Cristianesimo e Islam

Incontri, scontri e fraintendimenti

 

Perché in Europa e soprattutto in Italia regna alternativamente nei confronti dell’Islam l’atteggiamento schizofrenico della rimozione e del panico? C’è una forte presenza di persone di altre culture e di altre religioni, che tuttavia non provoca reazioni paragonabili. Cito un brano da un libretto di Franco Cardini, Noi e l’Islam. Un incontro possibile?, Laterza 1994 (pp. 6-7): "La "minaccia" o il "pericolo" dell’Islam, quali in questi anni si configurano sotto forma di intransigenza fondamentalista o d’invadenza migratoria, ci preoccupano in modo particolare, forse perché risvegliano in noi echi che potrebbero sembrarci archetipici. È l’Occidente illuminato, pacifista e tollerante, che sulla scia di Voltaire non si è mai perdonato le crociate, riscopre ora che ancor prima di esse il mediterraneo era stato sconvolto dal jihad islamico che nel breve volgere di qualche decennio aveva condotto le verdi insegne del Profeta a garrire sulle mura di Damasco, di Alessandria, di Palermo, di Siviglia… e torna con la mente alle glorie di Jan Sobieski, di Marco d’Aviano, del principe Eugenio di Savoia. Non è forse l’Islam il "secolare Nemico", il Nemico metafisico della nostra civiltà occidentale? Eppure, attenzione: sono i totalitarismi che hanno bisogno, per affermarsi e sostenersi, di un Nemico Metafisico. Vigilate, quindi: e chiedetevi sempre se per caso non vi siano oggi, nel nostro Occidente, forze interessate a far giocare al musulmano (un musulmano, poi, teorico e disincarnato, lontano dalla concretezza di chi professa l’Islam nella realtà…) il ruolo che in altri più o meno lunghi momenti, sotto i cieli nostri o altrui, hanno giocato gli eretici o le streghe, i cattolici o i riformati, i gesuiti o i massoni, gli ebrei o i negri, i fascisti o i comunisti, i preti o gli anarchici, i kulaki o i "borghesi"."

La schizofrenia ha dunque radici antiche, che affondano in secoli di contrapposizioni, di incontri e di scontri e soprattutto in una grande ignoranza e di grandi pregiudizi reciproci. Dal punto di vista psicologico tale atteggiamento si potrebbe definire, in una parola, la paura dell’altro o, politically più correct, la preservazione della propria identità culturale. Ma si tratta qui di un "altro" particolare, con una sua storia, una sua cultura, rapporti stretti e conflittuali che forse, in un certo senso e solo tardivamente, hanno contribuito a creare la cultura dell’Europa come continente, a sua volta con una cultura, tutto sommato, comune, e una religione in comune: il cristianesimo. Tale coscienza comincia ad apparire in documenti ufficiali solamente alla soglia del Rinascimento, negli scritti del Papa Pio II, l’umanista Enea Silvio Piccolomini e matura nel clima di sconforto per il tramonto ormai definitivo dell’idea di crociata proprio in contrapposizione all’Islam: Europa come la sede – patria et domus – della Cristianità; pertanto si poteva stimare cristiano chiunque fosse ritenuto europeo: "Europaei, aut qui nomine christiano censentur".

Certamente non è questo l’unico e forse nemmeno il principale fattore che diede agli europei una coscienza unitaria, ma un elemento sì e forse non secondario, benché spesso fondato prevalentemente sulla paura e sui fraintendimenti reciproci. Di fatto, quasi mai il concetto di Europa, lungo la storia, equivalse a una definizione netta dei confini tra il mondo cristiano da una parte e il dâr al-islâm dall’altra, se consideriamo l’Europa da Gibilterra agli Urali e agli stretti che determinano il Mar di Marmara.

La storia è segnata anche da periodi di rapporti molto stretti tra i due "mondi" e da influenze reciproche talora assai feconde. Le pieghe "oggettive" della storia ci informano inoltre di compromessi di ordine politico ed economico che attraversarono i due campi: la religione passava nettamente in secondo piano rispetto a interessi di potere e di denaro. Ma, a partire soprattutto dall’epoca ottomana, il pericolo principale per Europa cristiana è stato individuato nei Turchi musulmani. Non è facile sciogliere l’intrico inestricabile tra religione, affari e politica. Ma l’immaginario tende a demonizzare l’avversario e a santificare la difesa. Così è facile passare alla benedizione delle armi, che in realtà difendono soprattutto la cultura o l’egemonia politica, giustificandola in funzione della difesa della religione "vera" contro le contaminazioni e l’invasione da parte di una religione "falsa" e bugiarda.

Un esempio molto chiaro di questo atteggiamento ambiguo lungo la storia è vicino a noi. Basti pensare alla potenza della Repubblica marinara di Venezia, costituitasi di fatto su continui traffici ora in sintonia con i sultani del dâr al-islâm ora in lotta contro di essi. Venezia (ma Genova non era di meno) trafficò sempre con tutti, a prescindere da questioni religiose, mettendo in primo piano sempre e comunque il proprio interesse commerciale. Che cosa c’era, in realtà, dietro i suoi appelli al Papa o ai governi cristiani d’Europa per organizzare crociate contro il Turco? Veneziani e genovesi, in lotta tra loro per il possesso di concessioni e fòndachi in Costantinopoli, erano il nerbo principale delle truppe che dovevano difendere la capitale dell’impero bizantino nel 1453 dalle truppe di Maometto II; a loro volta ambedue erano fieramente odiati dai cristiani greci ortodossi di Costantinopoli, che preferivano la sottomissione al turbante che alla tiara pontificia del Papa di Roma (e questo la dice lunga sui rapporti tra i cristiani anche in funzione antiislamica. Notiamo che l’imperatore bizantino e un riottoso patriarca avevano appena firmato, con il cappio la collo della necessità assoluta di aiuto da parte dell’occidente, l’unione delle due confessioni cristiane a Firenze, sconfessati subito dopo dai loro sudditi).

Per non parlare delle innumerevoli alleanze tra principi e re cristiani con capi musulmani per dirimere questioni e dissidi tra potentati cristiani. Le medesime ambiguità ebbero naturalmente luogo anche nel campo avversario: principi musulmani stabilivano tranquillamente alleanze con i corrispondenti cristiani per questioni economiche o di potere. Ambedue le entità poi, lungo il corso dei secoli, si servirono ampiamente di organici militari o amministrativi o intellettuali del campo avverso. La storia della Spagna, con la sua splendida e tormentata presenza dell’Andalusia musulmana fino alla definitiva riconquista sotto i "re cattolici", è lì a testimoniare che la religione era spesso un palliativo, una foglia di fico per nascondere inconfessabili vergogne. La splendida e intricata storia di Federico II nell’Italia del sud, con la sua meravigliosa e illuminata corte di Palermo, è un altro esempio di collaborazione tra le tre religioni in vista di un progetto culturale e politico comune, che rimase però a livello di utopia per il prevalere di altri interessi. La storia è maestra, anche se inascoltata. Ed è piena di ambiguità e di ipocrisie, spesso farisaicamente velate dietro i paraventi della religione. Non mi sogno nemmeno di sminuire i problemi, anche religiosi, che si pongono davanti a noi. Invito solo a non essere troppo faciloni, precipitosi, massimalisti in un senso o nell’altro. Distinguere il grano dalla zizzania è difficile sempre e per tutti. E nel breve periodo non è mai appagante.

La storia comunque, imperterrita, si ripete, con poche varianti, fino ai giorni nostri a partire dalla tormentata propaggine europea dei Balcani per allargarsi a livello planetario: definizioni di stati e di regimi musulmani come "moderati", "progressisti" o "fondamentalisti" sono spesso funzionali non a una realtà religiosa ma a rapporti di altro tipo.

Se volessimo indicare delle date che segnano altrettante fasi simboliche dei rapporti tra Islam e Cristianesimo, dovremmo indicare degli eventi che sono stampati nella memoria collettiva dell’Europa:

732: la battaglia di Poitiers segnò la fine (simbolica) della conquista araba musulmana proveniente dalla Spagna.

1099: conquista di Gerusalemme da parte delle truppe crociate. 1187: battaglia di Hattin. Saladino sconfigge le truppe cristiane e termina praticamente il Regno latino di Gerusalemme. L’atto finale è rappresentato dalla caduta in mano musulmana della roccaforte di S. Giovanni d’Acri nel 1291.

1453: caduta di Costantinopoli e fine dell’impero romano d’oriente a opera dei Turchi.

1492: conquista di Granada, con espulsione dalla Spagna di musulmani ed ebrei.

1571, 7 ottobre: battaglia di Lepanto. Vittoria non sfruttata da parte cristiana ma altamente simbolica per l’unione della cristianità e per i riflessi psicologici e soprattutto commerciali che ebbe in tutta l’area del Mediterraneo orientale.

1683: battaglia di Vienna e sconfitta dei Turchi. Segna la fine della grande paura da parte dei governi cristiani europei, che vedevano minacciata l’Europa centrale.

Le immagini negative dell’altro in quanto "musulmano"

La storia del dialogo tra cristiani e musulmani è stato un lungo susseguirsi di scontri politici, culturali e religiosi, in cui le dispute polemiche hanno generato malintesi e pregiudizi che si sono rafforzati con passare del tempo.

Quali sono i pregiudizi che popolano l’immaginario collettivo a proposito dei musulmani? Provo ad accennarne alcuni tra i più comuni, sia nella storia che nell’attualità.

Anzitutto, per l’Europa e in particolare per l’Italia funziona ancora un "corto circuito", che identifica il musulmano con l’arabo o con il turco, mescolando categorie etniche con categorie religiose. Abbiamo già visto che questo assunto è vero solo in parte, anche se gli Arabi e i Turchi sono i popoli a maggioranza musulmana che circondano il mar Mediterraneo. E tuttavia per i "musulmani" funzionano ancora gli stereotipi che degli Arabi ci hanno lasciato gli antichi scrittori latini: molles, effeminati, lascivi, dalla sensualità sfrenata. E parallelamente crudeli, infidi, pigri, incuranti della parola data, voltagabbana, pronti a cambiare bandiera non appena il vento giri. La storia ci ha lasciato una caterva di esempi che mostrano esattamente il contrario. Il Corano invita, d’altra parte, a essere fedeli alle alleanze e accusa in non musulmani esattamente della stessa cosa che i cristiani addebitano ai musulmani. Resta per l’appunto una tradizione cavalleresca cristiana parallela che attribuisce una qualifica di lealtà ai musulmani e di slealtà ai cristiani. Passerà alla storia la recriminazione del Papa Pio II Enea Silvio Piccolomini, che suona come una terribile accusa ai principi cristiani di essere sleali e attenti solamente ai loro interessi e non alle sorti della cristianità. E parallelamente la sua lode nei confronti dei sultani musulmani, fedeli alle loro consegne. Forse non sarebbe male passare da una anonima accusa generica a rapporti più stretti con le singole persone: ci si accorgerebbe immediatamente che gli stereotipi cadono da soli.

Un secondo "corto circuito" è quello che identifica i musulmani con i "fondamentalisti". A parte il fatto che la terminologia stessa è nata in ambiente cristiano per qualificare gruppi di cristiani, non dimentichiamo che il fenomeno del fondamentalismo islamico è molto recente e amplificato dai mezzi di comunicazione. I corrispondenti dai paesi musulmani hanno preso l’abitudine di semplificare paurosamente i movimenti musulmani, facendo corrispondere le qualifiche all’atteggiamento dimostrato superficialmente nei confronti della cosiddetta civiltà occidentale. Le notizie che arrivano dal tanto demonizzato Iran sciita proprio in questi giorni stanno dimostrando che il processo in atto in quel paese è molto più significativo e aperto alla libertà e alla democrazia della "moderata" Arabia Saudita. I movimenti cosiddetti "fondamentalisti" o "integristi" o "integralisti" nella loro espressione violenta, armata e terroristica rappresentano una realtà, certamente, ma raggruppano di fatto una minoranza ristretta della popolazione musulmana. Tale minoranza, che ha caratteristiche di indottrinamento e di organizzazione ferrea e strutturata, riceve spesso legittimazione proprio dall’enfatizzazione che ne fanno i mezzi di comunicazione. Essa rappresenta un momento dialettico e senz’altro pericoloso nei paesi musulmani, che stanno cercando faticosamente di trovare una loro via autonoma di presenza nel mondo e una loro visibilità sullo scacchiere internazionale. L’adesione che ricevono talora dalla popolazione locale è spesso fondata sull’ignoranza e sull’unica reazione possibile a governi corrotti e despoti. L’Algeria insegna. Molti di questi movimenti, inoltre, non sono diretti contro l’esterno, ma contro la corruzione e il "paganesimo" interno. La cautela è d’obbligo anche nell’attuale situazione degli immigrati musulmani in Italia.

Lungo i secoli l’accusa reciproca che musulmani e cristiani si sono lanciati è stata quella di "infedeltà", se non direttamente di "paganesimo". La prima accusa ha basi coraniche e si fonda sull’accusa ai cristiani di "associare" altri a Dio e di aver dato a Dio un figlio. Credo che nell’immaginario musulmano questo pregiudizio rischi di essere invincibile, almeno finché non si cominci a leggere il Corano stesso e gli scritti cristiani con occhio diverso. Ma tale atteggiamento si scontra con l’altro presupposto coranico, che le Scritture dei cristiani sono state irrimediabilmente corrotte per ignoranza o malafede. Un h³adîth racconta che un giorno ‘Umar stava leggendo una pagina delle Scritture degli ebrei. Muh³ammad lo sorprese e lo rimproverò aspramente, dicendogli che quello che di vero era scritto in quelle pagine lo avrebbe trovato nel Corano e che altrimenti avrebbe perso il suo tempo o ne avrebbe avuto pregiudizio la sua fede. Credo pertanto che non resti che accettare la differenza. Da parte cristiana l’accusa di infedeltà può sottostare alla strana ma diffusissima percezione dell’Islam come eresia cristiana. Già S. Giovanni Damasceno, che abitava a Gerusalemme ed era figlio di un amministratore cristiano della Siria al tempo degli Omayyadi, sosteneva questa tesi: l’Islam nasce dalla corruzione del messaggio cristiano simile a quella di Ario. Questa tesi ha avuto grande fortuna lungo tutta la storia dei travagliati rapporti tra Cristianesimo e Islam. Basti pensare alla Divina Commedia dantesca, in cui Muh³ammad è catalogato, naturalmente, all’inferno tra gli eresiarchi. Ma talora rispunta anche in alcuni scritti moderni e contemporanei, là dove si ha il coraggio, ma non la pazienza, di confrontare il Corano e la Sunna con la tradizione ebraico-cristiana precedente, per trovare le radici comuni e i rami divergenti. Forse, al di sotto di tale presupposto, c’è la difficoltà ad ammettere una nuova religione dopo il Cristianesimo, per noi un messaggio assolutamente inarrivabile.

Sotto il pregiudizio reciproco di "paganesimo", che non è coranico nei confronti dei cristiani, ci stanno altri pregiudizi. Modernamente è soprattutto la percezione da parte di tanti musulmani che la morale cristiana, presentata soprattutto dalla televisione, sia caratterizzata da un’intollerabile rilassatezza dei costumi, soprattutto sessuali. In altri termini avviene in questo senso in campo musulmano il medesimo "corto circuito" di cui abbiamo parlato precedentemente: la modernità, con tutti i suoi aspetti negativi, viene identificata in blocco con la cristianità. Da parte cristiana il processo di "paganizzazione" dell’Islam è più elaborato ma non meno significativo. Esso nasce soprattutto nell’epica medievale, parallelamente all’individuazione della religione di Muh³ammad come prodotto del diavolo. "L’etica "pagana" era immaginata come il rovesciamento di quella cristiana, specie per quanto riguardava i piaceri carnali: si diceva che i saraceni erano tenuti dal loro credo a ogni sorta di abuso e di libidine a causa dei pessimi costumi del fondatore della loro dottrina, il quale – per fuggire alla vergogna – li aveva resi obbligatori trasferendoli nella sua legge. Ai primi del Duecento Giacomo di Vitry giungeva a sostenere che i saraceni più colti e intelligenti, buoni conoscitori delle Scritture cristiane, si sarebbero senz’altro convertiti se non fossero stati trattenuti nell’osservanza islamica dalla permissività sessuale voluta da Maometto. Pareri di questo genere furono riassunti e sanciti con autorevolezza da Tommaso d’Aquino, secondo il quale il Profeta avrebbe adescato i suoi fedeli con la promessa di sfrenati piaceri carnali e avrebbe concesso loro una legge che rendeva lecito qualunque atto di libidine" (F. Cardini, Europa e Islam. Storia di un malinteso, Laterza 1999, 120-121). Sarà dunque lo stesso Dottore Angelico ad affermare nel suo trattatelo De rationibus fidei contra Saracenos, Graecos et Armenos che l’Islam è una deformazione della verità; è una religione della violenza e della guerra; è fondato sulla licenza sessuale e Muh³ammad è un falso profeta (Cardini, Europa, 133). L’autorità di Tommaso rimarrà a lungo l’unica percezione dell’Islam negli studi di teologia. Come si vede, diversi piani si fondono in questa panoramica, mescolando percezioni legittime per un cristiano (che non può accettare come profeta autentico del proprio Dio Muh³ammad) con percezioni assolutamente falsate della religione in sé, derivanti da generalizzazioni di casi specifici e adatte per la controversistica. Dal canto suo, la riforma protestante non fu da meno nella qualifica dell’Islam. Lutero nel 1542 qualifica il Corano come "libro maledetto, infame, disperato… pieno di menzogne, favole e di ogni abominio".

Accanto alla questione, ancora di moda, che presenta l’Islam come la religione del piacere sessuale sfrenato ed egoista, prerogativa solamente del maschio, resta da sfatare il pregiudizio che le mutilazioni sessuali praticate sulle donne africane sia derivato dall’Islam. Esse sono in realtà retaggi preislamico e precristiani propri di alcune tribù dell’Africa soprattutto centro orientale. Tali mutilazioni sono praticate correntemente anche da e su donne cristiane. Più complesso è il discorso del velo, che ha base coranica ma ha differenti interpretazioni da parte degli stessi musulmani (cf Cor 33,59).

Incontri, controversie e dialogo con l’Islam

Il "dialogo" tra cristiani e musulmani ha passato differenti situazioni e periodi. Un primo periodo, che va dal VII all’XI secolo, è stato caratterizzato soprattutto dal dialogo teologico; a partire dal XII secolo in poi è stato segnato soprattutto da scambi di carattere scientifico. Dialogo naturalmente non significava solamente accettazione e pacifica convivenza ma capacità e possibilità di parlare. Attive nel primo periodo furono soprattutto le comunità cristiane arabofone. Furono tali comunità che tradussero, tramite l’aramaico, la filosofia greca in arabo e fornirono quindi gli strumenti allo sviluppo prodigioso della filosofia musulmana. Cominciata nell’VIII-IX secolo essa giunse al suo vertice nel nostro basso medioevo. Che cos’era la falsafa?

La controversistica tra cristiani e musulmani andò direttamente al cuore del problema, affrontando gli argomenti chiave della differenza tra le due religioni e la convivenza (anzi: tra le tre, considerando anche l’ebraismo): essa riguarda soprattutto i temi della Trinità, dell’Incarnazione di Gesù, della falsificazione delle Scritture, della superiorità dell’Islam riguardo alle religioni del Libro, con la conseguente tassa di capitazione imposta ai seguaci di queste ultime.

Soprattutto nel IX-X secolo, alla corte di Baghdad, si ebbero degli interscambi interessantissimi di rappresentanti delle tra religioni, che si affrontavano molto civilmente davanti al Califfo, ognuno portando le motivazioni della propria fede. Fu un periodo di grande tolleranza, che confermò, tra l’altro, la grande espansione del cristianesimo di matrice nestoriana fino alla Cina. Le invasioni mongole e turche e la progressiva corruzione e perdita di potere della dinastia ‘abbaside furono alla base della degenerazione dei rapporti di dialogo e della lenta ma inesorabile islamizzazione della popolazione.

I latini di occidente erano preoccupati anzitutto dall’invasione dei loro territori e dalla condizione delle comunità cristiane sotto il dominio musulmano. Carlo Magno tentò dei rapporti diplomatici con la raffinata corte di Baghdad. Una lettera di Papa Gregorio VII del 1076 a un emiro tunisino sulla situazione di una comunità cristiana è di estrema rilevanza per i rapporti tra le due religioni in quel periodo. Egli infatti riconosce che "sebbene in differente modo, ambedue riconosciamo un Dio unico e ogni giorno lo lodiamo e lo adoriamo come creatore e sovrano dell’universo". Di maggiore rilevanza furono due fatti, che partirono dall’ambiente spagnolo, per secoli culturalmente il più vicino all’Islam. È da segnalare che attorno alla corte Andalusa e nei territori da essa influenzata sia ebrei che cristiani parlavano correntemente l’arabo (ricordare la liturgia mozarabica). Il primo fatto da segnalare è la traduzione dei grandi maestri musulmani della medicina (come Ibn Sînâ o Avicenna), della matematica e della filosofia. In particolare per quanto riguarda quest’ultima è da segnalare l’arrivo in Europa dell’opera filosofica di Ibn Rushd, o Averroè. È attraverso di lui che la filosofia di Aristotele arriva a informare la scolastica cristiana. Il secondo fatto è l’inizio della traduzione in latino del Corano a Toledo, curata da un’équipe mista di musulmani, ebrei e cristiani diretta dall’abate di Cluny, Pietro il Venerabile. Questa edizione del Corano, che porta il nome di Roberto di Ketton, piuttosto lacunosa e naturalmente completata dalla refutazione delle tesi e delle idee musulmane, resterà fondamentale per i quattro secoli successivi; in pratica era l’unico modo per un cristiano latino di accostarsi ai testi base dell’Islam. La seconda grande traduzione del Corano in latino, che a sua volta segnerà un’epoca e che non ha perduto validità fino ai giorni nostri, sarà quella del canonico lucchese Ludovico Marracci, stampata a Padova nel 1698. Ma i tempi saranno cambiati in molte cose, soprattutto dal punto di vista politico. Il secolo XII sarà dunque uno dei secoli più fecondi per i contatti tra cristiani e musulmani.

L’epoca dell’umanesimo e del rinascimento è segnata da un lato dall’apparizione sulla scena dell’Islam dei Turchi e dall’altro dal progressivo sganciamento dell’occidente dalla filosofia scolastica. Questo fatto porterà l’occidente a identificare il pericolo musulmano con il pericolo turco, che nel frattempo diventava sempre più incombente, fino a occupare progressivamente i Balcani e l’Ungheria e a fare scorrerie in Friuli e addirittura a Vicenza e a staccarsi progressivamente dagli arabi per attingere le sue fonti direttamente all’origine, nei documenti in greco portati da Costantinopoli. È in questo clima che i pregiudizi nei confronti dei musulmani si fanno sempre più forti, con l’accusa di magia e di stregoneria e il rinsaldarsi dell’identificazione dell’Islam con il male assoluto. Caratteristico del periodo della riforma protestante, ad esempio, è il parallelo reciproco che cattolici e protestanti stabiliscono tra il rispettivo nemico e il musulmano turco. Come un secolo prima gli ortodossi, i protestanti innalzavano vessilli proclamando: "Meglio Turchi che papisti!". Eccezioni parziali a questo riguardo possono essere da una parte Nicolò Cusano, il grande umanista che studiò da vicino i testi dell’Islam, anche se per contraddirli, e l’altro gigante dell’epoca, Erasmo da Rotterdam, il quale, pur non ricusando per principio la crociata, affermava tuttavia che la guerra era in ogni caso una pazzia, anche quella contro gli "infedeli" e che i principi cristiani avrebbero fatto meglio a praticare la loro fede piuttosto che prendere le armi.

Ma è da segnalare anche un altro fatto che si verificò nel XVI secolo: la composizione, forse da parte di un cristiano passato all’Islam, di un opuscolo, chiamato Vangelo di Barnaba. Esso si presenta appunto come un vangelo, a bella posta omesso dai cristiani, che testimonierebbe la vera entità del cristianesimo. In esso si afferma a chiare lettere che Gesù non è affatto Dio ma solo un messaggero, che annuncia un altro messaggero che verrà dopo e che si identificherà con Muh³ammad. Tale opuscolo fa ancora parte attualmente della controversia tra cristiani e musulmani.

Con il secolo dei lumi comincia il vero e proprio distacco del dâr al-islâm dall’Europa, segnato da una profonda e progressiva decadenza dell’impero ottomano. Rimangono e si rafforzano però i pregiudizi, testimoniati anche in campo laico soprattutto da parte di Voltaire. Con Napoleone e la sua campagna nel Vicino Oriente comincia un moto di rinascita e di presa di coscienza da parte di intellettuali musulmani formati in Europa. Il resto è storia dei nostri giorni, poiché sappiamo bene che siamo figli, lo vogliamo o no, del secolo scorso.

Vorrei concludere con le pagine finali del libro di Cardini: "Oggi, un’Europa politicamente non più al centro del mondo, finanziariamente ed economicamente grande potenza ma non ancora provvista di vere istituzioni unitarie e ancora incapace di esprimere una politica internazionale e una linea diplomatica autonome rispetto "all’alleato" americano, appare indecisa e ambigua di fronte ai governi e ai popoli del dâr al-islâm. I suoi rapporti con gli Stati Uniti d’America sembrano condizionarne la libertà e autonomia quanto d’azione quanto di giudizio nei confronti di paesi come Iran, Irak, Libia; mentre la sua opinione pubblica appare ancora molto poco informata e scarsamente sensibile alle molte articolazioni religiose e culturali del mondo islamico, rispetto alle quali le schematiche distinzioni in "laici" e "integristi" (o analoghi poco precisi aggettivi) appaiono del tutto inadeguate. L’informazione scarsa e di mediocre qualità, che solo una martellante pratica massmediale fa sembrare al contrario abbondante e capillare, si sposa al permanere o addirittura al grottesco rinnovarsi di antichi pregiudizi che, riguardo all’Islam, si giunga a una visione serena e concretamente flessibile delle cose.

Il continente europeo è inoltre oggetto di un nuovo "assalto" islamico che ha tuttavia caratteri paradossali. I musulmani che in Europa giungono, legalmente o meno, di solito in cerca di lavoro e di sistemazione personale e familiare, hanno spesso una cultura religiosa molto elementare: ma, al tempo stesso, tale cultura è il loro unico strumento d’identità e di autocoscienza. Al tempo stesso, i credenti islamici in Europa alla fine del XX secolo si trovano in una situazione del tutto nuova sotto il profilo storico: è la prima volta che gruppi consistenti di musulmani si trovano a vivere fuori dal dâr al-islâm, quindi in terre che non conoscono la sharî‘a come legge fondamentale e usuale. Al disagio consistente nel vivere in una posizione minoritaria, si aggiungono la tensione causata dalla propaganda e in qualche misura dall’attività anche terroristica dei gruppi di solito definiti "fondamentalisti" e il problema obiettivamente rappresentato dal crescere – anche grazie a molti convertiti europei – delle comunità musulmane che ormai in molti casi ottengono forme di riconoscimento.

La "terza ondata" islamica non ha quindi allargato i confini del dâr al-islâm: ma deve confrontarsi con un’Europa, a sua volta in una fase di delicata ridefinizione di se stessa, forte ma disomogenea sul piano economico-sociale, non ancora caratterizzata da chiarezza di scelte su quello politico, incerta su quello dell’identità culturale. "L’Islam sarà ciò che ne faranno i musulmani", ha detto l’egiziano Fuad Zakaria. Ma anche l’Europa sarà quello che gli europei sapranno farne. Un’Europa in cui aumentano di giorno in giorno i cittadini e i residenti che seguono la legge del Profeta" (Cardini, Europa e Islam, 314-315).