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LE MONDE diplomatique - Aprile 2001

Integrazione e status delle religioni

Islam europeo, islam americano

L'integrazione nei paesi europei dei fedeli di religione musulmana continua tra mille difficoltà, scontrandosi con una mentalità che - pur con differenze consistenti da paese a paese - non sembra pronta ad accettare l'islam come parte integrante del vivere sociale. Differente la situazione negli Stati uniti, dove è diversa non solo la composizione sociale ed economica della popolazione musulmana, ma anche il rapporto che lo stato intrattiene con le varie chiese. Ma tanto sul Vecchio continente che oltre-Atlantico l'islam sembra ormai un elemento imprescindibile della sedentarizzazione e dell'integrazione di migliaia di cittadini.

di Jocelyne Césari*

 

Nei principali paesi europei vivono più di undici milioni di musulmani (1). La loro presenza è il risultato di flussi migratori provenienti dagli ex imperi coloniali d'Asia, d'Africa e dei Caraibi, flussi che, all'inizio degli anni '60, si sono orientati in massa verso il continente europeo. Dopo l'interruzione ufficiale dell'immigrazione per lavoro nel 1974, il radicamento di queste popolazioni si è fatto irreversibile: l'intensificarsi delle politiche di ricongiungimento familiare ha contribuito a ricomporre ed ampliare le famiglie all'interno dello spazio europeo. L'espressione dell'identità islamica è allora emersa come un elemento importante della sedentarizzazione. E intorno a questa visibilità dell'islam si sono cristallizzati interrogativi e opposizioni talvolta violente. Negli Stati uniti la visibilità dell'islam costituisce un fenomeno piuttosto recente, legato al dinamismo religioso degli immigrati. Nonostante la comprovata presenza della religione musulmana tra gli schiavi, la storia dell'islam comincia in realtà solo con le ondate migratorie che si susseguono nel XX secolo, soprattutto dagli anni '60 ad oggi. I musulmani indiani, pakistani, indonesiani e afghani tendono a soppiantare quelli provenienti dal mondo arabo. Negli anni '70, i nuovi arrivati si lanciano nella creazione di moschee, scuole, riviste e giornali, dando prova di un dinamismo religioso ben diverso da quello degli immigrati arabi di inizio secolo, che miravano per lo più all'assimilazione. La sempre più marcata islamizzazione della comunità nera rende l'islam ancora più visibile nella società americana: sul numero totale di musulmani statunitensi (da quattro a sei milioni), circa la metà è costituita da neri convertiti. La maggior parte dei musulmani immigrati in Europa o negli Stati uniti provengono da paesi in cui l'islam, se non è religione di stato, è comunque la religione della stragande maggioranza. Trapiantati in un contesto non musulmano, laico e pluralista, essi sviluppano nuove forme di elaborazione della tradizione islamica, come conseguenza sia della grande varietà delle culture d'origine che delle tradizioni culturali e delle logiche sociali dei diversi paesi di accoglienza. Il foulard proibito L'integrazione dei musulmani è perciò caratterizzata da due diverse forme di tropismo: una orientata verso il dar al islam (2), l'altra ancorata alle particolarità del paese ospite. Nell'ambito del dar al islam si collocano tutte le reti di solidarietà che mettono in rapporto le popolazioni americane ed europee con i grandi spazi geografici e nazionali del mondo musulmano. Nell'ambito delle società di accoglienza, invece, i musulmani devono affrontare sfide diverse da paese a paese: la battaglia del foulard in Francia, l'emarginazione culturale e politica in Germania, la ghettizzazione socio-economica in Gran Bretagna o negli Stati uniti. Il dinamismo religioso dei musulmani americani non deriva solo dalle peculiarità dell'islam d'immigrazione, ma anche dallo specifico status della sfera religiosa che, in America, è parte integrante della vita civile. In Europa, dove i costumi e le mentalità hanno conosciuto un processo più marcato di laicizzazione, il riconoscimento dell'islam è più problematico. Il problema della sua organizzazione istituzionale appare come una questione europea, legata più alle specificità del rapporto stato-chiesa che all'incapacità dei musulmani di adattarsi al principio di separazione tra la sfera politica e quella religiosa. Se tutti i paesi europei riconoscono la libertà di culto, la separazione tra stato e chiesa è infatti ben lungi dall'essere la regola generale. Le forme di organizzazione dei musulmani e le loro rivendicazioni dipendono quindi dal contesto istituzionale in cui si trovano a vivere. Essi non solo non rimettono in discussione questi principi politici, ma si sforzano anzi di inserire l'islam nel contesto giuridico esistente. Nei paesi che prevedono il riconoscimento giuridico di tutte le religioni (come il Belgio, l'Italia, la Spagna e la Germania), la legittimazione istituzionale dell'islam è avvenuta più rapidamente. La legge spagnola del 26 gennaio 1992, per esempio, riconosce il culto musulmano attraverso la Commissione islamica di Spagna (Cie), che riunisce la maggior parte delle associazioni e delle federazioni musulmane presenti nel paese. Nel 1974, lo stato belga ha riconosciuto, con un'azione pionieristica in Europa, il culto musulmano, anche se si dovrà poi aspettare fino al 1988 per l'elezione di un Consiglio islamico, interlocutore ufficiale del potere statale. Le resistenze al riconoscimento dell'islam sono dovute più a problemi di mentalità che ad ostacoli giuridici o istituzionali. In Germania, la rivendicazione delle principali associazioni islamiche - essere riconosciute come organizzazioni religiose (per poter godere, tra le altre cose, di esoneri fiscali) - si scontra principalmente con il fatto che la società non è ancora pronta ad accettare l'islam come religione consolidata e riconosciuta. Nei paesi in cui esiste una religione di stato (Inghilterra, Danimarca, Grecia), o una religione dominante per ragioni storiche o culturali, l'islam, come religione minoritaria, si è visto concedere pari diritti, ma con un «effetto ritardo» più o meno lungo. I musulmani britannici rivendicano da diverso tempo l'accettazione delle scuole islamiche da parte dello stato. Il recente riconoscimento delle scuole patrocinate da Yusuf Islam (3) rappresenta da questo punto di vista un timido passo avanti. La questione della legittimità istituzionale dell'islam si pone anche nei paesi dove esiste una rigida separazione tra stato e chiesa. Come la Francia, dove dal 1989 l'organizzazione del culto è diventata una questione di stato: il ministro dell'interno francese ha infatti cercato - senza successo per il momento - di stimolare il dialogo e riavvicinare le diverse correnti e associazioni che si contendono la leadership dell'islam in Francia. Con un ultimo sviluppo della situazione: nell'ottobre 1999, il ministro dell'interno ha proposto alle varie associazioni islamiche di firmare un testo che riafferma i principi giuridici fondamentali del rapporto tra stato e religioni e li applica all'organizzazione del culto musulmano. Nonostante il tergiversare di alcuni dirigenti, che ritenevano quest'iniziativa «un passo indietro» contrario allo spirito della legge sulla laicità, il 28 gennaio 2000 quasi tutti i rappresentanti dell'islam francese hanno firmato il testo. Da allora, proseguono le consultazioni. Nel caso della Francia, le difficoltà derivano da una concezione molto rigida della laicità, secondo la quale bisognerebbe eliminare qualsiasi segnale religioso dai luoghi pubblici. Questa concezione, dominante nell'ambito delle istituzioni scolastiche, è alla base dello famoso scontro sul foulard. Uno scontro che sembra senza fine, sebbene il Consiglio di Stato dal 1989 non abbia mai smesso di ripetere che l'esibizione di segni religiosi non è incompatibile con la laicità (4). Negli Stati uniti, il problema dell'organizzazione e della legittimità istituzionale dell'islam non esiste. Le questioni di carattere religioso sono considerate di competenza della società civile e un eventuale intervento dello stato federale o dei singoli stati sarebbe considerato inopportuno, se non addirittura completamente fuori luogo. Le differenze più significative tra Europa e Stati uniti sono legate allo status delle religioni nella società. Se i musulmani si trovano, per la prima volta, a vivere in società laiche in cui la religione non occupa un posto centrale nella vita sociale e politica, ma è invece relegata nella sfera del privato, la situazione appare però diversa da società a società. Nonostante la rigida seperazione tra stato e chiese, gli Stati uniti rimangono il paese più religioso del mondo occidentale: il 70% dei suoi abitanti crede in Dio, il 90% prega almeno una volta alla settimana, il 70% è membro di un luogo di culto e il 40% partecipa ad un rito a settimana. Allo stesso tempo, aumentano però in questo paese i segni di un declino della religiosità, simili a quelli già osservati in Europa (disaffezione per i rituali, libertà sessuale, ecc.). Questa situazione paradossale indica un'individualizzazione crescente della pratica religiosa, in cui convivono forme di rinnovamento religioso e di abbandono della fede. L'Europa è l'unico luogo che ha conosciuto un processo compiuto di secolarizzazione, almeno dal punto di vista della deistituzionalizzazione delle religioni e del ridimensionamento dello status sociale del credo religioso. Di conseguenza, per i musulmani americani la vita quotidiana è assai più facile che per i loro correligionari europei. La legittimità delle attività religiose nella società permette l'accettazione delle manifestazioni di fede islamica. L'islam non è altro che una componente, fra molte altre, del panorama religioso americano. E, d'altronde, conosce un progresso che non ha uguali in Europa - attestato dall'alto tasso di conversioni, soprattutto tra i neri, ma anche tra altri gruppi, come gli ispanici o gli anglo-americani (5). Non che ciò debba farci concludere che l'islam goda di una completa accettazione nella società americana. I pregiudizi e le discriminazioni, simboli del paradosso americano, persistono. Lo vediamo, per esempio, dal modo in cui l'islam viene trattato dai media. Dai telegiornali alle fiction hollywoodiane, tutto sembra concorrere ad un'assimilazione tra islam e terrorismo. Una visione che può danneggiare i musulmani nella loro vita quotidiana. Dopo l'attentato al World Trade Center, i musulmani americani hanno subìto diverse forme di intimidazioni e di minacce. Il che ricorda la recrudescenza delle discriminazioni nei confronti dei giovani maghrebini francesi durante le guerra civile algerina, sopratttutto dopo gli attentati a Parigi del 1995. Ma, a differenza di quanto avviene in Europa, i musulmani americani hanno più possibilità di reazione. La libertà di coscienza e di espressione costituiscono le chiavi di volta della società civile americana e forniscono ai cittadini diversi strumenti giuridici. I musulmani americani hanno quindi una maggiore libertà d'espressione sia rispetto ai loro correligionari in Europa che, a maggior ragione, a quelli che vivono nei paesi musulmani. Vari giornali, organizzazioni e istituti creati negli ultimi quindici anni cercano di contrastare la diffusa e dominante demonizzazione dell'islam. Particolarmente significativa appare, a questo proposito, l'azione del Council on American Islamic Relations (Cair), un'associazione che si propone di contrastare ogni forma di discriminazione nei confronti dei musulmani e ottenere adeguati risarcimenti per via giuridica. Innumerevoli sono ormai i processi vinti da questa organizzazione contro aziende assai prestigiose, come la Nike o la Budweiser, colpevoli di aver utilizzato i riferimenti della religione islamica in modo offensivo nei confronti delle convinzioni dei credenti o di aver discriminato loro dipendenti musulmani per ragioni di carattere religioso. Nell'ultimo decennio sono nati diversi altri gruppi di pressione. L'American Muslim Council (Amc), fondato nel 1990 da un gruppo di intellettuali e militanti musulmani, agisce presso la Casa bianca e il Congresso per tutelare l'identità e i diritti della comunità musulmana e fare da intermediario tra quest'ultima e le istanze di potere. Uno dei suoi principali cavalli di battaglia consiste nell'ottenere il riconoscimento politico per la comunità musulmana al pari delle altre comunità religiose. Si tratta in particolare di trasformare la famosa formula di società «giudaico-cristiana» in «guidaico-cristiano-islamica», in modo da spingere tutti ad accettare che la tradizione musulmana veicola gli stessi valori delle altre religioni. Negli Stati uniti l'élite musulmana più forte In Europa, invece, i musulmani stentano a far valere le loro ragioni allo stesso modo. Qualche tempo fa, il Cair è dovuto intervenire presso il consolato francese di Chicago per far accettare che una giovane donna musulmana portasse il foulard in una foto sul passaporto. Cosa che i musulmani francesi, dal canto loro, non sono mai riusciti ad ottenere. Negli Stati uniti in effetti la possibilità di ottenere risarcimento per un'offesa alla libertà di coscienza è senza dubbio superiore che in Europa. I giudici americani tendono a tutelare le minoranze religiose mediante compromessi legislativi, in nome di una filosofia che considera la libertà religiosa la chiave di volta della dignità individuale. Tutto ciò va a vantaggio dei musulmani e dimostra che l'islam può essere un elemento positivo per la loro integrazione nella società dominante. Ma il fatto che i musulmani americani riescano a far sentire la propria voce è anche dovuto alle specificità sociali ed economiche delle popolazioni immigrate. È negli Stati uniti che troviamo infatti la più alta concentrazione di membri dell'élite musulmana. Ci sono più medici, professori universitari, ingegneri, imprenditori che in tutti i paesi musulmani. La loro presenza nelle università americane è nettamente superiore a quella che possiamo osservare nelle università europee. Ciò spiega la vitalità e il dinamismo del pensiero musulmano americano. È giocoforza constatare che una tale élite non si è ancora sviluppata nei principali paesi europei, dove l' immigrazione è stata principalmente legata all'impoverimento delle società del Maghreb, dell'Africa, dell'India e del Pakistan. I candidati all'esilio verso l'Europa erano per lo più gli elementi economicamente più vulnerabili e meno istruiti delle rispettive società di provenienza. Nelle società europee resta quindi da colmare un grande divario sociale, anche se tra le generazioni successive possiamo notare un sensibile miglioramento, grazie alla comparsa dei ceti medi e di alcuni intellettuali formatisi in Europa (6). note: * Ricercatrice al Cnrs-Gsrl e visiting professor alla Columbia University, autrice in particolare di Faut-il avoir peur de l'islam?, Presses de Sciences Po, Parigi, 1997 e di Musulmans et républicains: les jeunes, l'islam et la France, Complexe, Bruxelles, 1998.

(1) Mancano statistiche precise, perché nei paesi europei e negli Stati uniti non esistono censimenti della popolazione fatti sulla base della religione. Per l'Europa, si veda Felice Dassetto, La construction de l'islam européen. Approche socio-anthropologique, l'Harmattan, Parigi, 1996.

(2) Spazio governato dalla legge islamica.

(3) Nome musulmano di Cat Stevens, cantante pop degli anni '70 converitosi all'islam.

(4) Il rapporto Fauroux sull'islam in Francia, consegnato al primo ministro il 14 dicembre 2000, riprende i pareri del Consiglio di stato. Alcuni membri della commissione, sostenitori di una concezione più intransigente della laicità, si sono dimessi.

(5) Secondo i sondaggi, una cifra compresa tra un terzo e la metà della popolazione ha cambiato religione nel corso della propria vita. Negli ultimi quindici anni, un milione di ispanici è diventato protestante.

(6) La recente creazione di pubblicazioni e riviste islamiche - come ad esempio in Francia Islam de France, la Medina o Hawa - è uno dei segni più vistosi dell'emergere degli intellettuali musulmani europei. Bisogna citare anche, in Gran bretagna, il lavoro educativo ed editoriale portato avanti dall'Islamic Foundation a Leicester. (Traduzione di S.L.)