«I fermati hanno fornito spiegazioni attendibili e dovevamo rimetterli in libertà». Il Viminale: si rischia di rovinare i rapporti con gli altri Paesi

«San Petronio, i carabinieri hanno voluto dare la notizia»

Bologna, la difesa del procuratore Persico. Protesta delle comunità islamiche in Italia: così si esaspera il clima

ROMA - C’è grande imbarazzo, ma anche molta tensione al Palazzo di giustizia di Bologna. Il giorno dopo la scarcerazione dei quattro nordafricani e dell’italiano Germano Caldon - fermati quattro giorni fa con l’accusa di progettare un attentato contro la basilica di San Petronio - i pubblici ministeri si difendono e, di fatto, «scaricano» sui carabinieri la decisione di convocare una conferenza stampa per pubblicizzare l’operazione. Il ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, ha già manifestato la propria irritazione per «l’allarme ingiustificato» amplificato davanti a taccuini e telecamere. E dal Viminale si conferma che questo incidente rischia di rovinare i rapporti con gli Stati Uniti e con gli altri Paesi europei che «in un clima di collaborazione proseguono la lotta contro il terrorismo internazionale». Qualche settimana fa, in vista dell’anniversario dell’11 settembre, erano state proprio le autorità americane a sollecitare la «massima riservatezza sulle indagini» per tutelare le attività di intelligence . «La sortita degli inquirenti bolognesi - sottolineano al ministero dell’Interno - mette in pericolo gli sforzi fatti per dimostrare affidabilità e competenza dei nostri apparati di sicurezza».
La vicenda ha provocato anche una reazione polemica delle Comunità islamiche in Italia (Ucoii). Per il segretario Hamza Roberto Piccardo bisogna evitare «enfatizzazioni» per non creare «un clima ostile contro la comunità islamica». E il presidente, Mohamed Nour Dachan, chiede provocatoriamente: «Perché un turista giapponese può fare delle foto e un marocchino no?».
Il procuratore aggiunto di Bologna, Luigi Persico, spiega che il suo ufficio «si è mosso con onestà intellettuale, esercitando la funzione di controllo della legalità: cosa che ha richiesto molte ore, tenuto conto anche della difficoltà della lingua». Ma quando gli si chiede perché si sia deciso di organizzare l’incontro con i giornalisti prima che il fermo dei cinque venisse convalidato, afferma: «I carabinieri ci hanno manifestato l’esigenza di rendere nota l’operazione. Ne ho parlato con il procuratore Enrico Di Nicola, che mi ha espresso riserve rispetto a questa iniziativa. Vista l’insistenza dell’Arma, ho spiegato che non volevamo interferire sulla loro autonomia di azione e così abbiamo deciso di far partecipare alla conferenza stampa il pm Giovagnoli, titolare dell’indagine. La sua assenza poteva essere letta come una sconfessione».
Dichiarazioni che non potranno non suscitare polemiche, anche perché la notizia è stata diffusa dalle agenzie di stampa alle 9 di mattina di lunedì e non è ancora stato chiarito da chi sia stata comunicata ai giornalisti. Davanti alle telecamere è stato proprio Giovagnoli a parlare di «episodio inquietante», sottolineando la «gravità» dei colloqui dei marocchini intercettati grazie alle microspie. E, adesso, ammette: «Il fermo è un potere autonomo della polizia giudiziaria, anche se non è corretto dire che viene eseguito contro la nostra volontà». A difendere i carabinieri ci pensa il gip Diego Di Marco. «I cinque fermati - chiarisce - hanno fornito spiegazioni attendibili, e per forza dovevamo rimetterli in libertà. Nell’incertezza non potevamo tenerli in carcere, ma le indagini continuano. Quando hanno operato i fermi, i militari hanno fatto una valutazione giusta. Il problema è sorto dopo: per emettere la misura cautelare bisogna, infatti, avere un quadro di gravità indiziaria che in questo caso mancava».
La contestazione del titolare del Viminale riguarda proprio la decisione di pubblicizzare l’operazione prima di avere elementi più concreti. Su questo il ragionamento di Pisanu è stato fin troppo esplicito: «Se si trattava di una cosa seria, era indispensabile tenerla riservata per ottenere risultati concreti. Se, invece, erano necessarie ulteriori verifiche, non c’era bisogno di creare allarmismi».
Non è la prima volta che la Procura di Bologna entra in polemica con gli organi investigativi. Era già successo qualche settimana fa, dopo la decisione dei pm che indagano sulla mancata concessione della scorta al professor Marco Biagi, assassinato dalle Brigate Rosse il 19 marzo scorso, di inviare un avviso di garanzia al questore Romano Argenio, al prefetto Mario Iovino, al responsabile dell’Antiterrorismo Carlo De Stefano e al suo vice Stefano Berrettoni. Reato ipotizzato: cooperazione colposa in omicidio.
Fiorenza Sarzanini