da Avvenire

del 20 Aprile 2001

INTERVISTA

La tecnologia promuove la donna musulmana, parla la scrittrice Mernissi

La Rete o il velo? Il «cyber islam» è rosa

«Internet genera effetti esplosivi sulla cultura femminile araba, finora succube di una millenaria emarginazione» «Le iraniane o le maghrebine sono bravissime a navigare sul Web, non si faranno sfuggire l'occasione per crescere Troppi stereotipi sulle ragazze col chador: ma è l'Occidente che vi tiene sottomesse col ricatto di una bellezza solo formale»

Maria De Falco Marotta

Si intitola «Mondi vicini, Mondi lontani» il bel dossier che la rivista Dimensioni Nuove (mensile per giovani dei salesiani torinesi della Elledici) dedica in un recente numero alle donne del Sud del globo. Tre lunghi colloqui con la scrittrice marocchina Fatema Mernissi (ne riproponiamo l'intervista in questa pagina), con la storica francese Anne Chayet, esperta di Tibet, e con la scrittrice algerina Assia Djebar danno il tono del cambiamento dell'«altra metà del mondo» nell'«altra metà del pianeta», documentando il difficile cammino delle donne contro l'emarginazione e il ruolo (di ostacolo oppure di promozione) che anche le religioni di fatto svolgono nella discriminazione tra i sessi. Fatema Mernissi insegna sociologia all'università Mohamed V di Rabat (Marocco) ed è una delle maggiori scrittrici arabe contemporanee. Con i suoi libri e il suo impegno presso organizzazioni internazionali, promuove da anni lo sviluppo nell'islam di una società pluralista. Tra i suoi volumi tradotti in italiano: La terrazza proibita (Giunti), Le donne del Profeta (Egig), L'Harem e l'Occidente (Giunti).

Fatema, come mai parla di «cyber islam» quando la donna islamica deve ancora compiere molti passi verso la libertà?

«La nuova cybertecnologia aiuta la democratizzazione dell'informazione, producendo la politicizzazione rivoluzionaria della cultura. I suoi effetti sono dirompenti anche sulla cultura femminile, specie su quella islamica che finora ha subìto un contesto di millenaria emarginazione sociale. Proprio qui si profila un nuovo ruolo della donna. Oggi le donne iraniane, per esempio, sono diventate bravissime nell'usare Internet. Sicuramente diventeranno la forza crescente della società civile. È un'occasione storica che non possono perdere: né loro, né altre. Per fortuna, la loro consapevolezza sta crescendo dovunque nel mondo arabo, che conta il 30% di donne fra tutti i laureati. Esse aumentano nelle professioni e nei posti di lavoro, tradizionalmente assegnati agli uomini».

Che cosa pensa di Internet e delle nuove tecnologie?

«La Rete è una realtà controversa e una metafora feconda. C'è chi la interpreta come una trappola, e indica le vie di fuga, c'è chi invece vede in essa fitte trame di relazioni, e indica i modi per riempirle di contenuti. Il mondo cablato, per ora, coincide semplicemente col mondo delle linee telefoniche. È il luogo che dà voce alla new economy, ma anche a forme alternative di informazione. Il Web per le donne, specie quelle musulmane, è un'occasione di emancipazione culturale, e le donne maghrebine non se la lasceranno sfuggire».

Tutti parlano più o meno male della globalizzazione-mondializzazione. Come la giudica?

«Internet nell'orizzonte musulmano potrà essere una forma di emancipazione per le donne. Ma globalizzazione indica qualcosa di diverso, qualcosa che accade sopra le nostre teste senza la possibilità di intervenire. Globalizzare assume allora il significato di trovarsi avvolti in un reticolo di reciproche dipendenze. A essere sincera, io mi ritengo assolutamente soddisfatta degli effetti della mondializzazione».

Anche della televisione?

«Sono arrabbiatissima contro la televisione occidentale che mostra sempre la donna, in Pakistan o in altri Paesi islamici, vittima reiterata di violenze continue da parte dell'uomo. Vi si fonde l'interesse politico alla marginalizzazione culturale di questi Paesi, al loro screditamento. Con questo non voglio certo dire che non c'è violenza: semplicemente, che il modello di osservazione, con la sua strumentalizzazione politica, non è affidabile, e alla fine perseguite esattamente gli stessi scopi che intende denunciare».

E lo chador?

«È ancora il simbolo di un autoritarismo, del rifiuto di una qualunque forma di democrazia e di pluralismo. Si impone alle donne di velarsi, come si imponeva agli ebrei di portare una stella o come succedeva nell'antica Roma che l'imperatore comandava di uccidere i gladiatori nell'arena per dimostrare che aveva il diritto di vita e di morte su di loro. Il diritto di uccidere impunemente, come allora, attualmente esiste in certi Paesi islamici solo contro le donne. Per questo, invoco un tribunale internazionale che punisca i crimini contro le donne, come sono stati puniti quelli contro gli ebrei».

Lei però non nutre molti sentimenti di simpatia sul modo come gli uomini occidentali considerano le donne.

«L'islam ha un'idea della bellezza diversa dal modello occidentale. Quando era in America negli anni '70 una mia amica mi disse: "Stai attenta, qui o sei bella o sei intelligente, non puoi esser le due cose insieme". Nell'islam questa divisione non esiste, l'intelligenza stessa è bellezza. Nessun uomo vorrebbe mai sposare una donna stupida. I musulmani hanno una concezione della donna completamente diversa: in qualsiasi miniatura le donne riprodotte sono vestite. La scena ideale è quella dell'uomo e della donna mentre cacciano assieme, oppure che parlano dolcemente al chiaro di luna. Il samar (cioè il parlare tra uomo e donna) è un piacere sensuale intrigante e vero. In Occidente, una donna che osi essere intelligente è subito punita. Il suo sapere diventa l'arma che uccide completamente la sua femminilità».

Non mi pare che le donne occidentali uccidano troppo la loro femminilità, anzi!

«Verissimo! È incredibile l'ossessione della bellezza, del fitness. È assurdo che donne intelligenti, professionali, assolutamente adorabili per il loro savoir faire, si preoccupino di qualche centimetro in più o in meno. Non dico che non ci si debba curare, ma non finalizzandolo alla seduzione, ma al sentirsi meglio per questa meravigliosa opportunità che è la vita».

Non le pare di esagerare nel proporre un femminismo tipo «Shahrazad»?

«Pongo un'altra domanda: che razza di rivoluzione deve fare ancora la donna in Occidente, per far sognare gli uomini? È bello che una donna taglia 42 sia l'emblema della femminilità e non la sua capacità di sapersi gestire, di essere libera e indipendente? Non sarebbe ora che la filosofia kantiana in cui il femminile è il Bello e il maschile il Sublime venga accantonata e non vi sia più scissione tra cervello e bellezza? In quanto a Shahrazad, era una donna arguta, saggia, con una capacità politica eccezionale. Aveva letto libri di letteratura, filosofia, medicina. Conosceva a memoria la poesia, aveva studiato i resoconti storici ed era ferrata nei proverbi degli uomini e nelle massime di saggi e re. E se questo è poco... Inoltre desidero precisare che il musulmano usa lo spazio per stabilire il dominio maschile escludendo le donne dalla pubblica arena, mentre l'occidentale manipola il tempo e la luce, e dichiara che la bellezza, per una donna, è dimostrare quattordici anni. Le donne devono apparire belle, ovvero infantili. Beh, basta che vi guardiate attorno: gli uomini di successo, da voi, raramente rimangono con la stessa compagna. O no?». Maria De Falco Marotta