LE MONDE diplomatique - Aprile 2003



 

 

 

Come conciliare islam e modernità


Mohammed Arkoun
«Islam» e «modernità»: questi due concetti chiave richiedono una rielaborazione, se si vuol far luce nella confusione attuale derivante da un uso polemico e ideologico dei termini, che tende a contrapporre due forze antagoniste, a prescindere da qualsiasi analisi storica, sociologica, antropologica, teologica o filosofica che sia. È necessario infatti attingere a tutte queste discipline per esplicitare quella che è la posta in gioco, sul piano del pensiero, della cultura, della civiltà, di solito abilmente nascosta anche dai sedicenti esperti dell'uno o l'altro polo di quella che io chiamerei «la storia del tempo presente».
Perché, se le dispute tra quello che si chiama complessivamente «l'islam» e «l'occidente» si trovano già chiaramente espresse nel discorso coranico, è solo dal 1945 in qua che una serie di guerre sanguinose ha alimentato le passioni, gli odii irriducibili, le esplosioni reciproche in base a dati teologici islamici, ebraici e cristiani che fin dal Medio Evo hanno operato come sistemi intellettuali, «spirituali», morali e giuridici di esclusione reciproca.
Questi sistemi, costruiti da ciascuna comunità per rivendicare di essere stata eletta, da Dio, depositaria esclusiva della Verità rivelata, continuano a funzionare ancora oggi come istanze di legittimazione delle «guerre giuste» che si susseguono a breve distanza dal 1945 ad oggi: guerra di liberazione algerina (1954-1962), guerra del canale di Suez (1956), guerra dei sei giorni (1967), guerra dello Yom Kippur (1973), guerra del Golfo (1991), guerra contro il terrorismo... È facile notare che tutte queste guerre coinvolgono protagonisti legati a quelle che sono le tradizioni religiose, culturali, simboliche comuni allo spazio mediterraneo, che dall'avvento dell'islam si trova diviso in sponde «ebraico-cristiane», poi laiche moderne, e sponde arabo-turco-irano musulmane.
Le storiografie riflettono i processi di costruzione di memorie collettive arroccate in cittadelle «mito-storiche» che traggono alimento costante dalle tematiche dialettiche che mirano a far prevalere la necessità di difendere il Bene e il Vero contro il Male e lo smarrimento. Il vocabolario utilizzato dall'Europa-Occidente «moderna» fa rivivere rappresentazioni e connotazione medievali, pur riallacciandosi con forza alla vulgata ortodossa dei valori «occidentali» democratici, laici, umanisti, umanitari...
Come vivere con l'islam? Per rispondere a questo interrogativo è indispensabile distinguere il concetto geopolitico, geoeconomico e monetario dell'occidente dal concetto geostorico e geoculturale dell'Europa: il primo ha iniziato ad affermarsi nel 1945 sotto la leadership sempre più esplicita degli Stati uniti, soprattutto in quello che gli anglo-americani chiamano il Middle East; il secondo è solidale con il precedente, ma con l'islam dei riferimenti storici, intellettuali e culturali comuni che risalgono all'alto Medio Evo.
Spesso si invocano tali riferimenti sia a livello delle relazioni bilaterali tra stati-nazione, sia a livello dell'Unione europea con il dialogo euro-mediterraneo inaugurato nel 1995 a Barcellona. Vi sono, inoltre, antiche relazioni di prossimità geografica tra l'Europa mediterranea e il mondo arabo-turco dell'antico Mare Nostrum. Se a ciò si aggiunge l'importanza del flusso migratorio in tutto il bacino del Mediterraneo, si ha modo di valutare quanto sia politicamente importante e urgente per l'Unione europea superare lo stadio degli scambi ineguali e aleatori, incessantemente rinegoziati con stati poco sensibili alla legittimità democratica, per costruire invece una storia solidale dei popoli, fondata sul rigoroso rispetto di tutti i partner per quei «valori» che sono sbandierati come la finalità suprema delle guerre in corso a partire dal 1945.
Questa solidarietà debitamente negoziata e protetta dagli stati e dai popoli che essi rappresentano, implica l'inaugurazione di una diplomazia preventiva dedicata, esclusi i momenti di crisi più acuta, all'attuazione di una politica comune della ricerca nelle scienze umane e nelle scienze sociali. Presuppone inoltre la divulgazione su vasta scala dei risultati di questa ricerca, sia attraverso i media che tramite un tronco comune del sistema scolastico per l'insegnamento di discipline chiave, in grado di apportare risposte attendibili, elaborate su base scientifica, ai problemi che da secoli dividono le coscienze cosiddette civili, nazionali o religiose, condizionate in egual misura da storiografie di parte, mito-ideologiche e suscettibili di essere mobilitate in qualsiasi momento contro il nemico a priori costruito da secoli. Perché è proprio questo quello che continua a succedere e che si continua a dissimulare con il dialogo interreligioso, interculturale in cui si sguazza dai tempi del Concilio Vaticano II e la cosiddetta decolonizzazione, gli appelli moralizzanti alla tolleranza, le dichiarazioni di rispetto per i valori dell'altro...
Ho assistito a un gran numero di convegni di questo genere, in cui si sono fatti discorsi sulle religioni particolarmente rivelatori della nostra ignoranza comune riguardo a ogni tradizione religiosa, e ancor più rivelatori del fatto religioso inteso nella sua dimensione antropologica della condizione umana. Soltanto una storia solidale dei popoli che segue questo percorso potrà portare il pensiero islamico e i musulmani ad affrontare, per la prima volta nella loro storia, le sfide più significative della modernità e a beneficiare degli apporti universalisti del pensiero scientifico e della riflessione filosofica. Dico questo perché sinora il pensiero islamico ha sistematicamente rifiutato le conquiste più liberatrici del pensiero critico moderno; si è rifugiato in una chiusura dogmatica, con una posizione aggressiva contro questo occidente dominatore e sicuro di sé, così come viene vissuto, percepito ed interpretato da tutti i popoli di cui continua a gonfiare l'immaginario collettivo della resistenza, costringendoli a nascondere la propria identità.
È un errore incriminare quelle entità astratte chiamate indifferentemente Corano o «islam» come se fossero un'ideologia di guerra; essa agisce, di fatto, come una reazione dialettica alle pressioni esterne su società a cui fin dal XIX secolo è stato impedito di produrre la propria storia con un lavoro su se stesse che non venisse interrotto, falsato, riorientato dalla volontà delle potenze straniere e palesemente conquistatrici. Da una parte una dialettica del dominio, dell'aggressione politica e culturale e del controllo geopolitico, e dall'altra un'esasperazione del sentimento di debolezza, di umiliazione, di arretratezza, di oppressione, di fallimento. Si noterà che questa dialettica non è mai letta in questa chiave dagli occidentali, per quanto evidente sia; anzi, viene addirittura ribaltata da storici molto influenti come Bernard Lewis (1), che «spiega» gli attentati dell'11 settembre 2001 in base a impulsi, fattori, libere «scelte», tutti interni all'«islam» e in particolare ai regimi arabi.
Anche se non bisogna mai dimenticare di indicare l'intreccio di cause lontane e di fatti immediati che si iscrivono nelle strutture tipiche delle società percorse dal fatto islamico, occorre comunque sottolineare gli effetti moltiplicatori e le condizioni aggravanti degli interventi espliciti dell'occidente, a partire dalla data simbolica di riferimento del 1492 - l'anno della scoperta dell'America che è anche l'anno in cui musulmani ed ebrei vengono espulsi dalla Spagna.
Ci sarebbe ancora molto da dire, su tutte le dispute, i malintesi, l'ignoranza coltivata ad arte nelle tradizioni storiografiche; sulle guerre continue in cui le posizioni di carnefice e vittima si ribaltano completamente; sui valori invocati per ripristinare legittimità obsolete, quando sono invece traditi o derisi dai loro stessi paladini. Gli eccessi della passione, della furia omicida, delle condanne reciproche, dei rifiuti radicali che vediamo dappertutto dopo l'11 settembre 2001 non lasciano il minimo spazio e la minima occasione alle voci e alle testimonianze in grado di aprire nuovi orizzonti di pensiero, di conoscenza e di azione storica, che pure sono alla nostra portata.
Un pensiero critico che disponga degli strumenti concettuali e delle capacità di raziocinio necessarie per dare un senso e assegnare nuovi compiti a questa storia solidale dei popoli liberati dai dualismi manichei e orientata verso il superamento del Bene e del Male, del vero e del falso, dell'eletto e del reprobo, del civilizzato e del barbaro, della luce e delle tenebre.



note:

* Autore in particolare di Que s'est-il passé le 11 septembre? Desclée de Brouwer, 2002.

(1) Si legga Bernard Lewis, Il suicidio dell'islam, Mondadori, 2002.
(Traduzione di R. I.)
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