1 gennaio 2000

54%

56%

52%

58%

54%

Nati

52%

52%

52%

52%

52%

Morti

59%

58%

58%

61%

58%

Iscritti per trasferimento

55%

57%

53%

55%

55%

Cancellati per trasferimento

56%

59%

55%

62%

57%

Popolazione al 1 gennaio 2001

56%

59%

55%

62%

57%

% di minorenni al 1 gennaio 2001

20%

21%

18%

17%

19%

Fonte: nostre elaborazioni da dati del sito http://demo.istat.it



I dati finora presentati mostrerebbero una sostanziale omogeneità fra le regioni del Centro Nord. Questa impressione viene parzialmente smentita dall’analisi di altre caratteristiche, che concordano nell’indicare un impatto più “dolce” delle immigrazioni nel Nord Est. Innanzitutto una quota maggiore di stranieri lavora come dipendente nel settore secondario; in secondo luogo, la presenza straniera è meno concentrata nelle grandi città: molti piccoli villaggi, specialmente nella Pedemontana, devono le loro nuove prospettive di sopravvivenza alla “linfa giovane” immessa dagli stranieri. Infine, nel Nord Est la proporzione di stranieri minorenni è più alta che altrove.

Un’altra specificità del Nord Est è la composizione per cittadinanza. Nel Nord Est un’alta proporzione di stranieri appartiene alle cittadinanze maggioritarie (tabella 3 e 4). Com’era facile immaginare, nel Nord Est sono più numerosi gli stranieri provenienti dalle repubbliche della ex Jugoslavia e dalla Romania. Inoltre, anche ghanesi e nigeriani sono sovra rappresentati rispetto alla media nazionale. Invece, le proporzioni di albanesi, marocchini e cinesi sono in linea con la media nazionale, mentre sono sotto rappresentati i filippini, i tunisini e gli egiziani. Rispetto all’inizio del 1998 (vedi il Rapporto del 2000) è diminuita – in termini relativi – la presenza di abitanti della ex Jugoslavia, sono aumentati gli albanesi, è rimasta pressoché costante la proporzione di stranieri provenienti dall’Africa o dall’Asia. Questa sostanziale continuità suggerisce un modello di crescita di popolazione basato sulle catene migratorie: lo straniero già residente attira e agevola l’arrivo di un parente, di un amico, di una persona del suo clan.


Tab. 3 – Stranieri residenti nelle regioni italiane all’inizio del 2001 per sesso e cittadinanza. Maschi

Italia

Nord Ovest

Centro (senza ER)

Mezzogiorno

Marocco

16%

Marocco

19%

Albania

13%

Albania

22%

Albania

13%

Albania

11%

Marocco

9%

Marocco

20%

Tunisia

5%

Egitto

7%

Romania

6%

Tunisia

6%

Senegal

4%

Senegal

6%

Filippine

5%

Algeria

4%

Jugoslavia

4%

Cina

4%

Cina

5%

Senegal

4%

Cina

4%

Filippine

4%

Jugoslavia

4%

Jugoslavia

4%

Romania

4%

Tunisia

4%

Egitto

3%

Cina

3%

Egitto

3%

Romania

4%

Macedonia

3%

Grecia

3%

Filippine

3%

Jugoslavia

3%

Tunisia

3%

Sri Lanka

3%

Germania

2%

India

2%

Bangladesh

3%

Macedonia

3%

 

60%


63%


55%


71%


Trentino � Alto Adige

Veneto

Friuli � Venezia Giulia

Marocco

14%

Marocco

19%

Jugoslavia

20%

Albania

14%

Jugoslavia

11%

Albania

16%

Jugoslavia

10%

Albania

11%

Croazia

11%

Germania

10%

Ghana

6%

Ghana

6%

Macedonia

8%

Romania

6%

Bosnia-Erz.

5%

Tunisia

6%

Senegal

5%

Marocco

4%

Pakistan

6%

Croazia

3%

Slovenia

4%

Bosnia-Erz.

4%

Cina

3%

Romania

3%

Austria

3%

Macedonia

3%

Cina

3%

Croazia

3%

Nigeria

3%

Colombia

1%


78%


70%


72%

Fonte: nostre elaborazioni dal sito http://demo.istat.it



In sintesi, questi dati mostrano che nel corso degli ultimi anni del ‘900 la popolazione straniera residente nel Centro e Nord Italia è aumentata a ritmi crescenti. L’analisi dei dati demografici conferma che questa accelerazione può essere dovuta alla forza di attrazione di un mercato del lavoro affamato di manodopera.

Per questi aspetti, il Nord Est non sembra caratterizzarsi in modo particolare rispetto alle altre regioni del Centro e del Nord. Tuttavia, alcune peculiarità del fenomeno – come la dispersione territoriale degli immigrati e la loro prevalente posizione di lavoratori dipendenti –potrebbero rendere meno problematico l’impatto sul sistema sociale.




Tab. 4 – Stranieri residenti nelle regioni italiane all’inizio del 2001 per sesso e cittadinanza. Femmine

Italia

Nord Ovest

Centro (senza ER)

Mezzogiorno

Marocco

10%

Marocco

12%

Filippine

10%

Albania

19%

Albania

10%

Albania

8%

Albania

9%

Marocco

8%

Filippine

7%

Filippine

7%

Romania

6%

Polonia

6%

Romania

5%

Perù

5%

Polonia

5%

Filippine

5%

Cina

4%

Cina

4%

Marocco

5%

Germania

4%

Jugoslavia

4%

Romania

4%

Cina

4%

Jugoslavia

3%

Germania

3%

Francia

3%

Perù

4%

Romania

3%

Tunisia

3%

Egitto

3%

Germania

4%

Sri Lanka

3%

Egitto

2%

Germania

3%

Francia

3%

Cina

3%

Senegal

1%

Jugoslavia

2%

Regno Unito

3%

Tunisia

2%


47%

 

53%


51%


57%


Trentino �Alto Adige

Veneto

Friuli �Venezia Giulia

Germania

15%

Marocco

15%

Jugoslavia

17%

Albania

11%

Jugoslavia

11%

Albania

14%

Marocco

11%

Albania

10%

Croazia

9%

Jugoslavia

8%

Romania

6%

Ghana

4%

Austria

7%

Ghana

5%

Bosnia-Erz.

4%

Macedonia

5%

Cina

4%

Romania

4%

Bosnia-Erz.

3%

Croazia

3%

Colombia

4%

Romania

3%

Nigeria

3%

Slovenia

3%

Croazia

3%

Germania

2%

Germania

2%

Tunisia

3%

Filippine

2%

Cina

2%


69%


62%


63%

Fonte: nostre elaborazioni dal sito http://demo.istat.it



3. I fattori di attrazione


Dopo aver “dato i numeri”, cerchiamo ora di rispondere alla prima domanda posta nel paragrafo introduttivo. Nel Nord Est la forte richiesta di forza lavoro immigrata è destinata a permanere? La risposta, a nostro avviso, è inequivocabilmente positiva. Consideriamo le connessioni fra immigrazioni e (1) incremento del reddito, (2) diminuzione dei lavoratori giovani, (3) aumento degli anziani.

Come si vede nel grafico in figura 2, esiste una chiara e forte relazione positiva fra l’incremento del reddito e il saldo migratorio. Le province più dinamiche dal punto di vista economico (Treviso, Verona e Vicenza) sono anche quelle che maggiormente attraggono popolazione. E si tratta, in larga misura, di nuovi cittadini stranieri. Al contrario, dove lo sviluppo è meno vivace (Belluno, Venezia e Rovigo), anche il saldo migratorio è più moderato. È semplice spiegare cosa sta dietro a questo fenomeno. Ormai in Veneto i disoccupati sono pochissimi. Inoltre, anche se gran parte delle attività economiche in cui vengono coinvolti gli stranieri sono ad alta intensità di lavoro (in agricoltura come nell’industria e nei servizi), si tratta spesso di lavori in cui non è facile aumentare rapidamente la produttività. Quindi, se si vuole espandere la produzione o se si vuole soddisfare la domanda di servizi alle persone, è necessario ricorrere a lavoratori esterni alla regione.

Con una disoccupazione ormai frizionale, di quanti immigrati abbiamo bisogno, per espandere ulteriormente il reddito? In Veneto, nel periodo 1997-99, il reddito è aumentato del 2,1% l’anno, mentre il saldo migratorio è stato di +21.000 persone l’anno. Quindi – come si vede anche dal grafico – ogni anno per aumentare il reddito dell’1%, sono stati necessari 10.000 immigrati in più. Quest’ultimo risultato ha forti implicazioni politiche. Per ridurre le tasse senza espandere il deficit pubblico è stato stimato che il reddito debba crescere del 4-5% l’anno. Per realizzare questo programma, nel solo Veneto il saldo migratorio dovrebbe essere positivo di 40-50.000 persone l’anno, quasi il doppio di quello realizzato nel 2000.


Fig. 2 – Incremento del reddito e saldo migratorio nelle province del Veneto nel corso degli anni ’90.


















Fonti: per i saldi migratori, nostre elaborazioni dal sito http://demo.istat.it, mentre i dati provinciali sul reddito sono tratti dal sito dell’Istituto Tagliacarne: www.tagliacarne.it.



Ma non si tratta solo di garantire un’ulteriore espansione economica. È un problema di sopravvivenza di un intero sistema industriale. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, nel prossimo ventennio “spariranno” un milione di abitanti del Nord Est di età 25-44. L’attuale leva di lavoratori giovani, figlia del baby boom degli anni 1955-75, verrà sostituita dalle ben più striminzite e più scolarizzate leve nate negli anni 1975-95. Se non vorranno chiudere le fabbriche o trasferirsi all’estero, gli imprenditori del Nord e Centro Italia dovranno mettere in piedi uffici di reclutamento di nuovi operai nei paesi poveri per convincerli a trasferirsi nelle nostre regioni. Del resto, è proprio quanto accadde a fine ‘800, quando i contadini veneti venivano attratti in Brasile dai possidenti delle piantagioni di caffè, o nel secondo dopoguerra, quando i padroni delle miniere di carbone del Belgio organizzarono – in accordo con il governo italiano – intense campagne di reclutamento di minatori in Italia meridionale.

Un ulteriore forte fattore di attrazione è legato all’invecchiamento della popolazione. Analisi diacroniche mostrano che negli ultimi 20 anni non è aumentata solo la quantità, ma anche la qualità della vita degli anziani (ossia sono aumentati anche gli anni vissuti in condizioni fisiche accettabili). Tuttavia, il forte aumento della popolazione anziana è accompagnato dall’aumento della popolazione non autosufficiente. Una recente indagine dell’Istat ha permesso di calcolare il numero medio di anni che una persona settantacinquenne può aspettarsi di vivere, suddividendoli secondo le condizioni di salute (tabella 5). In media, una donna di 75 anni ha davanti a sé 2,1 anni con problemi di confinamento, 3,1 anni con qualche incapacità a espletare da sola le funzioni quotidiane (come mangiare e vestirsi), 2,3 anni con serie difficoltà di movimento, 4,5 anni con qualche disabilità (come gravi problemi mentali, di vista o di udito). Per gli uomini questi periodi sono assai più brevi, ma sempre di lunghezza significativa.


Tab. 5 – Anni medi per un settantacinquenne italiano secondo il sesso e le condizioni di salute. Italia di fine ‘900.


Maschi

Femmine

Totale

9,6

12,2

Libera da confinamento

8,7

10,1

Libera da incapacità funzioni quotidiane

8,2

9,1

Libera da difficoltà movimento

8,8

9,9

Libera da disabilità

7,4

7,7

Anni vissuti con problemi di confinamento

0,9

2,1

Anni vissuti con incapacità funzioni quotidiane

1,4

3,1

Anni vissuti con difficoltà movimento

0,8

2,3

Anni vissuti con disabilità

2,2

4,5

Fonte: Istat, Tavole di mortalità del 1998, sito http://demo.istat.it; Indagine Multiscopo, parte sulle condizioni di salute, anno 2000.



In Italia – a differenza di altri paesi del Centro e Nord Europa – buona parte dell’assistenza agli anziani viene svolta in famiglia. Nella stragrande maggioranza dei casi si ricorre al ricovero in Istituto solo come a una risorsa estrema, per porre rimedio a situazioni altrimenti insostenibili.

In questo quadro di incremento della domanda di assistenza domiciliare, la disponibilità delle badanti straniere è stata essenziale. Si tratta di un esempio di come “domanda” e “offerta” di migrazioni possano incontrarsi con reciproca soddisfazione. La badante ha un impatto sul territorio praticamente nullo, perché vive nella casa dove presta la sua opera. Inoltre, grazie alle badanti le famiglie e le pubbliche amministrazioni del Nord Est risparmiano un sacco di soldi: diamo qualche dato, riferito al Veneto. Il ricovero in istituto di un anziano non autosufficiente costa, mediamente, 63 milioni delle vecchie lire l’anno: 27 a carico della Regione, 36 a carico dell’anziano o della sua famiglia. Poiché un’aiutante domiciliare straniera costa attorno a 25 milioni all’anno, e poiché nel Veneto dovrebbero esserci (all’incirca) 15.000 badanti, supponendo che ogni badante eviti un ricovero, nel 2001 i veneti spenderanno 570 miliardi di vecchie lire in meno, con un risparmio di 405 miliardi per la Regione, 165 miliardi per le famiglie. Inoltre, se l’anziano resta a casa, la sua vita può essere molto migliore. Può continuare a vivere fra le sue cose e fra le persone che gli vogliono bene. Anche per i familiari, la pena di avere un parente infermo viene almeno parzialmente alleviata dalla possibilità di trascorrere qualche ora in più accanto a lui, e di saperlo a casa sua.

Con simili dati, non stupisce che nel Nord Est – a quanto pare – vivano attualmente circa 20.000 badanti. Il numero preciso non lo conosce nessuno, perché sono quasi tutte clandestine. Ma questa situazione di irregolarità non è certo colpa loro né delle famiglie che le assumono, bensì di una legislazione troppo farraginosa e poco attenta alle reali esigenze del sistema sociale che vorrebbe cercare di disciplinare.



4. Conclusioni


Per concludere questo intervento, dobbiamo rispondere ancora a due domande: quali sono le conseguenze economiche delle migrazioni per le regioni del Nord Est? E quali saranno le conseguenze in termini di cambiamento di mentalità?

La risposta alla prima domanda non è affatto banale, perché le interazioni sono complesse. Possiamo però dire – senza temere di essere smentiti – che senza le immigrazioni tutto il modello di produzione (e aggiungiamo il modello di vita) del Nord Est è seriamente a rischio. Chi è contrario alla immigrazione “di popolamento” (ma preferiremmo lasciare questa brutta espressione al mondo ittico e venatorio…) dovrebbe coerentemente e razionalmente proporre alternative: chi assisterà gli anziani? Chi pagherà le (nostre) pensioni? Chi lavorerà nelle fabbriche? Qualsiasi imprenditore di buon senso sa che è impossibile spostare tutto il “lavoro sporco” in Romania. L’economia dei distretti industriali e delle piccole imprese “a rete” – il motore del modello produttivo del Nord Est – vive anche delle contiguità territoriali, delle micro innovazioni e delle economie di scala garantite dalle interazioni giornaliere fra i diversi operatori.

Quindi, le cose non sono poi molto diverse rispetto al secolo scorso, anche se su posizioni invertite. Ancora una volta, le migrazioni sono destinate a diventare sempre più un fenomeno strutturale, e – ancora una volta – possono contribuire allo sviluppo economico delle regioni dell’Italia del Nord Est.

Tuttavia, le migrazioni rischiano di frenare la modernizzazione delle mentalità. Anche se l’Italia, in un contesto europeo, non sembra caratterizzata da particolari atteggiamenti di intolleranza, le comunità locali – o almeno loro parti consistenti – rischiano di chiudersi a riccio, ripiegandosi in una sterile difesa del mito di un’identità che, se mai è esistita, non è più sostenibile.

Molto dipenderà da come il fenomeno viene governato. In particolare, si dovrebbe prendere francamente atto della necessità e della permanenza del fenomeno migratorio, per governarlo di conseguenza. Purtroppo, ci sembra che la nuova legge – già approvata al Senato e in discussione alla camera mentre scriviamo queste righe – insista su una direzione opposta rispetto a quella indicata dall’analisi economica e socio demografica. Si preferisce puntare sulla temporaneità piuttosto che sulla stabilizzazione e sul radicamento degli immigrati. Il permesso di soggiorno viene sostituito dal permesso di lavoro (revocabile in caso di licenziamento); il tempo di permanenza per conseguire il permesso di soggiorno illimitato viene allungato di un anno; non viene delineato alcun percorso accelerato per il conseguimento della cittadinanza. Inoltre, non vengono sostanzialmente accelerati né semplificati i meccanismi burocratici per l’ingresso degli stranieri. Su quest’ultimo punto, la legge non migliora gli aspetti che peggio hanno funzionato della normativa precedente. Infatti, la legge Turco-Napolitano non era riuscita a disciplinare gli ingressi nel nostro paese, tanto che gran parte degli “ingressi” erano, in realtà, regolarizzazioni camuffate.

Quindi, la nuova legge, a nostro avviso, è pensata per una società che non c’è. Tratta l’immigrazione come se fosse un fenomeno contingente e temporaneo. Sembra quasi che i legislatori si illudano di portare indietro l’orologio della storia.

Poiché – come abbiamo ripetuto fino alla noia – di immigrati c’è e ci sarà sempre più bisogno, lo spirito della legge e i farraginosi meccanismi delineati per gli ingressi regolari rischiano di rendere vani anche i tentativi di inasprimento delle norme anticlandestini. Infatti, qualsiasi norma per reprimere la clandestinità è attuabile solo se i clandestini sono pochi. Ma i clandestini saranno pochi solo se gli ingressi regolari sono commisurati all’effettiva necessità e se le procedure di ingresso sono semplici e facilmente attuabili. È facile prevedere che – come già accade oggi – molti stranieri continueranno ad entrare con visti temporanei (turistici, ad esempio) oppure da clandestini, inizieranno a lavorare nella precarietà e poi, un po’ alla volta, emergeranno dalla nebbia, fingendo di entrare in quel momento in Italia grazie a un permesso di lavoro. È questo che si vuole? Fra l’altro, in questo modo si continuano ad alimentare l’humus dell’immigrazione clandestina e la contiguità fra immigrazione, malaffare e criminalità.

Per governare l’immigrazione e combattere la clandestinità ci sembra necessaria una brusca inversione di tendenza. Le immigrazioni andrebbero considerate per quello che sono, ossia non una minaccia per il modello di vita del Nord Est, ma un elemento necessario per la sua sopravvivenza e la sua crescita.


Maria Castiglioni

Gianpiero Dalla Zuanna

Il saldo migratorio con l’estero (riportato in figura 1) è una quantità sostanzialmente diversa dal saldo migratorio degli stranieri (riportato in tabella 1). Il saldo migratorio degli stranieri è la differenze fra le iscrizioni e le cancellazioni di residenza di cittadini stranieri: gran parte di questi movimenti interessano solo comuni italiani; tale quantità è adatta per misurare la capacità di attrazione (o repulsione) verso gli stranieri da parte dell’area oggetto di studio. Il saldo migratorio con l’estero è la differenza fra le iscrizioni anagrafiche dall’estero e le cancellazioni anagrafiche verso l’estero (e può pertanto riguardare anche cittadini italiani). Tale quantità è utile per avere un’idea dell’impatto diretto del fenomeno migratorio sulla popolazione oggetto di studio.