Da Il Corriere della Sera.it del 22 Agosto 2002

 

Bologna, scarcerati i cinque di San Petronio

Sospettati di preparare un attentato, cade l’accusa. L’irritazione del Viminale: inutile allarmismo

DAL NOSTRO INVIATO
BOLOGNA - Solo turisti per caso: proprio così. Scarcerati dal gip, subito liberi senza nessuna limitazione. Sia i quattro marocchini che l’italiano risultato una specie di buon samaritano, la cui vita sta nell’aiutare gli extracomunitari. Eppure erano stati travolti tutti da un’accusa terribile: associazione sovversiva a scopo di terrorismo col sospetto che preparassero un attentato in San Petronio. Insomma: i quattro ragazzi nordafricani non fanno parte di un temibile circolo «piccoli Bin Laden crescono».
Il giudice Diego Di Marco li ha ascoltati e gli è bastato. Vista la piega degli interrogatori, anche la Procura ha fatto marcia indietro, ritirando la richiesta di custodia cautelare. Lanciata con una conferenza stampa multimediale, l’operazione San Petronio si è ridimensionata a gitarella di una comitiva seppure un po’ così.
Germano Caldon, 55 anni, padovano, ha mormorato sconsolato: «Mi dispiace, è solo colpa mia se siamo entrati nelle chiese. Gli ho chiesto io di portarsi dietro la cinepresa. Pensavo che gli facesse bene imparare qualcosa. In fin dei conti, anche se adesso sono in pensione, ho fatto l’insegnante».
I ragazzi venuti dal Marocco, spaventati a morte da tutto il trambusto e dall’arresto, hanno reagito in modo singolare. Risposte pacate, spiegazioni con calma. «Non ricordo di avere detto delle cose proprio così», ha obiettato uno dei due speaker , ai quali erano state attribuite terribili frasi da anti Cristo.
L’altro ha ribattuto: «Sì, io ho parlato, ma non mi sembra che la traduzione sia fedele, e poi bisogna capire il tono della conversazione, la mia è stata una chiacchiera da bar. Di sicuro non avevo malanimo, né nessun motivo di ostilità». Il più giovane, di slancio: «Sto vicino a Padova, ma non so nemmeno dove sia la moschea».
Ma Bin Laden è o no un «idolo»? «E’ una parola che non usiamo in quel senso. Comunque dovete crederci: non facciamo parte di nessuna organizzazione fondamentalista. Siamo del tutto fuori da queste storie, non ci interessano niente».
Davvero quattro ragazzi strani. Rischiavano di essere rinchiusi in una cella per terrorismo ma hanno mostrato soprattutto una preoccupazione di tipo religioso: «Non vogliamo che si pensi che noi ce l’abbiamo con la Chiesa». Ahmed Essanoi (22 anni), Abdallah Wakouz (27), Lahcem Essaghir (30)e Abdel Malek Toutou (20) e Caldon restano formalmente indagati, le indagini andranno avanti comunque, ma è evidente che sono già usciti dal cono d’ombra più pericoloso. Finirà quasi certamente con un nulla di fatto, e possono già tornare a fare gli operai nelle aziendine del Padovano. Non ci sono elementi per ritenere che volessero organizzare un’azione contro la grande Basilica bolognese. Il loro fermo (ma solo quello) era giustificato: infatti il gip lo ha convalidato, ritenendo che quella misura fosse legittima. Ma, davanti alle spiegazioni, nessun motivo è emerso per giustificare la detenzione. Alla Cgil di Padova toni decisi: «Si tratta di brave persone, è stato uno sbaglio».
Adesso è facile immaginare una scia di polemiche. Il difensore, l’avvocato Mario Marcuz, non arriva a parlare di gogna ingiusta. Però riflette: «Caccia alle streghe? Non ancora, per fortuna. Però si sta arrivando agli eccessi. E’ una questione da sociologi su cui riflettere». Il Pm Paolo Giovagnoli dice: «Non faccio polemiche». Ma è evidente che il rimbrotto del ministro dell’Interno Pisanu sull’eccesso di pubblicità gli ha fatto fischiare le orecchie. E negli ambienti del Viminale la concessione della libertà ha rafforzato la convinzione che in ogni modo era meglio evitare la grancassa. Fossero stati dei veri terroristi, solo il silenzio avrebbe favorito lo sviluppo delle indagini. Visto il clamoroso finale, tanto più si doveva evitare la maxi esposizione sui media e l’allarmismo. Lo stesso Giovagnoli ha cercato di giustificare la scelta di procura e carabinieri: «I fermati avevano diritto di conoscere le imputazioni nei loro confronti. Gli erano già state fatte le perquisizioni in casa e tutti i loro parenti erano stati messi a conoscenza delle indagini».
Vittorio Monti