«I fermati hanno fornito spiegazioni attendibili
e dovevamo rimetterli in libertà». Il Viminale: si rischia di rovinare i
rapporti con gli altri Paesi «San Petronio, i carabinieri hanno voluto dare la notizia» Bologna, la difesa del procuratore Persico. Protesta delle comunità islamiche in Italia: così si esaspera il clima La vicenda ha provocato anche una reazione polemica delle Comunità islamiche in Italia (Ucoii). Per il segretario Hamza Roberto Piccardo bisogna evitare «enfatizzazioni» per non creare «un clima ostile contro la comunità islamica». E il presidente, Mohamed Nour Dachan, chiede provocatoriamente: «Perché un turista giapponese può fare delle foto e un marocchino no?». Il procuratore aggiunto di Bologna, Luigi Persico, spiega che il suo ufficio «si è mosso con onestà intellettuale, esercitando la funzione di controllo della legalità: cosa che ha richiesto molte ore, tenuto conto anche della difficoltà della lingua». Ma quando gli si chiede perché si sia deciso di organizzare l’incontro con i giornalisti prima che il fermo dei cinque venisse convalidato, afferma: «I carabinieri ci hanno manifestato l’esigenza di rendere nota l’operazione. Ne ho parlato con il procuratore Enrico Di Nicola, che mi ha espresso riserve rispetto a questa iniziativa. Vista l’insistenza dell’Arma, ho spiegato che non volevamo interferire sulla loro autonomia di azione e così abbiamo deciso di far partecipare alla conferenza stampa il pm Giovagnoli, titolare dell’indagine. La sua assenza poteva essere letta come una sconfessione». Dichiarazioni che non potranno non suscitare polemiche, anche perché la notizia è stata diffusa dalle agenzie di stampa alle 9 di mattina di lunedì e non è ancora stato chiarito da chi sia stata comunicata ai giornalisti. Davanti alle telecamere è stato proprio Giovagnoli a parlare di «episodio inquietante», sottolineando la «gravità» dei colloqui dei marocchini intercettati grazie alle microspie. E, adesso, ammette: «Il fermo è un potere autonomo della polizia giudiziaria, anche se non è corretto dire che viene eseguito contro la nostra volontà». A difendere i carabinieri ci pensa il gip Diego Di Marco. «I cinque fermati - chiarisce - hanno fornito spiegazioni attendibili, e per forza dovevamo rimetterli in libertà. Nell’incertezza non potevamo tenerli in carcere, ma le indagini continuano. Quando hanno operato i fermi, i militari hanno fatto una valutazione giusta. Il problema è sorto dopo: per emettere la misura cautelare bisogna, infatti, avere un quadro di gravità indiziaria che in questo caso mancava». La contestazione del titolare del Viminale riguarda proprio la decisione di pubblicizzare l’operazione prima di avere elementi più concreti. Su questo il ragionamento di Pisanu è stato fin troppo esplicito: «Se si trattava di una cosa seria, era indispensabile tenerla riservata per ottenere risultati concreti. Se, invece, erano necessarie ulteriori verifiche, non c’era bisogno di creare allarmismi». Non è la prima volta che la Procura di Bologna entra in polemica con gli organi investigativi. Era già successo qualche settimana fa, dopo la decisione dei pm che indagano sulla mancata concessione della scorta al professor Marco Biagi, assassinato dalle Brigate Rosse il 19 marzo scorso, di inviare un avviso di garanzia al questore Romano Argenio, al prefetto Mario Iovino, al responsabile dell’Antiterrorismo Carlo De Stefano e al suo vice Stefano Berrettoni. Reato ipotizzato: cooperazione colposa in omicidio. |
Fiorenza Sarzanini |